Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

venerdì 20 dicembre 2013

NOVENA DI NATALE QUINTO GIORNO

Peppino e la montagna nera

Foto: NOVENA DI NATALE

QUINTO GIORNO  

Tema:  Preparare la via.  

La storia: Peppino e la montagna nera  

   
C'era una volta un villaggio costruito in una valle lunga e stretta, in mezzo a montagne alte e roccio­se, che si spalancavano qua e là in distese di prati e di pascoli. Gli abitanti del villaggio erano mode­ratamente soddisfatti: le loro mucche e le loro pe­core erano ben pasciute, latte e formaggio si vende­vano bene, anche se il mercato era lontano. Ma sul­la loro felicità aleggiava un'ombra nera. L'ombra nera della Torre Maledetta. La Torre Maledetta era una ruvida formazione rocciosa che chiudeva la valle e incombeva sul vil­laggio impedendogli di essere illuminato dal sole, se non pochi minuti all'alba e altrettanto pochi al tra­monto. Per il resto del giorno il sole illuminava so­lo i fianchi più alti dei fianchi della valle. Così il vil­laggio passava la sua giornata all'ombra. Per colpa della Torre Maledetta.  

Un villaggio senza fiori  

A Peppino, un giovane dall'aria sveglia e dal ca­rattere aperto e deciso, la cosa non andava proprio giù. Gli sarebbe tanto piaciuto avere un giardino da­vanti alla casa, con i fiori e un ciliegio e due albi­cocchi e un melo. Ma non sbocciavano fiori nel vil­laggio, né ortaggi, perché c'era troppo poco sole. Chi voleva un orto doveva andare a coltivarlo lontano dal villaggio. Per questo molti andavano ad abitare altrove e, piano piano, il villaggio perdeva abitanti. Il villag­gio rischiava di morire per colpa della Torre Male­detta. Era l'unica cosa che riusciva a guastare il buo­numore di Peppino. Ogni mattino, mentre si stira­va sul balcone della sua camera e si lasciava acca­rezzare dai raggi del sole, prima che fossero inghiot­titi dall'ombra, fissava la superba roccia nera con gli occhi che mandavano lampi di dispetto. «Accidenti, accidentaccio», brontolava. «Un vil­laggio senza fiori, senza farfalle e senza canzoni è un villaggio senza bambini, un villaggio che muo­re...». Girava gli occhi sui tetti d'ardesia che avevano riflessi d'argento e sui camini che con il loro fumo facevano propaganda alla fragrante polenta che bor­bottava nei paioli di rame, pensava agli abitanti che conosceva tutti per nome, cognome e soprannome e si diceva: «Devo assolutamente fare qualcosa... So­no il più giovane del villaggio e quindi tocca a me!». Un mattino, appena il sole si nascose dietro la parete nera della Torre prese la decisione. Si mise sulle spalle il piccone nuovo che aveva comprato alla fiera e si incamminò, con passo risoluto verso la montagna. «Dove vai?», gli chiese la mamma. «Vado a buttare giù la Torre Maledetta», rispo­se semplicemente Peppino. «Ma cosa dici? Sei diventato matto? Non ce la farai mai!». «Qualcuno deve incominciare una buona volta!», ribadì caparbio. Arrivato ai piedi della Torre, alzò lo sguardo ver­so l'immensa parete scura che incombeva su di lui con un vago senso di minaccia. «A noi due!», disse Peppino. Gli rispose un rombo cupo, come una grassa ri­sata sussultante, che terminò nel sibilo maligno del vento. «Comincerò dall'alto», si disse e cominciò a salire. La vetta della Torre aveva qualche chiazza di ne­ve, ma Peppino non degnò di uno sguardo il pano­rama. Alzò il piccone e lo abbatté con tutte. le sue forze contro la roccia. «Tò, beccati questo!». Con un po' di sorpresa, si accorse che il suo col­po di piccone aveva staccato un grosso blocco di pie­tra che lentamente rotolò giù dalla vetta, trascinan­dosi dietro un corteo di sassi più piccoli. «Allora si può!», esultò. Moltiplicò i colpi, con rabbia, con gioia. «Aprirò la strada al sole!». Dopo qualche ora si buttò a terra, sudato, spos­sato. E guardò il risultato della sua opera. Aveva buttato giù un bel po' di sassi, ma non aveva abbas­sato la Torre neanche di un millimetro. «Dovessi impiegarci tutta la vita ce la farò!», si disse.  

