La fede sorge come il sole dalla notte del “primo giorno della settimana” eterna inaugurata dalla risurrezione del Signore. Si fa strada nel buio, si veste di chiarore nell’alba, cammina nel giorno custodendo i segni su cui si appoggia per maturare, diviene adulta nel compimento del giorno, quando Gesù appare e lo Spirito Santo sigilla la certezza della sua vittoria sul peccato e la morte. Come Maria di Màgdala, Pietro e Giovanni, anche noi siamo sbigottiti di fronte all’assenza del Signore: Egli non è dove siamo certi debba essere; e non ci rendiamo conto di essere entrati già nel “primo giorno della settimana”, di aver cominciato a vivere nella novità di una storia che non conosce più morte e fine. Il nostro punto di riferimento, il criterio che ispira pensieri, sentimenti e gesti è ancora il “sepolcro”, quello dove abbiamo visto spegnersi le speranze affidate a Dio, e, con Lui, agli affetti e ai progetti, a tutto e a tutti coloro che possiamo riassumere e identificare nel corpo esanime di Gesù. Lui, infatti, lo sappiamo, è amicizia, amore, affetto, lavoro, studio, famiglia, riposo; ma è chiuso in un sepolcro, ed è lì che, attraverso le esperienze della vita, abbiamo imparato a immaginarlo. Ed è vero, molto di quello che abbiamo sperato ci è sfuggito di mano. Ma la “settimana” che ci ha condotto al Golgota è scivolata via, il Signore, disceso nella tomba con e per noi, è risorto, e un nuovo giorno ci ha accolto. Come nella notte di Natale, Dio ci dona anche oggi dei segni per aprire gli occhi e “cominciare a credere”, sorprendentemente simili a quelli offerti nella grotta di Betlemme. Un Bambino avvolto in fasce per accendere gioia e speranza, “teli posati là” e un “sudario non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte” per “vedere e credere”. Al centro, il corpo di Gesù, il “luogo” dove credere, perché la fede è l’incontro con una Persona viva, e un rapporto intimo di confidenza con Lui. E’ Lui il “segno” che ci annuncia l’impossibile divenuto possibile. Nel mistero di un neonato deposto in una mangiatoia o dell’assenza nel sepolcro è sempre la sua carne che ci rivela e consegna un’ancora dove fissare la barca della nostra vita.
E’ però necessario imbatterci nel mistero e nell’oscurità sino ad “entrare” nella grotta dove Dio si è fatto uomo e nel sepolcro dove è passato nella morte, per “vedere” la nostra carne, la storia concreta di ciascuno, sciolta dalle catene della paura, del peccato e della morte. “Corriamo” allora senza indugio, come i pastori raggiunti dall’annuncio dell’angelo, e come Pietro e Giovanni investiti dallo stupore di Maria; corriamo obbedendo all’annuncio della Chiesa e non temiamo di “entrare” nel dolore e nella delusione per scoprire che, proprio lì, Gesù ha deposto il “segno” che ci apre alla gioia e alla speranza. “Inchiniamoci” come Giovanni, con audacia e fiducia, sin dentro a quanto ci ha fatto soffrire, come l’apostolo amato si è reclinato sul petto del Signore prima e nel sepolcro poi. I teli e il sudario che, sino ad oggi, hanno avvolto le nostre vite esanimi, ci parlano e testimoniano di questo “primo giorno” della vita nuova nel quale il Signore ci ha attirati: come lo sposo del Cantico dei Cantici, per attirarci a correre dietro di Lui, ha lasciato per noi, dentro la nostra storia, le tracce della sua vittoria, il profumo del suo amore sulla pietra ribaltata del sepolcro, il principio di una vita nuova che non sconvolge la precedente ma vi dà compimento secondo un ordine nuovo, tutto racchiuso in quei teli funerari rimasti sul “luogo” dove la sua misericordia lo aveva deposto. E’ su quei teli che dobbiamo puntare lo sguardo, come sulle ferite che Gesù mostrerà la sera di quel giorno: nessuno avrebbe potuto trafugare il corpo e lasciarli in quel modo, come nessuno salverebbe la nostra vita senza distruggere con disprezzo quello che non va bene. E’ proprio questo l’indizio che Dio lascia a tutti noi: il matrimonio, il lavoro, gli amici, le nostre cose e i nostri affetti sono ancora tutti con noi, ma disposti in un modo diverso, perché il corpo risorto del Signore scivola tra le bende con dolcezza, trasfigurandole con la sua impronta gloriosa; la nostra vita è come la Sindone, tracce di una luce immensa che filtra tra le piaghe: questo è il segno che ci è offerto per aprirci alla fede. La notte ha ormai lasciato il passo al giorno, è tempo di “tornare a casa”, come i pastori e come gli apostoli, camminando nella fede accesa dai “segni”, perché essa maturi sino a farsi adulta, capace di riconoscere il Signore risorto nella nostra vita proprio dalle sue piaghe gloriose impresse in essa, lo scandalo della Croce e del perdono che ci spinge a donarci a Lui senza riserve, in un’amicizia e una familiarità incorruttibili: “Non vi spaventate, ma per questo ci vuole tempo, e occorre semplicità, purezza, abbandono. È il cammino più perfetto; che ci sia donato, a voi e a me, dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito Santo” (Giovanni Taulero).
APPROFONDIMENTI
Benedetto XVI. Catechesi su San Giovanni apostolo ed evangelista
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