Le tre chiavi del cielo
NOVENA DI NATALE
SECONDO GIORNO
C'era una volta un grande re, il più grande del suo tempo. Un tempo nel quale gli uomini conoscevano ancora il posto dove si trovava il cancello del Cielo. Il re aveva conquistato tutto quello che c'era da conquistare, ma voleva ancora una cosa, la più importante: voleva le chiavi che aprivano il cancello del Cielo. Ma nessuno riusciva ad accontentarlo. Il re aveva speso gran parte del suo enorme tesoro per pagare gente che esplorasse ogni angolo della Terra per trovare quelle benedette chiavi, ma senza esito. Aveva inviato i suoi coraggiosi paladini nelle zone più nascoste. Invano. Così un giorno, il re arrivò a cavallo davanti al cancello, che sembrava sfidarlo, solido, inaccessibile. Agitò il pugno verso gli angeli che facevano la guardia e gridò: «Non avrò pace, finché non avrò le chiavi che aprono questo cancello!». Un angelo lo guardò con una luce divertita negli occhi, perché i re della Terra non sono poi così importanti per un angelo del Cielo, e rispose: «Sulla Terra ci sono migliaia di chiavi che possono aprire il cancello del Cielo, fioriscono proprio sotto i loro piedi, ma gli uomini continuano a calpestarle. Le potrai trovare anche tu, se le saprai cercare. Sono tre quelle destinate a te. Se le troverai, potrai aprire il cancello del Cielo». Il re scese da cavallo e cominciò immediatamente la ricerca. Per parecchi anni frugò con gli occhi il suolo dove posava i piedi, ma nessuna chiave fiorì mai sotto i suoi piedi.
La prima chiave
Un giorno, mentre camminava, quasi inciampò in un alberello rachitico e quasi secco. Gli anni trascorsi nella ricerca della chiavi del Cielo lo avevano reso meno orgoglioso e più attento alle cose piccole e deboli. Raccolse l'alberello e lo portò a casa. Preparò un letto di terra soffice, piantò l'alberello e lo innaffiò con cura. Poi provvide a sostenere i piccoli rami e il tronco con dei tiranti. Un passante che assisteva alla scena gli disse: «Lascia perdere quello sgorbietto d'albero. Anche se lo salvi, sei troppo vecchio per poter godere della sua ombra e dei suoi frutti. Che te ne importa?». «Un giorno qualcuno si siederà qui e benedirà l'ombra di questo albero e i suoi frutti e quindi un po' anche me», rispose il re. «Posso esserne felice già adesso». In quel momento vide la prima chiave. Era proprio sotto il suo piede destro e sembrava spuntata dalla terra. Era una chiave forgiata in uno strano metallo: verde come lo smeraldo.
La seconda chiave
Passò dell'altro tempo. Il re continuò la sua ricerca. Un pomeriggio d'inverno, durante un forte temporale, vide una bambina lacera e scalza, che tremava rannicchiata in un portone della città vecchia. Il re si fermò, si tolse il mantello e lo avvolse attorno alla bambina, poi la prese in braccio e la portò nel palazzo reale. Le preparò un pasto caldo e cercò dei vestiti che le andassero bene. Proprio in quel momento si accorse che sotto il suo piede sinistro c'era la seconda chiave. Era anche quella una chiave forgiata in un metallo speciale, color rosso rubino.
La terza chiave
Passarono altri anni. Il re era diventato un pellegrino vecchio e stanco. Camminava a fatica, appoggiandosi ad un bastone, ma non aveva smesso di cercare la chiave che gli mancava. Giunse, una notte, in una piccola città dell'Oriente. Cercava un posto per riposare, quando una strana animazione tra la gente lo incuriosì. Vide un curioso corteo di persone eccitate che uscivano dalla città. «Che ci vanno a fare in campagna a mezzanotte?», si chiese il re. E li seguì. Arrivò davanti ad una baracca malandata che fungeva da stalla. La gente che aveva camminato più in fretta di lui se stava già tornando in città, quando lui si affacciò alla stalla. Alla scarsa luce di una fiaccola fumosa, scorse una giovane mamma che cullava il suo bambino. In quel momento il bambino aprì gli occhi. Il vecchio re si sentì tutto illuminato da quello sguardo e, per la prima volta nella sua vita, piegò le ginocchia davanti a qualcuno. Mentre il suo cuore si riempiva di gioia, perché davanti a lui, fiorita dal nulla, c'era la terza chiave. Una chiave tutta d'oro. Aveva trovato le tre chiavi e ora poteva aprire il cancello del Cielo.
