Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

lunedì 3 giugno 2013

Presero il figlio amato, lo uccisero e lo gettarono fuori della vigna.



Lunedì della IX settimana del Tempo Ordinario

cicaccjf

Santi Martiri Carlo Lwanga e Compagni 

(memoria odierna)


La gloria dei martiri, segno di rinascita

Questi Martiri Africani aggiungono all’albo dei vittoriosi, qual è il Martirologio, una pagina tragica e magnifica, veramente degna di aggiungersi a quelle meravigliose dell’Africa antica, che noi moderni, uomini di poca fede, pensavamo non potessero avere degno seguito mai più. Chi poteva supporre, ad esempio, che alle commoventissime storie dei Martiri Scillitani, dei Martiri Cartaginesi, dei Martiri della «Massa candida» uticense, di cui sant’Agostino e Prudenzio ci hanno lasciato memoria, dei Martiri dell’Egitto, dei quali conserviamo l’elogio di san Giovanni Crisostomo, dei Martiri della persecuzione vandalica, si sarebbero aggiunte nuove storie non meno eroiche, non meno fulgenti, nei tempi nostri? Chi poteva prevedere che alle grandi figure storiche dei Santi Martiri e Confessori Africani, quali Cipriano, Felicita e Perpetua e il sommo Agostino, avremmo un giorno associati i cari nomi di Carlo Lwanga, e di Mattia Mulumba Kalemba, con i loro venti compagni? E non vogliamo dimenticare altresì gli altri che, appartenendo alla confessione anglicana, hanno affrontato la morte per il nome di Cristo.
Questi Martiri Africani aprono una nuova epoca; oh! non vogliamo pensare di persecuzioni e di contrasti religiosi, ma di rigenerazione cristiana e civile. L’Africa, bagnata dal sangue di questi Martiri, primi dell’èra nuova (oh, Dio voglia che siano gli ultimi, tanto il loro olocausto è grande e prezioso!), risorge libera e redenta. La tragedia, che li ha divorati, è talmente inaudita ed espressiva, da offrire elementi rappresentativi sufficienti per la formazione morale d’un popolo nuovo, per la fondazione d’una nuova tradizione spirituale, per simboleggiare e per promuovere il trapasso da una civiltà primitiva, non priva di ottimi valori umani, ma inquinata ed inferma e quasi schiava di se stessa, ad una civiltà aperta alle espressioni superiori dello spirito e alle forme superiori della socialità.


Dall’«Omelia per la canonizzazione dei martiri dell’Uganda» di Paolo VI




Abramo, padre del popolo di Israele, 
padre della fede, è la radice della benedizione, 
in lui «si diranno benedette tutte le famiglie della terra». 
Compito del popolo eletto è quindi donare il loro Dio, 
il Dio unico e vero, a tutti gli altri popoli.


Card. Joseph Ratzinger



Dal Vangelo secondo Marco 12,1-12. 


Gesù si mise a parlare loro in parabole: «Un uomo piantò una vigna, vi pose attorno una siepe, scavò un torchio, costruì una torre, poi la diede in affitto a dei vignaioli e se ne andò lontano.
A suo tempo inviò un servo a ritirare da quei vignaioli i frutti della vigna.
Ma essi, afferratolo, lo bastonarono e lo rimandarono a mani vuote.
Inviò loro di nuovo un altro servo: anche quello lo picchiarono sulla testa e lo coprirono di insulti.
Ne inviò ancora un altro, e questo lo uccisero; e di molti altri, che egli ancora mandò, alcuni li bastonarono, altri li uccisero.
Aveva ancora uno, il figlio prediletto: lo inviò loro per ultimo, dicendo: Avranno rispetto per mio figlio!
Ma quei vignaioli dissero tra di loro: Questi è l'erede; su, uccidiamolo e l'eredità sarà nostra.
E afferratolo, lo uccisero e lo gettarono fuori della vigna.
Che cosa farà dunque il padrone della vigna? Verrà e sterminerà quei vignaioli e darà la vigna ad altri.
Non avete forse letto questa Scrittura: La pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d'angolo;
dal Signore è stato fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri»?
Allora cercarono di catturarlo, ma ebbero paura della folla; avevano capito infatti che aveva detto quella parabola contro di loro. E, lasciatolo, se ne andarono.


