POEMA DELLA CROCE - Alda Merini
Ero con te, Padre,
al momento della creazione.
Non potevo non conoscere gli elementi e dominarli.
Cosa vuoi che sia
sollevare la pietra di un sepolcro
in confronto alla tua volontà di Creatore.
Tu mi hai insegnato come è composto il mondo
e mi hai reso figlio,
ma ero partecipe
della creazione.
I seguaci che mi hanno seguito
hanno creduto in Te e in me,
Tuo figlio.
Saranno felici di vedermi risorgere,
ma io piangerò
per quelli che sono ancora incatenati
nell'inferno
e le mie mani
faranno tacere i loro stridori.
Povere anime,
che migrano verso il nulla.
Lo spavento,
Dio,
di queste profondità cieche,
di questa gente che non ha avuto
lo splendore delle tue redini.
Perché tu non sai,
Padre,
cosa vuol dire
sedere alla Tua destra
in veste di re.
Un re mite ma non codardo
che fa da intermediario
tra la tua collera divina
e la lussuria e la miscredenza dell'uomo.
Io,
che sono giusto,
amo l'uomo
e ti chiedo perdono
attraverso questa lenta agonia
che dura da secoli
per il mondo.
Ecco, Signore, io ti rendo il mio spirito
in forma di bianca colomba
che volerà verso il cielo.
E non altrimenti
Tu hai costruito la pace
se non con gli inguini di un uccello
che porta l'ulivo alle tue labbra.
Padre,
io risorgerò,
e siederò alla Tua destra.
Il poema della croce
• In questo libro straordinario, la poesia di Alda Merini evoca, con una forza visionaria di rara suggestione e intensità, il momento più tragico ed emblematico della vita di Cristo, per la prima volta rappresentato dalla poetessa milanese accanto alla Vergine, in un dittico di sublime potenza espressiva e di altissima tensione emotiva
• Madre e figlio appaiono in tutta la loro fragilità umana, tra smarrimento e paura, e nello stesso tempo si stagliano sulla scena come figure luminosissime, immense, capaci di dialogare con gesti quasi impercettibili a occhio umano: come l’abbraccio impossibile tra Maria e il figlio inchiodato
• Maria è la madre che non invecchia, conserva la freschezza della sua verginità, dialoga col Figlio in parole e silenzi, e riesce a indossare come morbida stola persino il cencio di dolore del Cristo crocifisso• Nella presenza di Maria e in quella popolare della Veronica c’è tutta la femminilità materna e vitale, pura e feconda che riesce anche nella morte a generare
Il poema della croce
«Ti lascio Giovanni, Maria,
sarà il tuo figlio prediletto,
con lui potrai rivivere i giorni della mia infanzia,
potrai ricordare i miei giochi,
la mia innocenza.
Giovanni ha sentito il mio cuore,
il battito dello spezzare del pane.
Adesso io verrò spezzato in mille parti
e darò da mangiare a tutte le genti.
La mia carne flagellata
Diventerà un boccone per coloro
che hanno fame e sete di giustizia.
Io, vanto della cristianità,
mi sono lasciato uccidere davanti ai tuoi occhi,
ma tu non mi hai perduto,
il mio cuore per te si è santificato
Io ho vissuto in te, madre,
i migliori istanti della mia poesia.
Ti ho sempre pensata giovane:
anche quando ti affaticavi,
invecchiavi per amor mio.
In te non ci sarà vecchiezza.
Ti lascio Giovanni che è un ragazzo:
tu vedrai in Giovanni
quella foglia di palma e di speranza
che sono stato io
e ti darò il bacio supremo,
il vincolo d’amore che non si spezzerà più.
Sono un uomo contorto dagli spasmi,
ma per affrontare il demonio
devo provare la sua lussuria e la sua superbia
e essere umiliato fin nelle fondamenta.
Questa è la croce, Maria,
un vessillo di grande pace,
e si stenderà sopra tutti.
Ti lascio Giovanni,
il giovane che ha sfiorato la mia carne,
e che ha visto nell’ultima cena
la scelta del mio persecutore.
Perdono Giuda,
e perdono anche te
che sei stata rapita dall’amore.
Perdono tutti coloro che mi hanno amato
e che mi hanno fatto credere
che la carne fosse il traguardo ultimo del pensiero.
Ti lascio tutto quello che non ho avuto,
ma guardando i tuoi occhi, Maria,
che sono gonfi di pianto
e urlano senza essere sentiti,
io rivedo la mia giovinezza
e l’angoscia fugge lontana.
Mi rivedrai, Maria,
non ti lascerò mai sola,
anzi, ritornerò,
ti verrò a prendere,
come tutti gli innamorati
che hanno lasciato vedova
una bambina.»
di Alda Merini
Il Poema della Croce di Alda Merin
«Cantarla significa cantare il dolore dell’uomo, ma anche la sua possibilità di redenzione. La sofferenza viene trasformata in spettacolo, allora, sul calvario, come oggi».
