Una riflessione sul Natale e sugli inganni e le menzogne della "notte di follie" della grande rete.
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La fede nasce dall’incontro con l’amore originario di Dio
in cui appare il senso e la bontà della nostra vita.
La luce della fede è in grado di valorizzare la ricchezza delle relazioni umane,
la loro capacità di mantenersi, di essere affidabili,
di arricchire la vita comune.
La fede non allontana dal mondo
e non risulta estranea all’impegno concreto dei nostri contemporanei.
Papa Francesco
Lc 2.36-40.
C'era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto col marito sette anni dal tempo in cui era ragazza, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme. Quando ebbero tutto compiuto secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nazaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui.
Il commento
Una vedova e un bambino, un figlio donato quale compimento di una preghiera senza posa. Il silenzio e la dedizione totale a Dio. Questo era Anna, figlia della Tribù di Aser cui era toccata in sorte una porzione della Terra Promessa che giungeva sino al Carmelo. Il profumo di questo Monte, culla del monachesimo d'ogni epoca, il giardino dai frutti deliziosi (in ebraico karmel significa "Frutteto, giardino") evocato dal Cantico dei Cantici, pervade l'incontro tra questa donna anziana e questo Bimbo che celava un mistero prodigioso. Anna, immagine di Israele, la sposa della Creazione, era ormai vedova da troppi anni: Come ogni figlio di Israele intrappolato nel giogo dell'aguzzino romano, come ogni uomo della storia, era in attesa dell'ottavo giorno, quello delle nozze eterne e libere. Anna, che significa Grazia, una vita tra le mani orientata da sempre a quest'incontro. Anna, infatti, “non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere”. Una vedova che, senza stancarsi, bussava alle porte del Giudice perché le facesse giustizia del suo avversario: aveva perduto lo Sposo, lo cercava, lo aspettava, lo desiderava. Era profetessa e sapeva che sarebbe arrivata la Giustizia, la preghiera incollata alle pietre del tempio era l'immagine di questa certezza che tappezzava ogni centimetro d'esistenza, che la fondava e la orientava. Sapeva aspettare e, proprio per questo, saprà riconoscere nel Bambino quello che attendeva.
Era con tutta probabilità tra quelle donne che “nei tempi stabiliti venivano a prestare servizio all’ingresso della tenda del convegno” (Es 38,8; cfr. 1Sam 2,22). Viveva lì, facendo della sua vita un Tempio pronto ad accogliere il suo Dio; era sola con in seno la speranza di tutto il suo Popolo. E in un istante, dopo decine d'anni trascorsi tra digiuni e preghiere, ecco la Grazia di un incontro. Non era stata inutile la sua vita, anzi. Come non sono inutili anni di preghiere che sembrano evaporare inascoltate. Non è inutile pregare per il figlio che si è allontanato dalla Chiesa e non si vuole sposare; per il marito o la moglie che hanno tradito; per il fratello che ci odia pieno di gelosia. Non è inutile una sola delle nostre preghiere, dei sacrifici e dei digiuni, delle elemosine e delle lacrime. Tutto è raccolto nelle mani di Dio, e darà frutto a suo tempo, quello pensato da Dio nella sua provvidenza. Per questo la vecchiaia è feconda in una carica profetica dirompente. I calli del cuore solcati da lavoro e preghiera plasmano preghiere e parole sapide, autentiche, capaci di conficcarsi in terra come in Cielo, nel cuore degli uomini e in quelli di Dio. Quante donne anziane e quanti uomini, invece, vivono ai bordi della società, dalla panchina dei giardini pubblici ad una sedia in un angolo della casa; se non peggio, dimenticati in un ospizio, scivolando nelle ore senza senso per aver perduto la propria fondamentale missione. No, la vecchiaia è il tempo della preghiera più intensa, dell'intimità in attesa del compimento di tutta una vita. Gli anziani sono le antenne che ricevono ansie, speranze, angosce e desideri di tutta la famiglia per ritrasmetterle a Dio. Non sono soli, sono lasciati liberi per Dio. E a loro, come ad Anna, è concesso, in una pienezza di vita che gli anni precedenti non hanno conosciuto, la Grazia dell'incontro più importante, quello decisivo, per loro e per le loro famiglie. Possono accogliere Gesù con un'umiltà che la gioventù non ha e non può avere; è necessario cadere molto e molto rialzarsi, e imparare ad ccogliere la Luce capace di diradare le nebbie dell'illusione. Saranno gli anziani, i nonni a parlare a figli e nipoti, nuore e generi, di quel Bambino, della salvezza e del compimento, la redenzione a quanti attendono afferrati e distratti da mille impegni, un senso alle proprie vite.