Una vocina nella roccia  

Ma gli sembrò di riudire il rombo sussultante che era la risata di scherno della Torre. Si rialzò e riprese a picchiare con il piccone. «Bec­cati questo! E anche questo!», gridava sbrecciando, scheggiando, frantumando le rocce della vetta. Passò quel giorno e quello dopo. Così per un mese. Ogni mattina, Peppino rinnovava la sua sfida alla Torre Maledetta. Ma il risultato non era granché: l'immane picco sembrava più alto e saldo che mai. «Lascia perdere», gli dicevano i concittadini, che cominciavano a crederlo un po' matto. «Tanto ci sia­mo abituati». Scuotendo la testa, Peppino insisteva: «Farò ar­rivare il sole sul vostro balcone tutto il giorno... E sbocceranno i fiori nella piazza». Tornava lassù e ricominciava a picconare. Dopo qualche mese, il «pic... pic...» del suo pic­cone divenne un rumore familiare per le pecore e le mucche degli alti pascoli. Ma era così grande e solida quella roccia... Un mattino, però, successe una cosa straordina­ria. Peppino stava spingendo giù dalla Torre un gros­so masso che aveva appena staccato, quando udì chiaramente una vocina che lo chiamava. «Peppino, Peppino». Si guardò intorno sorpreso. La voce riprese a chiamare. La cosa più strana era che la voce prove­niva da dentro la montagna. «Dove sei?», chiese Peppino.«Qui, sotto i tuoi piedi, dentro la roccia!». Peppino si inginocchiò e scrutò con attenzione nel buco lasciato dal masso. Sul fondo si apriva una fessura e, dentro la fessura, piccola piccola si agita­va una manina bianca. «Liberami», implorò la vocina. Impugnò il pic­cone e in poco tempo scavò fino ad arrivare alla ma­no, poi continuò con attenzione e infine si trovò da­vanti una bambina dagli occhi color lago alpino e vestito color spuma di torrente. «Grazie», disse la bambina, mentre Peppino la guardava con l'aria stralunata. «Sono la fata delle sorgenti, ma il maligno architetto della Torre mi ha imprigionata. Ma ora che mi hai liberata, il tuo de­siderio si avvererà». «E come farai? Sei così piccola e fragile». «Con la pazienza, un po' di tempo e la forza del­l'acqua», sorrise la fatina. Alzò la mano, come fos­se il cenno di attacco di un direttore d'orchestra. Mil­le gorgoglii, saltelli, risatelle, sciacquii riempirono l'aria. Mille sorgenti sbocciarono sulla Torre Male­detta. Piccole all'inizio, si riunirono a formare ru­scelli, torrenti, cascate. E ognuno di essi incideva, smerigliava, scavava, trasportava a valle ghiaia, sassi, detriti. «Stanno facendo a pezzi la Maledetta!», gridò Peppino e fece volare in aria il cappello. Voleva rin­graziare la fata delle sorgenti, ma quella non c'era più. Corse a dare la notizia al villaggio, che adesso era fiancheggiato da un torrente giovane e forte che scendeva dalla Torre Maledetta. Oggi quel villaggio è inondato dal sole dal mat­tino alla sera, ed è pieno di fiori, farfalle e bambi­ni. Al posto della Torre c'è una serie di roccette smoz­zicate, coperte dal muschio e dai cespugli. Ci vanno i vecchietti a cercare i funghi.  

    La riflessione  

Che tristezza vivere nell'ombra! Se ci fosse qual­cosa che impedisce al sole di arrivare fino a noi, fa­remmo come Peppino: cercheremmo di abbattere l'o­stacolo, perché il sole è importante: è la vita. Anche per l'arrivo di un personaggio importan­te, per la visita di un capo di stato, si fanno tanti preparativi: si studiano i percorsi, le soste, gli incon­tri. Vengono tolti tutti i possibili intralci. Giovanni Battista ci invita a fare altrettanto per la venuta di Gesù, che è più importante del sole e di qualsiasi altro personaggio. Ma gli ostacoli che dobbiamo togliere e abbattere sono dentro di noi: le cattive abitudini, i peccati, le pigrizie, le parole cattive. Sono tutte queste cose che fanno ombra nella nostra anima. Peppino è riuscito nella sua impresa perché si è fatto aiutare dalla fata delle sorgenti. Anche noi dob­biamo farci aiutare dalla Grazia, cioè dalla forza che Dio dona a tutti coloro che decidono davvero di ac­coglierlo nella loro vita. Per questo esistono i Sacramenti e, in modo par­ticolare il Sacramento della Riconciliazione.   

 La preghiera  

Vieni, Signore, non ci sono ostacoli sulla strada che porta al mio cuore. Risplendi come luce nelle mie tenebre, le mie labbra proclameranno il tuo nome; tutta la terra conoscerà il tuo amore e tutti gli uomini la tua salvezza.  

