Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

giovedì 26 dicembre 2013







Il martirio di Santo Stefano, miniatura, 1350-1378, Parigi, Biblioteca Nazionale



La carità che fece scendere Cristo dal cielo sulla terra, 

innalzò Stefano dalla terra al cielo. 

La carità che fu prima nel Re, rifulse poi nel soldato.

Stefano quindi per meritare la corona che il suo nome significa, 

aveva per armi la carità e con essa vinceva dovunque. 

Per mezzo della carità non cedette ai Giudei 

che infierivano contro di lui; 

per la carità verso il prossimo pregò per quanti lo lapidavano. 

Con la carità confutava gli erranti perché si ravvedessero; 

con la carità pregava per i lapidatori perché non fossero puniti.

Sostenuto dalla forza della carità vinse Saulo che infieriva crudelmente, 

e meritò di avere compagno in cielo 

colui che ebbe in terra persecutore.




San Fulgenzio di Ruspe



Beato Martín Martínez Pascual


La foto-agenzia EFE, riflette il volto di un sacerdote spagnolo, catturato dai miliziani repubblicani durante la guerra civile spagnola, alcuni momenti prima di essere fucilato il 18 di agosto del 1936. L'autore dell'istantanea è il fotografo tedesco Hans Gutmann. Il sacerdote dell'immagine è il beato Martín Martínez Pascual presbitero e martire, membro della Società di Sacerdoti Operai Diocesani. La fotografia l'aveva nel suo ufficio il Decano della Facoltà di Teologia di Madrid San Dámaso, Pablo Dominguez, morto qualche tempo fa in un incidente di montagna. Su questa fotografio, Pablo affermò: "La ottenni a Mosca, in un congresso. Mi piacque e, leggendo le frasi del riquadro, mi interessai alla cosa ancora di più. È la fotografia - mentre lo spiegava gli brillavano gli occhi, si sentiva emozionato e con voglia di imitarlo; sembrava che parlasse di sé - di un sacerdote spagnolo, il Beato Martín Martínez, operaio diocesano, naturale di Valdealgorfa (Teruel), diocesi di Saragozza. Fissatevi bene sul suo sguardo fermo, le braccia, sicuro e coraggioso..."






Dal Vangelo secondo Matteo 10,17-22

Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai loro tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti ai governatori e ai re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani. E quando vi consegneranno nelle loro mani, non preoccupatevi di come o di che cosa dovrete dire, perché vi sarà suggerito in quel momento ciò che dovrete dire: non siete infatti voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi. Il fratello darà a morte il fratello e il padre il figlio, e i figli insorgeranno contro i genitori e li faranno morire. E sarete odiati da tutti a causa del mio nome; ma chi persevererà sino alla fine sarà salvato. 


Il commento


"Guardatevi dagli uomini" ma non smettete di guardare ogni uomo con gli occhi di Cristo, perché essi, fissando gli occhi su di voi, vedranno il vostro volto “come quello di un angelo” (cfr. Atti 6,15). Nei vostri occhi contempleranno il “Cielo aperto ed il Figlio di Dio” vittorioso sulla morte e il peccato intercedere alla destra del Padre per ciascun uomo, anche per l'ultimo e peggior peccatore. Oggi, il primo giorno di vita del Signore appena concluso, ci consegna il primo frutto della sua venuta nella carne. Carne offerta in una mangiatoia, inerme, mangiata. Stefano, carne perfetta di Colui che ne ha preso la carne per farne un'offerta gradita e santa, carne martire a “corona” di uno sguardo di misericordia. Stefano, parole di fuoco e volto d'angelo, Verità e Misericordia abbracciate per salvare un mondo di aguzzini, perduti nell'irragionevolezza del peccato. Stefano, il primo di una moltitudine immensa, la schiera dei martiri che innervano da due millenni la Chiesa del sangue stesso di Cristo, Bambino sepolto in una mangiatoia perché ogni adulto sepolto nella morte che è salario del peccato, possa ridiventare bambino ed entrare nel Paradiso. "Nel bambino nella stalla di Betlemme, si può, per così dire, toccare Dio e accarezzarlo" (Benedetto XVI,Omelia nella Notte di Natale 2011). Ma in quel Bambino, Dio può essere anche ferito, lapidato, ucciso. Dio può morire nella carne di suo Figlio. Egli è entrato nel mondo dalla porta di servizio, quella di una stalla lercia e maleodorante, senza difese, esposto ad ogni ingiustizia, ai sassi e agli sputi, al vilipendio e alla menzogna, alla calunnia e all'ira, alla concupiscenza e all'idolatria, all'odio cieco e sordo, all'avidità insaziabile e all'orgoglio smisurato. Dio ha dimenticato d'essere Dio, non ha difeso gelosamente la sua dignità, si è confuso tra le carni olezzanti di peccato, celando l'immacolatezza della sua ed esponendo perfino quella di sua Madre al sospetto e all'ingiuria calunniosa, per puro, unico e incredibile amore. Dio s'è fatto il più piccolo tra i piccoli, un granello di senape, perché le fauci del male e del maligno ne avessero più facilmente ragione; gli uomini avevano reso semplice il copione al demonio, Dio lo ha reso ancor più facile per spingerlo alla disfatta: si è fatto uomo come tutti, e di più, si è fatto servo e peccato, preda succulenta per attirare il predatore e farne la preda da consegnare al Padre, ormai smascherata e vinta per sempre. Dio ha cercato il limite estremo della libertà dell'uomo, dove egli ha toccato e mangiato del frutto che gli era stato precluso, oltrepassando il confine entro il quale avrebbe vissuto nella comunione perfetta con il Creatore. Attraverso le mani pure e sante di Maria, Dio sì è fatto deporre su quel fronte insanguinato, facendosi carne da toccare come quel frutto, azzannato da un cuore infetto d'orgoglio, saturo di superbia, accecato di menzogna. Si è fatto uccidere, e dalla sua morte si è sprigionata la Grazia del perdono, della Vita stupefacente ed eterna, vittoriosa su ogni peccato. 