Anna dunque, è immagine del culmine della vita, la parte migliore, la più saggia, la più santa, la più feconda. Perchè era proprio nella vecchiaia inoltrata che quel Dio pregato, amato e temuto le aveva risposto; ed ecco ora un Bambino, piccolo per lei piccola, umile per lei umile, nascosto per lei nascosta. Così Dio incontra i suoi figli. Nulla d'eccezionale, piuttosto lo stupore d'un evento atteso e accaduto nella semplicità d'un Bimbo che nasce. Così è la nostra storia con Dio. Viene a noi nelle sembianze semplici della vita d'ogni giorno, viene a trovarci e a saziare le speranze che ci colmano il cuore. Preghiera e digiuno sono in noi ad esprimere l'attesa e il desiderio di Lui; anche la preghiera fatta carne e il digiuno fatto lacrime di dolore e nostalgia sono il grido che cerca e aspetta Lui, il Bimbo atteso e che non abbiamo saputo partorire. Abbiamo bisogno della Chiesa, di Maria, anche se anziani, forse ancora di più. Anche se non ci siamo mai allontanati dal Tempio, anzi: viene ogni giorno Maria a presentarci Gesù. E' Lei che, per noi, ha creduto, gestato e partorito il frutto d'amore di cui siamo incapaci. E ora ecco Maria che viene ancora a donarci il suo Bambino perchè diventi il nostro, perché con Lei impariamo a donarlo al mondo. Anziani, sazi di anni e di misericordia eccoci fecondi come da giovani non lo siamo stati: ecco l'amor puro, ecco Gesù tra le nostre braccia distese per donarlo al mondo che ci circonda.
Anna è dunque figura di ciascuno di noi sposato nell'incompiutezza dei sette anni che disegnano la prima creazione ferita dalla caduta del peccato originale; come Anna attende il Messia Bambino che dischiuda l'alba della nuova creazione, l'ottavo giorno della redenzione che trasfigura la nostra carne e la nostra esistenza riscattandola dal peccato. La vita liberata dalla forza inerme di un Bambino stretto tra le braccia. E, con Lui, possiamo incamminarci oggi tutti alla Santa casa di Nazaret dove, bambini nel Bambino, fortificarci colmi di sapienza, con la Grazia ad accompagnarci. Andiamo a Nazaret dunque, la nostra casa, la nostra comunità, il nostro cammino: "Qui, a questa scuola, certo comprendiamo perché dobbiamo tenere una disciplina spirituale, se vogliamo seguire la dottrina del Vangelo e diventare discepoli del Cristo. Oh! come volentieri vorremmo ritornare fanciulli e metterci a questa umile e sublime scuola di Nazareth! Quanto ardentemente desidereremmo di ricominciare, vicino a Maria, ad apprendere la vera scienza della vita e la superiore sapienza delle verità divine!" (Paolo VI, Discorso pronunciato a Nazaret, 5 gennaio 1964).
Luca 2,36-40.
C'era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto col marito sette anni dal tempo in cui era ragazza, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme. Quando ebbero tutto compiuto secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nazaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui.
IL COMMENTO
“Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che è finita la sua schiavitù, è stata scontata la sua iniquità […] Prorompete insieme in canti di gioia, rovine di Gerusalemme, perché il Signore ha consolato il suo popolo, ha riscattato Gerusalemme” (Is 40,2; 52,9).