La riflessione
Il re del nostro racconto trovò le chiavi del Regno dei Cieli non con la ricchezza, la forza o il potere, ma quando cominciò a vivere concretamente la Fede, la Speranza e la Carità, simboleggiate dalla chiave d'oro, verde e rossa. Tutti noi vorremmo trovare le chiavi del Cielo, la soluzione a tutte le domande più importanti. Tutti abbiamo dentro il desiderio di trovare Dio. La prima domanda che Gesù rivolge ai due discepoli di Giovanni Battista che l'hanno seguito è: «Chi cercate?». Il Natale ci dice che Dio è venuto ad abitare la nostra terra e che si fa trovare da chi lo cerca con sincerità. Cercare significa che si è per strada, che si cammina verso una mèta. Cercare è sempre un atto di fiducia e di coraggio. Per questo sono pochi quelli che cercano veramente le chiavi del Cielo. Cercare è anche fatica, forza di volontà, prezzo da pagare, com'è accaduto al re della nostra storia. «Cercare Dio» significa soprattutto incominciare dall'attenzione verso ciò che è piccolo, debole, nascosto. Il Natale ci vuole insegnare proprio che è lì che si trovano le tracce capaci di portarci a Dio. Molti non riescono a trovare Dio, che per gran parte dei nostri contemporanei rimane uno sconosciuto. «In mezzo a voi sta uno che non conoscete», ammonisce Giovanni Battista. Perché cercano in modo sbagliato o non cercano affatto.
La grotta e la stella
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Novena di Natale ...primo giorno
La grotta e la stella
NOVENA DI NATALE- PRIMO GIORNO
LA GROTTA E LA STELLA
C’era una volta una grande montagna così orgogliosa della propria durezza che spesso cercava di scrollarsi di dosso tutte quelle parti di roccia meno dure e più friabili che, a suo parere, le facevano fare brutta figura.
La grande montagna non accettava quelle parti di sé perché l’avrebbero fatta apparire debole e perdente di fronte al vento, al sole, alla pioggia e al freddo (che ingrossava le sacche d’acqua penetrata nelle crepe, trasformandole in ghiaccio e deturpando le sue maestose pareti).
La grande montagna si scrollava spesso questi pezzi di roccia perché voleva apparire forte, tutta d’un pezzo, insomma, senza crepe.
Fra tutti i pezzi di roccia ve n’era uno, però, che la grande montagna non riusciva a staccare da sé, poiché era un pezzo abbastanza grosso.
Il suo nome era “Frib” (l’abbreviazione di “Friabile”).
La grande montagna litigava spesso con questo pezzo di roccia, rimproverandolo aspramente:
“Frib! Qui non c’è posto per te perché sei perdente!
Le alte vette dei monti sono per i duri e per i migliori.
Il tuo posto è giù, a valle!”
Così il pezzo di roccia, che non rispondeva mai (perché gli avevano insegnato che non bisognava mai combattere i più grandi) si sentiva umiliato e sempre più inutile.
Quotidianamente vedeva frantumarsi il suo sogno di sempre: diventare la punta di un’altra montagna per poter toccare almeno una di quelle attraenti ed affascinanti luci che ogni sera, all’imbrunire, cominciano ad accendersi nel cielo.
Un giorno la montagna, ormai stufa anche di lamentarsi, provocando una forte scossa, riuscì a scrollarsi di dosso il pezzo di roccia Frib che, nel dispiacere più grande, si ritrovò giù, a valle.
Ormai le luci del cielo erano ancora più piccole e più irraggiungibili di prima.
Fra tutte le stelle del cielo ve n’era una con cui Frib dialogava spesso.
Anch’essa non era benvoluta poiché era la più piccola e la meno luminosa del cielo e perciò, a parere delle altre stelle, era la meno osservata ed apprezzata anche dagli uomini.
Il suo nome era “Lucina” (per via della piccola luce che trasmetteva).
Il grande sogno di questa stella era di non restare sempre allo stesso punto, ma di poter viaggiare nel cielo e di accorciare le distanze con il suo amico Frib.
Col passare del tempo, il vento, la pioggia e le intemperie varie colpirono Frib, aprendogli un varco sulla facciata anteriore e corrodendo il suo interno.
La roccia Frib si sentiva peggio di prima perché ora provava un grande senso di vuoto interiore: era diventato ormai una grotta!
Un bel giorno la stella polare (capo delle stelle) convocò tutte le stelle del cielo chiedendo la disponibilità di una di esse per una missione assai pericolosa, ma molto importante: illuminare il cielo consumandosi, per trasmettere un messaggio agli uomini.
Le stelle più belle, le più grandi e le più coraggiose fecero silenzio: erano troppo orgogliose per consumarsi nel cielo.
Così, dal silenzio, si fece avanti una voce piccina: era la piccola stella Lucina che si offriva volontaria.
La notte seguente la piccola stella cominciò a muoversi, con sua grande meraviglia, lasciando dietro di sé una lunga scia luminosa.
Lucina si sentiva consumare, ma era felicissima perché si muoveva proprio in direzione del suo amico Frib.
Pur essendo la più piccola delle stelle, Lucina stava dando una lezione di vita e di grande coraggio a tutte le altre: adesso era una cometa e gli occhi di tutto il mondo erano su di lei.
Nel frattempo Frib vide una famiglia in cerca di rifugio e la sua gioia fu grandissima quando questa piccola famiglia, oltre ad aver trovato rifugio da lui, diede alla luce un bambino.
Il pezzo di roccia inutile e svuotato, perché friabile, era diventato una casa accogliente ed importante per la vita di quella famiglia.
Molti pastori e gente povera venne ad inchinarsi di fronte a quel bambino: era il Figlio di Dio!
Il pezzo di roccia era diventato la casa di Dio e la piccola stella la strada per incontrarlo.
Nella vita, solo chi mette da parte il proprio orgoglio e sa essere umile può accogliere davvero il “Dio che viene”, come la grotta, ed indicarlo nel mondo, come la piccola stella.
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