Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

domenica 8 febbraio 2015

Guariti dal suo mantello

Lunedì della V settimana del Tempo Ordinario


L'ANNUNCIO
Compiuta la traversata, approdarono e presero terra a Genèsaret. Appena scesi dalla barca, la gente lo riconobbe, e accorrendo da tutta quella regione cominciarono a portargli sui lettucci quelli che stavano male, dovunque udivano che si trovasse. E dovunque giungeva, in villaggi o città o campagne, ponevano i malati nelle piazze e lo pregavano di potergli toccare almeno la frangia del mantello; e quanti lo toccavano guarivano.
 (Dal Vangelo secondo Marco 6,53-56)


Secondo la tradizione rabbinica registrata nel Talmud la creazione è stata una liturgia: in Principio, Dio si avvolse nel suo mantello come d'abitudine per un pio israelita in preghiera: "Il Santo, sia Egli benedetto, si avvolse nella propria veste come il preposto al servizio liturgico e mostrò poi a Mosè il precetto della preghiera.... si avvolse nella luce come in un manto e irradiò lo splendore del proprio fasto..." (dal Talmud). Il mantello di Gesù, che rievoca la Shekinà, la presenza creatrice del Signore, è il suo stesso amore misericordioso, capace di perdonare e ricreare laddove il nemico ha seminato distruzione e morte. Ed eccoci oggi con le nostre malattie, e Lui è vicino a noi, nelle piazze che raccolgono le nostre giornate. Un desiderio che si fa preghiera, toccare le frange del suo mantello di misericordia. Le frange applicate alle estremità del mantello simboleggiavano la Torah, il cuore della Scrittura, quanto di più caro aveva Israele: "Avrete pertanto una frangia e quando la guarderete allora ricorderete tutti i precetti del Signore e li praticherete..." (Num. 15, 39). Il riscatto della nostra vita si gioca in uno sguardo capace di ridestare la memoria della Verità, l'eco del buono, del bello, del vero deposti, da sempre, nel nostro intimo. Non vi è aspetto della nostra vita che sia, a priori, destinato a precipitare nel non senso, costretto in una via senza uscita. Per ogni evento è preparata una Parola, è necessario solo uno sguardo capace di innescarne la memoria. Spesso ci intestardiamo nel cercare soluzioni e ragioni che non troviamo, mentre sarebbe sufficiente accostarci a Cristo, guardare con fede e toccare con speranza le frange del suo mantello e ricordare. Ma abbiamo bisogno che qualcuno ci porti da Lui, laddove sta passando; è necessario che qualcuno ascolti per sapere dove si trova Gesù, la Chiesa, sempre in ascolto del suo Signore, l'unica esperta della Pasqua, che sa che ovunque giunge Gesù si fa presente e si realizza la la sua vittoria sul peccato e ma morte, l'unica salvezza per l'uomo. Vogliamo guarire davvero dalla malattia che ci affligge? Affidiamoci alla Chiesa, e lasciamoci deporre nel passaggio del Signore: la liturgia innanzi tutto, con i sacramenti che rinnovano il mistero pasquale; la Parola e la predicazione, che annunciano Cristo; la vita nella comunità che ci ha accolto; come anche prendersi un po' di tempo e scrutare le Scritture, fissare lo sguardo sul cuore di Dio, laddove sgorgano, come da una fonte purissima, le Parole che illuminano, guariscono, saziano. Così, allo stesso modo, guariti, impariamo come comportarci con chi, intorno a noi, soffre ed è malato. I figli, i coniugi, gli amici: per aiutarli davvero occorre innanzi tutto ascoltare il Signore, essere profondamente uniti a Lui; e poi, dopo aver scoperto  il luogo dove Egli passa, condurvi le persone. Un fidanzato si innamorerà davvero solo della ragazza che saprà condurlo a Cristo e non a se stessa; e così per un padre e una madre con i propri figli; così per un presbitero con le anime a lui affidate: discernere con esattezza il momento ed il luogo dove Cristo sta passando, il frammento di storia che Lui ha scelto per donarsi e per stendere il suo mantello di misericordia; scoprire gli eventi e i luoghi di dolore di chi ci è intorno, lontani dal sentimentalismo e dal buonismo, per scendere e situarsi dove essi si trovano, senza giudizi e moralismi, per caricarsi dei loro lettucci, delle loro schiavitù e infermità e così condurli a Cristo, per deporli ai suoi piedi, perché possano toccarlo e guarire. Non siamo noi a guarire nessuno! Per questo è grave e stolto condurre a noi le persone, illudendoci di poter fare qualcosa. Per aiutare davvero è imprescindibile avere la consapevolezza di non poter fare nulla; avere la memoria e la certezza di essere anche noi, istante dopo istante, poveri, deboli, malati e peccatori bisognosi di essere condotti a Cristo per essere curati. Solo così potremo sperimentare la libertà di chi in nulla cerca se stesso e può farsi tutto a tutti, senza cadere nelle trappole affettive dei compromessi che iniettano corruzione in ogni relazione. Solo così potremo amare davvero, che significa sempre condurre l'altro a Cristo. Se, per esempio, si desidera realmente vivere un fidanzamento casto, è fondamentale avere presente la propria assoluta debolezza e vivere come mendicanti che implorano la guarigione; essere abbandonati alla Chiesa perché ci conduca a Cristo, obbedendo docilmente alle sue parole, senza presumere di se stessi e delle proprie forze. E così condurre l'altro a Cristo, al suo potere capace di proteggere e guarire dagli istinti e dalle concupiscenze. Fuggire insieme dalle tentazioni per condursi mutuamente a Cristo: Lui passa nel fidanzamento, occorre sapere dove. Certo non passa nei luoghi appartati, approdo di chi ha già deciso di peccare; Lui passa e bisogna lasciarsi guidare da chi sa, per esperienza, il suo percorso. E così per una coppia di sposi di fronte alla sessualità e al suo viverla nella volontà di Dio, all'educazione dei figli, alle scelte economiche, alla malattia; così per l'amicizia, per il lavoro, per ogni ambito e relazione umana: iI Vangelo di oggi ci chiama all'obbedienza, alla docilità e all'abbandono fiducioso nelle mani della Chiesa, perché ci porti a Cristo e perché anche noi, in ogni circostanza, possiamo discernere e condurre gli altri a Lui, alla salvezza autentica, alla pienezza della vita.

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