   Il gesto 

Durante la riflessione alcuni bambini e l'anima­tore formano un «muro» di cubi di polistirolo o osta­coli vari. Ogni «mattone» ha il nome di una man­canza. Al termine della celebrazione i bambini sono invitati ad abbatterlo.  

Il fioretto  

Eliminare per una giornata ogni tipo di capriccio.


NOVENA DI NATALE

QUINTO GIORNO 

Tema: Preparare la via.

La storia: Peppino e la montagna nera



C'era una volta un villaggio costruito in una valle lunga e stretta, in mezzo a montagne alte e roccio­se, che si spalancavano qua e là in distese di prati e di pascoli. Gli abitanti del villaggio erano mode­ratamente soddisfatti: le loro mucche e le loro pe­core erano ben pasciute, latte e formaggio si vende­vano bene, anche se il mercato era lontano. Ma sul­la loro felicità aleggiava un'ombra nera. L'ombra nera della Torre Maledetta. La Torre Maledetta era una ruvida formazione rocciosa che chiudeva la valle e incombeva sul vil­laggio impedendogli di essere illuminato dal sole, se non pochi minuti all'alba e altrettanto pochi al tra­monto. Per il resto del giorno il sole illuminava so­lo i fianchi più alti dei fianchi della valle. Così il vil­laggio passava la sua giornata all'ombra. Per colpa della Torre Maledetta.

Un villaggio senza fiori

A Peppino, un giovane dall'aria sveglia e dal ca­rattere aperto e 
deciso, la cosa non andava proprio giù. Gli sarebbe tanto piaciuto avere un giardino da­vanti alla casa, con i fiori e un ciliegio e due albi­cocchi e un melo. Ma non sbocciavano fiori nel vil­laggio, né ortaggi, perché c'era troppo poco sole. Chi voleva un orto doveva andare a coltivarlo lontano dal villaggio. Per questo molti andavano ad abitare altrove e, piano piano, il villaggio perdeva abitanti. Il villag­gio rischiava di morire per colpa della Torre Male­detta. Era l'unica cosa che riusciva a guastare il buo­numore di Peppino. Ogni mattino, mentre si stira­va sul balcone della sua camera e si lasciava acca­rezzare dai raggi del sole, prima che fossero inghiot­titi dall'ombra, fissava la superba roccia nera con gli occhi che mandavano lampi di dispetto. «Accidenti, accidentaccio», brontolava. «Un vil­laggio senza fiori, senza farfalle e senza canzoni è un villaggio senza bambini, un villaggio che muo­re...». Girava gli occhi sui tetti d'ardesia che avevano riflessi d'argento e sui camini che con il loro fumo facevano propaganda alla fragrante polenta che bor­bottava nei paioli di rame, pensava agli abitanti che conosceva tutti per nome, cognome e soprannome e si diceva: «Devo assolutamente fare qualcosa... So­no il più giovane del villaggio e quindi tocca a me!». Un mattino, appena il sole si nascose dietro la parete nera della Torre prese la decisione. Si mise sulle spalle il piccone nuovo che aveva comprato alla fiera e si incamminò, con passo risoluto verso la montagna. «Dove vai?», gli chiese la mamma. «Vado a buttare giù la Torre Maledetta», rispo­se semplicemente Peppino. «Ma cosa dici? Sei diventato matto? Non ce la farai mai!». «Qualcuno deve incominciare una buona volta!», ribadì caparbio. Arrivato ai piedi della Torre, alzò lo sguardo ver­so l'immensa parete scura che incombeva su di lui con un vago senso di minaccia. «A noi due!», disse Peppino. Gli rispose un rombo cupo, come una grassa ri­sata sussultante, che terminò nel sibilo maligno del vento. «Comincerò dall'alto», si disse e cominciò a salire. La vetta della Torre aveva qualche chiazza di ne­ve, ma Peppino non degnò di uno sguardo il pano­rama. Alzò il piccone e lo abbatté con tutte. le sue forze contro la roccia. «Tò, beccati questo!». Con un po' di sorpresa, si accorse che il suo col­po di piccone aveva staccato un grosso blocco di pie­tra che lentamente rotolò giù dalla vetta, trascinan­dosi dietro un corteo di sassi più piccoli. «Allora si può!», esultò. Moltiplicò i colpi, con rabbia, con gioia. «Aprirò la strada al sole!». Dopo qualche ora si buttò a terra, sudato, spos­sato. E guardò il risultato della sua opera. Aveva buttato giù un bel po' di sassi, ma non aveva abbas­sato la Torre neanche di un millimetro. «Dovessi impiegarci tutta la vita ce la farò!», si disse.