Una vedova e un bambino. Un figlio donato in compimento ad una preghiera senza posa. Il silenzio e la dedizione totale a Dio. Anna era figlia della Tribù di Aser cui era toccata in sorte una porzione della Terra Promessa che giungeva sino al Carmelo. Il profumo di questo Monte, culla del monachesimo d'ogni epoca, il giardino dai frutti deliziosi (in ebraico karmel che significa "Frutteto, giardino") evocato dal Cantico dei Cantici, pervade l'incontro tra questa donna anziana e questo Bimbo prodigioso. Anna, immagine di Israele, la sposa della Creazione, ed ora, vedova da troppi anni, in attesa dell'ottavo giorno, quello delle nozze eterne. Anna, che significa Grazia, ed una vita orientata a quest'incontro. Anna “Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere”. Era con tutta probabilità tra quelle donne che “nei tempi stabiliti venivano a prestare servizio all’ingresso della tenda del convegno” (Es 38,8; cfr. 1Sam 2,22). Era lì, sola con il suo Dio, con in seno la speranza di tutto il suo Popolo. Ed ora, in un istante, dopo decine d'anni trascorsi tra digiuni e preghiere, la Grazia di un incontro. Non era stata inutile la sua vita, anzi. La vecchiaia è feconda in una carica profetica dirompente. Quante donne anziane e quanti uomini vivono ai bordi della società, dalla panchina dei giardini pubblici ad una sedia in un angolo della casa; se non peggio, dimenticati in un ospizio. No, la vecchiaia è il tempo della preghiera più intensa, l'intimità colma di attesa del compimento di tutta una vita. Gli anziani sono come le antenne che ricevono ansie, speranze, angosce e desideri di tutta la famiglia per ritrasmetterle a Dio. Non sono soli, sono lasciati liberi per Dio. E a loro, come ad Anna, è concesso, in una pienezza di vita che gli anni precedenti non hanno conosciuto, la Grazia dell'incontro più importante, quello decisivo, per loro e per le loro famiglie. Saranno gli anziani, i nonni a parlare a figli e nipoti, nuore e generi, di quel Bambino, della salvezza e del compimento, la redenzione a quanti attendono afferratie distratti da mille impegni, un senso alle proprie vite. Anna dunque, il culmine della vita, la parte migliore, la più saggia, la pià santa, la più feconda. Perchè era proprio nella vecchiaia inoltrata che quel Dio pregato, amato e temuto le aveva risposto; ed ecco ora un Bambino, piccolo per lei piccola, umile per lei umile, nascosto per lei nascosta. Così Dio incontra i suoi figli. Nulla d'eccezionale, piuttosto lo stupore d'un evento atteso e accaduto nella semplicità d'un Bimbo che nasce. Così è la nostra storia con Dio. Viene a noi nelle sembianze semplici della vita d'ogni giorno, viene a trovarci e a saziare le speranze che ci colmano il cuore. Preghiera e digiuno ad esprimere l'attesa e il desiderio di Lui. Anna è dunque figura di ciascuno di noi sposato nell'incompiutezza dei sette anni che disegnano la prima creazione ferita dalla caduta del peccato originale; ed il Bambino Gesù, l'alba della nuova creazione, la redenzione che trasfigura la nostra carne e la nostra esistenza riscattandola dal peccato. La vita liberata dalla forza inerme di un Bambino stretto tra le braccia. E, con Lui, possiamo incaminarci oggi tutti alla Santa casa di Nazaret dove, bambini nel Bambino, fortificarci colmi di sapienza, con la Grazia ad accompagnarci. A Nazaret, la nostra casa, la nostra comunità, il nostro cammino. "Qui, a questa scuola, certo comprendiamo perché dobbiamo tenere una disciplina spirituale, se vogliamo seguire la dottrina del Vangelo e diventare discepoli del Cristo. Oh! come volentieri vorremmo ritornare fanciulli e metterci a questa umile e sublime scuola di Nazareth! Quanto ardentemente desidereremmo di ricominciare, vicino a Maria, ad apprendere la vera scienza della vita e la superiore sapienza delle verità divine! Ma noi non siamo che di passaggio e ci è necessario deporre il desiderio di continuare a conoscere, in questa casa, la mai compiuta formazione all'intelligenza del Vangelo.... Oh! se rinascesse in noi la stima del silenzio, atmosfera ammirabile ed indispensabile dello spirito: mentre siamo storditi da tanti frastuoni, rumori e voci clamorose nella esagitata e tumultuosa vita del nostro tempo. Oh! silenzio di Nazareth, insegnaci ad essere fermi nei buoni pensieri, intenti alla vita interiore, pronti a ben sentire le segrete ispirazioni di Dio e le esortazioni dei veri maestri. Insegnaci quanto importanti e necessari siano il lavoro di preparazione, lo studio, la meditazione, l'interiorità della vita, la preghiera, che Dio solo vede nel segreto" (Paolo VI, Discorso pronunciato a Nazaret, 5 gennaio 1964).