Nessuno sa che cosa sia il dono come il poeta, perché è proprio un dono a rendere tale un poeta. E così Alda Merini, una delle voci più sincere e passionali della poesia italiana, accoglie l’ospite che le fa visita nella sua casa, sui Navigli milanesi, con un dono: un piccolo concerto con musiche composte ed eseguite da due amici, pianista e violinista, su un testo scritto da lei stessa e dedicato a una delle figure più amate, Maria: «In te che sei / la bianca aurora / notte angelica tu che batti alle porte / del regno del cuore tu che sei vissuta della fame e della sete di Dio / tu che non piangi / tu che non menti / e sei gravida di tutte le cose umane / ma comunque giusta e immacolata / bella perché la notizia di Dio ti ha così folgorata / Maria».
Note e versi – del tutto inediti – richiamano alla mente il percorso umano e intellettuale di questa donna di 74 anni, che si è così profondamente immersa nelle vicende della vita terrena da intuirne, in potenti folgorazioni poetiche, la sua più nascosta dimensione metafisica e persino mistica.
Benché già dagli esordi tutto il suo itinerario sia sospeso fra terra e cielo, fra sensualità e misticismo, vera cifra della sua produzione letteraria, l’ispirazione religiosa è diventata ancora più esplicita negli ultimi tempi e si è concretizzata in quattro volumi, esemplari fin dalla titolazione: L’anima innamorata del 2000,Corpo d’amore. Un incontro con Gesù del 2001, Magnificat. Un incontro con Maria del 2002 e La carne degli angeli del 2003, tutti pubblicati da Frassinelli e curati dall’amico Arnoldo Mosca Mondadori.
Ad essi si aggiunge ora una nuova raccolta, Poema della croce (Frassinelli, pp. 96, € 8,00), in uscita il 16 novembre, ancora una volta affidato ad Arnoldo Mosca Mondadori e con la prefazione di monsignor Gianfranco Ravasi.
Dopo l’incontro con Gesù e con Maria, Alda Merini racconta quello con la croce, il simbolo stesso del cristianesimo, «l’albero della profondità del male», ma anche falce che «falcerà tutti i reprobi della terra». Un simbolo in fondo familiare all’esistenza della poetessa, a cui è toccata la drammatica esperienza del manicomio (per ricostruire la sua biografia si legga il toccanteClinica dell’abbandono del 2004, edito da Einaudi), della solitudine e del dolore fisico, ma anche l’estasi dell’illuminazione poetica e la gioia della rinascita.
- Al centro della sua nuova raccolta poetica c’è la croce. Che cosa rappresenta per lei?
«Cantare la croce significa cantare il dolore, ma al tempo stesso anche la liberazione. La croce richiama la morte, ma è pure la base della risurrezione. In fondo ognuno di noi se la porta dentro tutta la vita, anche come forma di vergogna e di derisione. Giovanni Paolo II, in questo senso, è una figura unica, perché non cerca mai di mascherare il suo dolore».
- Nella prefazione Ravasi ricorda che lei inizialmente voleva dare un altro titolo al suo libro, vale a dire Carnevale della crocifissione. Perché?
«Per capirlo basta leggere il Vangelo di Luca: la presenza della vittima rendeva contenta la gente che assisteva al calvario. Ma non si pensi che noi contemporanei siamo migliori: le decapitazioni degli ostaggi in Irak e la loro macabra esibizione rientrano nella stessa logica. È triste dirlo, ma attorno al dolore si costruisce uno spettacolo, un carnevale. La croce è pure segno di derisione».
- Anche in queste poesie torna una figura che le è sempre stata molto cara, quella di Maria...
«Maria è sorella, ancor più che madre. Nella tradizione popolare c’è l’abitudine di rivolgersi a lei nei momenti cruciali della vita. Si pensi, ad esempio, alla Madonna del parto. Maria, pur essendo vergine, comprende la maternità. È lei a rendere possibile quella contraddizione, quel miracolo per cui una donna benedice il figlio che le ha procurato dolore per venire alla luce. La donna dimentica il dolore e così è pronta a generare di nuovo. Ecco perché Maria è compagna nel dolore, madre di casa, della quotidianità».
- La poesia è inscindibile dal dolore?
«Secondo me, l’accostamento fra poesia e dolore è un inganno. L’uomo comune vive nella sofferenza, mentre il poeta è felice, perché asseconda i suoi desideri più profondi e viscerali. Certamente, ci vuole studio, esperienza, volontà e soprattutto cuore per scrivere versi, ma se fosse vero che non c’è poesia senza dolore, sarebbe preferibile che fossimo tutti analfabeti».
- Lei scrive da quando aveva 15 anni...
«La poesia nasce in me da una passione della carne, fortemente fisica. L’istinto però viene filtrato dalla ragione, dal momento che ogni parola viene soppesata e scelta fra molte. E così la poesia diventa una menzogna, una bellissima favola che si avvicina ai testi sacri».
- Le sue ultime poesie hanno il sapore della preghiera...
«Rivolgermi a Dio mi viene spontaneo, come richiesta di grazia. Tutti gli artisti sono religiosi, in quanto percepiscono l’immenso bene di cui fanno parte e il mistero della natura. Ciò li rende umili, anche se il loro creare dal nulla li rende vicini a Dio e compartecipi del fenomeno della creazione».
"La Madre, quella che come me mangiò la terra del manicomio credendola pastura divina, quella che si legò ai piedi del figlio per essere trascinata con lui sulla croce e ne venne sciolta perché continuasse a vivere nel suo dolore"
Alda Merini
|
POEMA DELLA CROCE
Frassinelli, pp. 96, € 8,00 |