Una mangiatoia, un Bambino e una Madre. Come al Principio, un nuovo ed eterno Principio: un albero, un frutto e una donna. Toccare, mangiare e nascere, invece di toccare, mangiare e morire, perché in Gesù, il destino di morte è trasformato in un'alba di Vita. Il Mistero del Natale, come raccontano le icone dell'Oriente, si svela nel Mistero di Pasqua. Il segno, l'unico, annunciato dagli angeli, l'unica ragione della gioia e della pace: un bimbo adagiato nella morte per seminarvi la Vita. Maria, la Nuova Eva madre di ogni vivente, è l’immagine della Chiesa che depone ogni giorno su ogni centimetro della terra, il suo Bambino indifeso, perché sia toccato e mangiato, e offrire così, senza stancarsi, il frutto squisito del perdono. Natale, Pasqua, le notti del Salvatore come quella che ha ingoiato Stefano, deposto nella mangiatoia della storia della Chiesa e del mondo; Stefano, Cristo vivo e risorto in Lui, amore puro e gratuito che risplende come un angelo nella notte dei pastori, annuncio e profezia di gioia vera e pace autentica; Stefano, diacono e servo, immagine “perfetta” del Servo di Yahwè, agnello di Dio condotto al sacrificio; nella sua carne è nascosto un frammento della passione di Gesù, perché essa giunga, viva, visibile, toccabile, afferrabile per quegli assassini lì di fronte, così libera da essere di nuovo uccisa e diventare ancora viscere di misericordia nelle quali rinascere in una vita nuova. Il seno benedetto del Golgota, il passaggio angusto inaugurato da Gesù e percorso da Stefano, la porta al Paradiso perduto da ogni uomo, e il Figlio e i suoi fratelli accompagnati dalla loro Madre, ancora una volta su quella soglia, a decidere il bene per chi ha compiuto il male. Il Figlio in ogni suo fratello, in Stefano, il primo, e via via in ogni altro, sino al beato Martín Martínez Pascual (il sacerdote martire ritratto nella foto pochi istanti prima di essere fucilato durante la guerra civile spagnola), gli occhi d'angelo fissi sui suoi assassini, e le stesse parole prima di morire fucilato: "Io non voglio altro che darvi la mia benedizione affinché Dio non vi prenda in considerazione la pazzia che commettete". Guardava la morte, come Stefano, come ogni martire, fissava gli uomini e li vedeva salvi, le vesti bianche nel sangue del suo Signore, ed era il suo che, per loro, era in procinto di versare. Un prete, un uomo, un bambino, un agnello muto “consegnato ai tribunali” delle ideologie e dei criteri mondani, “flagellato” nell'anima dai giudizi, dalle gelosie, dai rancori e dalle invidie. “Odiato da tutti”, senza esclusione, perché in tutti - padre o fratello, amico o fidanzata, figlio o collega che siano poco importa - è vivo il veleno del serpente antico. Esso cerca avido la carne di Cristo dove sciogliersi, ignaro che questo si tradurrà nella sua fine. L'ha cercata in Stefano, in Pietro, in Martin, in ciascuno di noi oggi. Per questa “ora” siamo venuti al mondo, la stessa del Figlio che ci ha amati e riscattati: l'ora nella quale “guardarsi” da compromessi e i legami carnali, e fissare ogni uomo con gli occhi di Cristo. “Lo Spirito parlerà” nel nostro sguardo, nelle nostre parole - ove esse fossero necessarie - nei nostri gemiti sotto la pioggia di sassi e spari e flagelli: "Padre perdonali, non imputare loro questo peccato", le parole di un angelo, martire e apostolo mite dell'amore che vince il peccato, i balbettii d’amore preparati per noi e per il mondo. 



















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