Una vocina nella roccia

Ma gli sembrò di riudire il rombo sussultante che era la risata di scherno della Torre. Si rialzò e riprese a picchiare con il piccone. «Bec­cati questo! E anche questo!», gridava sbrecciando, scheggiando, frantumando le rocce della vetta. Passò quel giorno e quello dopo. Così per un mese. Ogni mattina, Peppino rinnovava la sua sfida alla Torre Maledetta. Ma il risultato non era granché: l'immane picco sembrava più alto e saldo che mai. «Lascia perdere», gli dicevano i concittadini, che cominciavano a crederlo un po' matto. «Tanto ci sia­mo abituati». Scuotendo la testa, Peppino insisteva: «Farò ar­rivare il sole sul vostro balcone tutto il giorno... E sbocceranno i fiori nella piazza». Tornava lassù e ricominciava a picconare. Dopo qualche mese, il «pic... pic...» del suo pic­cone divenne un rumore familiare per le pecore e le mucche degli alti pascoli. Ma era così grande e solida quella roccia... Un mattino, però, successe una cosa straordina­ria. Peppino stava spingendo giù dalla Torre un gros­so masso che aveva appena staccato, quando udì chiaramente una vocina che lo chiamava. «Peppino, Peppino». Si guardò intorno sorpreso. La voce riprese a chiamare. La cosa più strana era che la voce prove­niva da dentro la montagna. «Dove sei?», chiese Peppino.«Qui, sotto i tuoi piedi, dentro la roccia!». Peppino si inginocchiò e scrutò con attenzione nel buco lasciato dal masso. Sul fondo si apriva una fessura e, dentro la fessura, piccola piccola si agita­va una manina bianca. «Liberami», implorò la vocina. Impugnò il pic­cone e in poco tempo scavò fino ad arrivare alla ma­no, poi continuò con attenzione e infine si trovò da­vanti una bambina dagli occhi color lago alpino e vestito color spuma di torrente. «Grazie», disse la bambina, mentre Peppino la guardava con l'aria stralunata. «Sono la fata delle sorgenti, ma il maligno architetto della Torre mi ha imprigionata. Ma ora che mi hai liberata, il tuo de­siderio si avvererà». «E come farai? Sei così piccola e fragile». «Con la pazienza, un po' di tempo e la forza del­l'acqua», sorrise la fatina. Alzò la mano, come fos­se il cenno di attacco di un direttore d'orchestra. Mil­le gorgoglii, saltelli, risatelle, sciacquii riempirono l'aria. Mille sorgenti sbocciarono sulla Torre Male­detta. Piccole all'inizio, si riunirono a formare ru­scelli, torrenti, cascate. E ognuno di essi incideva, smerigliava, scavava, trasportava a valle ghiaia, sassi, detriti. «Stanno facendo a pezzi la Maledetta!», gridò Peppino e fece volare in aria il cappello. Voleva rin­graziare la fata delle sorgenti, ma quella non c'era più. Corse a dare la notizia al villaggio, che adesso era fiancheggiato da un torrente giovane e forte che scendeva dalla Torre Maledetta. Oggi quel villaggio è inondato dal sole dal mat­tino alla sera, ed è pieno di fiori, farfalle e bambi­ni. Al posto della Torre c'è una serie di roccette smoz­zicate, coperte dal muschio e dai cespugli. Ci vanno i vecchietti a cercare i funghi.

La riflessione

Che tristezza vivere nell'ombra! Se ci fosse qual­cosa che impedisce al sole di arrivare fino a noi, fa­remmo come Peppino: cercheremmo di abbattere l'o­stacolo, perché il sole è importante: è la vita. Anche per l'arrivo di un personaggio importan­te, per la visita di un capo di stato, si fanno tanti preparativi: si studiano i percorsi, le soste, gli incon­tri. Vengono tolti tutti i possibili intralci. Giovanni Battista ci invita a fare altrettanto per la venuta di Gesù, che è più importante del sole e di qualsiasi altro personaggio. Ma gli ostacoli che dobbiamo togliere e abbattere sono dentro di noi: le cattive abitudini, i peccati, le pigrizie, le parole cattive. Sono tutte queste cose che fanno ombra nella nostra anima. Peppino è riuscito nella sua impresa perché si è fatto aiutare dalla fata delle sorgenti. Anche noi dob­biamo farci aiutare dalla Grazia, cioè dalla forza che Dio dona a tutti coloro che decidono davvero di ac­coglierlo nella loro vita. Per questo esistono i Sacramenti e, in modo par­ticolare, il Sacramento della Riconciliazione. 

 Tratto da: Angelo Valente "La grotta e la stella. Novena di Natale con nove storielle per bambini ragazzi e... adulti alla ricerca di semplicità" - LDC

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