Padri e Magistero
San Pietro Crisologo (c. 406-450), vescovo di Ravenna, dottore della Chiesa
Sermo 147, sul mistero dell'Incarnazione
Anna vede finalmente Dio nel suo Tempio
Questo Dio che il mondo non può contenere, come lo può percepire lo sguardo così limitato dell'uomo? L'amore non si cura di sapere se una cosa sia sicura, appropriata o possibile. L'amore... non conosce misura. Non si consola con il pretesto che è impossibile; la difficoltà non lo ferma... L'amore non può non vedere ciò che ama... Come credersi amati da Dio senza contemplarlo? Così, l'amore che brama vedere Dio, anche se non è guidato dalla ragione, è ispirato dall'intuizione del cuore. Per questo Mosè ha osato dire: «Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, mostrami il tuo volto» (Es 33,13ss), e il salmista: «Mostrami il tuo volto» (cf 79,4)...
Dio quindi, conoscendo il desiderio degli uomini di vederlo, ha scelto un mezzo per rendersi visibile che sia un grande beneficio per gli abitanti della terra, senza essere per questo qualche cosa di degradante nei confronti del cielo. La creatura che Dio aveva fatta sulla terra simile a lui poteva passare in cielo per disonorevole? «Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza», egli aveva detto (Gn 1,26)... Se Dio avesse preso dal cielo la forma di un angelo, sarebbe rimasto ugualmente invisibile; se, d'altra parte, sulla terra si fosse incarnato in un essere di natura inferiore a quella dell'uomo, avrebbe recato offesa alla divinità e abbassato l'uomo invece di innalzarlo. Nessuno quindi, fratelli carissimi, consideri come un insulto rivolto a Dio il fatto che egli sia venuto agli uomini attraverso un uomo, e che abbia trovato presso di noi questo mezzo per essere da noi visto.
Dai «Discorsi» di Paolo VI, papa
(Discorso tenuto a Nazareth, 5 gennaio 1964)
L'esempio di Nazareth
La casa di Nazareth è la scuola dove si è iniziati a comprendere la vita di Gesù, cioè la scuola del Vangelo. Qui si impara ad osservare, ad ascoltare, a meditare, a penetrare il significato così profondo e così misterioso di questa manifestazione del Figlio di Dio tanto semplice, umile e bella. Forse anche impariamo, quasi senza accorgercene, ad imitare.
Qui impariamo il metodo che ci permetterà di conoscere chi è il Cristo. Qui scopriamo il bisogno di osservare il quadro del suo soggiorno in mezzo a noi: cioè i luoghi, i tempi, i costumi, il linguaggio, i sacri riti, tutto insomma ciò di cui Gesù si servì per manifestarsi al mondo.
Qui tutto ha una voce, tutto ha un significato. Qui, a questa scuola, certo comprendiamo perché dobbiamo tenere una disciplina spirituale, se vogliamo seguire la dottrina del Vangelo e diventare discepoli del Cristo. Oh! come volentieri vorremmo ritornare fanciulli e metterci a questa umile e sublime scuola di Nazareth! Quanto ardentemente desidereremmo di ricominciare, vicino a Maria, ad apprendere la vera scienza della vita e la superiore sapienza delle verità divine! Ma noi non siamo che di passaggio e ci è necessario deporre il desiderio di continuare a conoscere, in questa casa, la mai compiuta formazione all'intelligenza del Vangelo. Tuttavia non lasceremo questo luogo senza aver raccolto, quasi furtivamente, alcuni brevi ammonimenti dalla casa di Nazareth.
