La forza del nome Kairòs
(Manuel Nin) Un pomeriggio, passeggiando per Roma, cercavo delle bancarelle di fiorai. Da sempre amo i cactus, queste piante belle e sobrie, portate a una vita quasi ascetica tra la sabbia del deserto, piante austere anche nella fioritura: rari e pochissimi fiori ma di una bellezza unica. La ricerca mi portò quasi per caso da un fioraio dai tratti medio-orientali. Mi accorsi che portava tatuata sul dorso della mano una piccola croce e gli chiesi se era cristiano. Mi disse che era copto ortodosso e che si chiamava Scenute.
Di fronte al martirio dei copti in Libia, con accorate parole il Papa ha alzato ancora una volta la voce per annunciare, quasi fosse una professione di fede, l’ecumenismo del sangue: «Dicevano solamente: “Gesù aiutami”. Sono stati assassinati per il solo fatto di essere cristiani» e il loro sangue «è una testimonianza che grida».
In questo modo Francesco ha riproposto il cammino dei cristiani di diverse confessioni, non ancora attorno all’unico pane e all’unico calice, ma già attorno all’unico sangue versato per Cristo, per rendere testimonianza dell’unico Signore.
Il Pontefice ha ricordato come l’unica parola uscita dalla bocca dei martiri copti è stata «Gesù, aiutami», quasi un’eco della preghiera del cuore delle tradizioni, la preghiera di Gesù ripetuta da innumerevoli cristiani che invocano l’unico nome in cui abbiamo la salvezza. Questa è stata la preghiera dei martiri copti, nel momento in cui hanno reso testimonianza della loro fede, in comunione con quell’invocazione del nome di Cristo Gesù, la stessa preghiera che lungo i secoli è stata ed è l’invocazione quotidiana e continua di tanti uomini e donne cristiani, monaci e monache, pellegrini, martiri che lo invocano con fede: «Signore Gesù Cristo, figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore». L’invocazione del nome che sulle labbra dei martiri copti, di tanti martiri cristiani dei nostri giorni, si riduce all’essenziale, invocando colui che dà loro la forza: «Gesù, aiutami».
La Chiesa copta, che dal II secolo in poi ha dato vita a una letteratura cristiana importante, a una linfa e a una vita che si esprime nella lingua degli antichi egiziani diventata lingua cristiana, il copto, parlata da milioni di cristiani in Egitto, copti ortodossi e cattolici, che lungo i secoli fino ai nostri giorni hanno lodato il Signore. Monaci e monache, padri e madri del deserto, padri e madri dei martiri, che nel deserto dell’Egitto hanno cercato il solo e l’unico, nella comunione con gli uomini. Uomini e donne che lungo il Nilo hanno vissuto e vivono nella comunione con il Signore e con i fratelli. La Chiesa copta, nata e cresciuta attorno ai monaci e agli asceti, nella scia di Antonio, Pacomio, Scenute. E nella scia di tanti martiri fino ai nostri giorni: uomini, donne, bambini, in Egitto e in Libia. Uomini e donne inermi, ma fermi unicamente nella forza del nome di Gesù.
Una notizia di agenzia ha enumerato i nomi dei martiri copti della Libia: Milad, Youssif, Kirillos, Tawadros, Giorgios, Bishoi e tanti altri. Nomi legati a santi martiri e vescovi della Chiesa copta delle origini, nomi della Chiesa copta di oggi, nomi del martirologio del sangue comune a tutte le Chiese cristiane, patrimonio, forza e vanto di tutti i cristiani. Leggendo i sinassari e i martirologi di diverse tradizioni cristiane ci si accorge come i santi martiri dei primi secoli sono patrimonio comune a tutte le Chiese, senza distinzione di origine, attraverso vicende storiche diverse. E anche i nuovi martiri, dall’Iraq e dalla Siria fino all’Egitto e alla Libia, dall’Asia all’Africa, scrivono col sangue il loro nome nel sinassario e nel martirologio di tutti coloro che invocano il nome del Signore Gesù Cristo, vita e salvezza dei martiri.
