Ci volevano i francesi, circa vent’anni fa, per scoprire il talento di un nuovo protagonista della canzone d’autore italiana, non più giovanissimo: Gianmaria Testa, cuneese di Cavallermaggiore (dove nasce il 17 ottobre 1958 da una famiglia contadina), vive nel tipico borgo collinare tra Savigliano e Racconigi, ma muore ad Alba, ormai sua città adottiva, il 30 marzo 2016, dopo una dolorosa malattia.
Cantante, compositore, chitarrista, scrittore di poesie, fiabe, racconti, Testa registra il suo primo album, Mongolfières, nel 1995, nell’Hexagone, ad Amiens, con una prestigiosa etichetta d’Oltralpe come Label Bleu, per merito della produttrice Nicole Courtois; assieme a lui, a condividere la direzione artistica, a curare gli arrangiamenti e a suonare sassofoni e clarinetti c’è il giovane Piero Ponzo, a sua volta conteso dai Treliu (gruppo folk) e da Carlo Actis Dato (free jazz). Sono, del resto, proprio il folk e il jazz le chiavi di lettura per capire l’assoluta genialità del Testa folk-singer e story-teller.
Le tredici canzoni di Mongolfières, tutte in italiano, nella miglior tradizione autoctona, ricevono unanimi, positivi consensi dal giornalismo musicale parigino, mentre da noi qualcuno snobisticamente tira fuori i nomi di Paolo Conte, Ivano Fossati, Luigi Tenco, persino Fabrizio De André, quasi a voler rimarcare un déjà vu inesistente, fino a dimostrare superficialità e pressapochismo nell’ascolto di Testa, poiché Gianmaria è tutto fuorché un clone di questo o quel cantautore rinomato.
Il ‘’cantastorie’ piemontese e cosmopolita, glocal e universale al tempo stesso, è infatti unico e singolarissimo fin dall’esordio e resta ancora precipuamente ‘alla Gianmaria Testa’, dopo altri otto dischi: Extra-Muros(1996), Lampo (1999), Il valzer di un giorno (2000), Altre latitudini (2003),Da questa parte del mare (2006), Solo dal vivo (2009), Vitamia (2011),Men At Work (2013), quattro dvd e migliaia di concerti in tutto il mondo.
Certo, come ogni cantautore, nessuno crea ex novo, e anche per Testa non è difficile individuare i modelli prediletti: le influenze, ancora una volta, come nella tradizione dei cantautori più sofferti, delicati, intimi, profondi e narrativi, sono francesi più che italiane, quasi a riaffermare una certa priorità, nel gusto e nei richiami, ai vari George Brassens, Jacques Brel, George Moustaki, Leo Ferré.
Tuttavia, alle radici della poetica di Testa, risulta evidente il legame con il territorio, nel senso di terra e di territorialità: sul piano musicale accetta le regole della forma-canzone, in chiave modernamente cantautoriale, aprendo ad esempio ai ritmi e alle armonie delle sonorità afroamericane novecentesche, ma guardando parimenti alla lezione dei menestrelli urbani statunitensi e magari, indirettamente, alle culture occitaniche facenti parti della cosiddetta Pruvincia Granda, il Cuneese: autentica subregione di confine, che lambisce Francia, Liguria, Monferrato, Astigiano, Torinese, Alessandrino.
E parlando di Cuneese, come non dimenticare le Langhe con la letteratura di Beppe Fenoglio e di Cesare Pavese? A volte in Testa sembrano evocati personaggi, figure, località, scorci paesaggistici, che transitano anche dalle pagine di questi grandi romanzieri. Ma il tema del viaggio, che resta una costante del cantautore, è anche frutto di un’altra peculiarità dell’uomo e dell’artista: per lunghi anni Testa lavora quale capostazione e, nella memoria collettiva, i treni, i binari, le ferrovie, le sale d’attesa permangono quali moderni archetipi a rimarcare la suggestione dell’abbandono, della lontananza, della via di fuga, di arrivi e partenze che si rinnovano e si ripetono nelle storie di ciascun essere.
E ora un nuovo viaggio attende Gianmaria Testa: un viaggio da solo, a tu per tu con il Trascendente, a sentire un poeta che cantava.