In primo luogo essa ci insegna il silenzio. Oh! se rinascesse in noi la stima del silenzio, atmosfera ammirabile ed indispensabile dello spirito: mentre siamo storditi da tanti frastuoni, rumori e voci clamorose nella esagitata e tumultuosa vita del nostro tempo. Oh! silenzio di Nazareth, insegnaci ad essere fermi nei buoni pensieri, intenti alla vita interiore, pronti a ben sentire le segrete ispirazioni di Dio e le esortazioni dei veri maestri. Insegnaci quanto importanti e necessari siano il lavoro di preparazione, lo studio, la meditazione, l'interiorità della vita, la preghiera, che Dio solo vede nel segreto.
Qui comprendiamo il modo di vivere in famiglia. Nazareth ci ricordi cos'è la famiglia, cos'è la comunione di amore, la sua bellezza austera e semplice, il suo carattere sacro ed inviolabile; ci faccia vedere com'è dolce ed insostituibile l'educazione in famiglia, ci insegni la sua funzione naturale nell'ordine sociale. Infine impariamo la lezione del lavoro. Oh! dimora di Nazareth, casa del Figlio del falegname! Qui soprattutto desideriamo comprendere e celebrare la legge, severa certo ma redentrice della fatica umana; qui nobilitare la dignità del lavoro in modo che sia sentita da tutti; ricordare sotto questo tetto che il lavoro non può essere fine a se stesso, ma che riceve la sua libertà ed eccellenza, non solamente da quello che si chiama valore economico, ma anche da ciò che lo volge al suo nobile fine; qui infine vogliamo salutare gli operai di tutto il mondo e mostrar loro il grande modello, il loro divino fratello, il profeta di tutte le giuste cause che li riguardano, cioè Cristo nostro Signore.
Simeone Provava così e testimoniava
che davvero la pace di Dio appartiene ai suoi servitori,
che essi gioiscono per la dolcezza della pace e della libertà quando,
sottratti ai tormenti del mondo,
raggiungono il rifugio e la sicurezza eterni...
Solo allora l'anima trova la vera pace,
il riposo completo,
la sicurezza che non finisce mai.
San Cipriano
Lc 2,22-35
Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, [Maria e Giuseppe] portarono il bambino [Gesù] a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore. Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo: «Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele». Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima -, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori»
IL COMMENTO
Un' attesa colmata. Una speranza esaudita. Una vita compiuta. Il Bambino nato a Betlemme è ora tra le braccia di chi lo aveva ardentemente desiderato vedere. Vedere la salvezza, ecco la Buona Ntizia di oggi. Gli occhi di Simeone han visto e ora nulla più desidera il suo cuore. E' un uomo realizzato, la sua vita ha raggiunto lo zenit, è ormai alle porte del Paradiso. Vedere Dio dunque è il segreto d'una vita veramente vissuta, realizzata, compiuta. Diceva infatti il Papa nella notte di Natale: "I pastori si dicono l’un l’altro il motivo per cui si mettono in cammino: “Vediamo questo avvenimento”. Letteralmente il testo greco dice: “Vediamo questa Parola, che lì è accaduta”. Sì, tale è la novità di questa notte: la Parola può essere guardata. Poiché si è fatta carne. Quel Dio di cui non si deve fare alcuna immagine, perché ogni immagine potrebbe solo ridurlo, anzi travisarlo, quel Dio si è reso, Egli stesso, visibile in Colui che è la sua vera immagine, come dice Paolo (cfr 2 Cor 4, 4; Col 1, 15). Nella figura di Gesù Cristo, in tutto il suo vivere ed operare, nel suo morire e risorgere, possiamo guardare la Parola di Dio e quindi il mistero dello stesso Dio vivente. Dio è così... Quando vediamo Lui, il Dio che è diventato un bambino, ci si apre il cuore. Nella Liturgia della Notte Santa Dio viene a noi come uomo, affinché noi diventiamo veramente umani". Vi è per noi una Parola da vedere, un'annuncio che si fa carne e storia e si rende visibile. Ascoltare e vedere, l'inizio ed il compimento. Come fu per Abramo che prima ascoltò e poi vide la promessa.