Questa mattina, finito il mattutino quaresimale nel Collegio greco, sono andato a trovare il fioraio Scenute per dirgli che gli ero vicino. E condividendo con lui l’ecumenismo del sangue, gli ho ripetuto le parole di Papa Francesco: «Il sangue è lo stesso» e «testimonia Cristo».
L'Osservatore Romano
Di fronte al martirio dei copti in Libia, con accorate parole il Papa ha alzato ancora una volta la voce per annunciare, quasi fosse una professione di fede, l’ecumenismo del sangue: «Dicevano solamente: “Gesù aiutami”. Sono stati assassinati per il solo fatto di essere cristiani» e il loro sangue «è una testimonianza che grida».
In questo modo Francesco ha riproposto il cammino dei cristiani di diverse confessioni, non ancora attorno all’unico pane e all’unico calice, ma già attorno all’unico sangue versato per Cristo, per rendere testimonianza dell’unico Signore.
Il Pontefice ha ricordato come l’unica parola uscita dalla bocca dei martiri copti è stata «Gesù, aiutami», quasi un’eco della preghiera del cuore delle tradizioni, la preghiera di Gesù ripetuta da innumerevoli cristiani che invocano l’unico nome in cui abbiamo la salvezza. Questa è stata la preghiera dei martiri copti, nel momento in cui hanno reso testimonianza della loro fede, in comunione con quell’invocazione del nome di Cristo Gesù, la stessa preghiera che lungo i secoli è stata ed è l’invocazione quotidiana e continua di tanti uomini e donne cristiani, monaci e monache, pellegrini, martiri che lo invocano con fede: «Signore Gesù Cristo, figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore». L’invocazione del nome che sulle labbra dei martiri copti, di tanti martiri cristiani dei nostri giorni, si riduce all’essenziale, invocando colui che dà loro la forza: «Gesù, aiutami».
La Chiesa copta, che dal II secolo in poi ha dato vita a una letteratura cristiana importante, a una linfa e a una vita che si esprime nella lingua degli antichi egiziani diventata lingua cristiana, il copto, parlata da milioni di cristiani in Egitto, copti ortodossi e cattolici, che lungo i secoli fino ai nostri giorni hanno lodato il Signore. Monaci e monache, padri e madri del deserto, padri e madri dei martiri, che nel deserto dell’Egitto hanno cercato il solo e l’unico, nella comunione con gli uomini. Uomini e donne che lungo il Nilo hanno vissuto e vivono nella comunione con il Signore e con i fratelli. La Chiesa copta, nata e cresciuta attorno ai monaci e agli asceti, nella scia di Antonio, Pacomio, Scenute. E nella scia di tanti martiri fino ai nostri giorni: uomini, donne, bambini, in Egitto e in Libia. Uomini e donne inermi, ma fermi unicamente nella forza del nome di Gesù.
Una notizia di agenzia ha enumerato i nomi dei martiri copti della Libia: Milad, Youssif, Kirillos, Tawadros, Giorgios, Bishoi e tanti altri. Nomi legati a santi martiri e vescovi della Chiesa copta delle origini, nomi della Chiesa copta di oggi, nomi del martirologio del sangue comune a tutte le Chiese cristiane, patrimonio, forza e vanto di tutti i cristiani. Leggendo i sinassari e i martirologi di diverse tradizioni cristiane ci si accorge come i santi martiri dei primi secoli sono patrimonio comune a tutte le Chiese, senza distinzione di origine, attraverso vicende storiche diverse. E anche i nuovi martiri, dall’Iraq e dalla Siria fino all’Egitto e alla Libia, dall’Asia all’Africa, scrivono col sangue il loro nome nel sinassario e nel martirologio di tutti coloro che invocano il nome del Signore Gesù Cristo, vita e salvezza dei martiri.
Questa mattina, finito il mattutino quaresimale nel Collegio greco, sono andato a trovare il fioraio Scenute per dirgli che gli ero vicino. E condividendo con lui l’ecumenismo del sangue, gli ho ripetuto le parole di Papa Francesco: «Il sangue è lo stesso» e «testimonia Cristo».
L'Osservatore Romano
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