Come Maria. Come Simeone. Il suo stesso nome ci mostra il cammino preparato dal Signore. Simeone deriva infatti da Shime'on, ed è tratto da sh'ma, che significa ascoltare. Simeone è dunque l'immagine di chi vede per aver ascoltato. Lo Spirito Santo disceso su Maria muove l'anziano Simeone sulle tracce del compimento della Parola ascoltata durante l'arco della sua vita. E in un Bambino in braccio a sua Madre la vede viva e compiuta. Ora può chiudere gli occhi della carne, ormai congiunti a quelli della fede. Ora questa può lasciare il passo alla contemplazione eterna. Ora il fiume della vita si può perdere nel mare dell'eternità. In Simeone è disegnata la nostra stessa vita. L'ascolto della Parola ci ha messo in cammino, lo Spirito Santo ha mosso i nostri passi. Viviamo con una speranza racchiusa nel cuore. Tutto di noi aspira e tende ad una visione, l'unica che può illuminare e dare senso e compimento alle nostre esistenze. Anche se la tenda d'argilla appesantisce i nostri giorni e crediamo di desiderare altre cose, non è così. Lo aveva ben compreso Agostino quando scriveva che "Ci hai fatti per Te, Signore, e il nostro cuore non ha pace finché non riposi in Te". Simeone può riposare perchè quel Bambino offertogli da sua Madre lo aveva accolto nel suo amore infinito. Così per ciascuno di noi. La Vergine Maria ce lo offre ancora, e ogni giorno; la Chiesa, attraverso la Parola, la comunità e i Sacramenti, ci dona quel Bambino che è Dio, sceso a noi per accoglierci nela sua vita. Vedere oggi Dio è possibile nella Chiesa, il nuovo Tempio preparato per noi. Vederlo per vedere compiute tutte le promesse ricevute, ed, in esse, compiuta la nostra vita. Sarà attraversata da una spada, la Croce non ci lascerà, ma i nostri occhi che han visto la salvezza, come Simeone, come Maria, sapranno trapassare la carne ferita per scoprirne la vita celata, l'eterno amore che sgorga dalle stesse piaghe della Croce.
San Cipriano (circa 200-258), vescovo di Cartagine e martire
Trattato sulla mortalità, 2-3
«Ora lascia... che il tuo servo vada in pace»
«Il regno di Dio è vicino» (Lc 21,31). Fratelli carissimi, il Regno di Dio è ormai vicino. Con la fine del mondo si annunciano la ricompensa della vita, la felicità della salvezza eterna, la sicurezza per sempre e la gioia del paradiso che una volta perdemmo. E già le realtà del cielo subentrano a quelle umane, le grandi alle piccole, le eterne alle temporanee. C'è forse da preoccuparsi, da temere il futuro?...
Sta scritto che «Il giusto vivrà mediante la fede» (Rm 1,17). Se siete giusti, se vivete mediante la fede, se credete veramente in Gesù Cristo, perché non vi rallegrate di essere chiamati verso Cristo..., poiché siete forti della promessa di Dio e destinati a essere con Cristo? Prendete l'esempio del giusto Simeone: era veramente giusto e ha osservato con fedeltà i comandamenti di Dio. Un'ispirazione divina gli aveva preannunziato che non sarebbe morto senza prima aver veduto Cristo, tanto che, quando Gesù bambino è andato al Tempio con sua madre, ha compreso, illuminato dallo Spirito Santo, che era nato il Salvatore, come gli era stato predetto; e vedendolo, ha capito che la sua morte era imminente.
Tutto contento di questa prospettiva e sicuro ormai d'essere presto chiamato presso Dio, ha preso il bambino fra le braccia e ha esclamato benedicendo il Signore: «"Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza». Provava così e testimoniava che davvero la pace di Dio appartiene ai suoi servitori, che essi gioiscono per la dolcezza della pace e della libertà quando, sottratti ai tormenti del mondo, raggiungono il rifugio e la sicurezza eterni... Solo allora l'anima trova la vera pace, il riposo completo, la sicurezza che non finisce mai.