IL COMMENTO


Divenire eredi senza esserlo; appropriarsi con la violenza di quanto è offerto gratuitamente. E' quanto emerge nella parabola odierna. Gesù parla di "loro", del popolo eletto per ereditare la benedizione di Abramo suo padre; parla "contro" di loro, rivelando l'inganno nel quale sono caduti. Israele è un Popolo diverso da ogni altro, ad esso Dio ha affidato la missione di custodire la benedizione perchè giunga a tutte le Nazioni, ad ogni uomo. L'elezione di Israele costituisce l'eredità del figlio primogenito: l'elezione unica e fondamentale di consegnare i frutti di un amore che lo ha scelto, salvato, condotto e custodito, nonostante le innumerevoli infedeltà. Ma Israele non comprende, è duro a convertirsi, e, nella pienezza dei tempi, non riconosce l'estremo atto d'amore del Padre; non accoglie il Figlio, Colui nel quale e per il quale avrebbe potuto essere riscattato e dare i frutti per i quali era stato eletto. Israele frustra il disegno d'amore del Padre, chiudendosi nella durezza del proprio cuore. Non comprende che quell'eredità agognata è già lì, tra le sue mani, nelle sua storia. L'eredità è la benedizione con la quale e per la quale è stato scelto tra tutti, piantato come una vigna, curato con amore e tenerezza; l'eredità è la pace di chi compie la volontà di Dio, la realizzazione del suo piano di salvezza. L'eredità sono i frutti che avrebbe dovuto consegnare, frutti benedetti per ogni uomo. L'eredità è quel Figlio offerto come ultima chance, purissima misericordia di un Padre che non si rassegna nel vedere i suoi figli dilapidare la primogenitura. 


Ma Israele, immagine di ciascuno di noi, era ormai preda della cupidigia velenosa che aveva già ingannato i progenitori: la stessa menzogna, quella che ghermisce anche il nostro cuore. Scelti, eletti, amati infinitamente, ci ritroviamo sempre davanti all'albero riservato a Dio, cercando di nutrirci dei frutti riservati a Lui, e diveniamo così incapaci di consegnare i frutti preparati per noi. Vorremmo i frutti di Dio e non possiamo dare i frutti delle creature. Vorremmo creare e stabilire le regole della vita, decidere che cosa sia bene e cosa sia male, illudendoci così di abbrancare la libertà. E scappiamo dall'obbedienza, l'ascolto umile della creatura attraverso il quale accogliere la linfa capace di far sbocciare in noi i frutti che, soli, danno senso e sostanza alla nostra vita. Così si spiega il parossismo della violenza che appare nel Vangelo, lo stesso che affligge tante relazioni, in famiglia, tra gli amici, in ogni ambito della società. Violenza che cresce sino ad uccidere Cristo, l'erede che viene a consegnare, per noi e con noi, i frutti di una vita riscattata, riconciliata e per questo santa. Uccidiamo l'erede che viene a farci eredi, gratuitamente. Al colmo dell'inganno, stravolgiamo il disegno di Dio, e, alla gratuità, rispondiamo con la durezza dell'esigenza che si fa violenza e morte. 


Ma anche oggi il Vangelo è una buona notizia. E' vero, siamo infedeli, abbiamo ucciso il Figlio. Ma Dio lo ha risuscitato! Sì, proprio quando sembrava essere accaduto l'ineluttabile, Dio ha cambiato ancora una volta la nostra sorte, facendo della Pietra scartata il cardine della storia. Della nostra, come di quella del mondo. Guai a chi oggi ride beffardo, guai a chi banchetta lautamente offrendo tutto a se stesso, guai a chi pone a fondamento una pietra diversa da Cristo, friabile sabbia incapace di resistere alle tempeste! Guai a ciascuno di noi! Ma è un guai pieno di misericordia, è un guai rivolto "contro" il nostro uomo vecchio, testardo e duro di cuore. Sarà ucciso nella misericordia che ancora oggi ci viene a cercare, come quando il Signore ha cercato Adamo nel giardino, come quando Gesù ha cercato Pietro sulle rive del Mare di Galilea. E' mirabile il suo amore per noi: è infinito e viene donarci la sua eredità tra i santi, la vita che non muore, quella che da frutto a suo tempo, dove ogni tempo è il suo tempo. E' mirabile il suo amore, accogliamolo oggi, così come siamo, senza porre condizioni, nella semplicità e nell'umiltà di chi riconosce la propria indegnità. 


Possiamo chiederci che cosa abbiamo fatto dei tanti profeti, delle tante parole, dei segni inviati alla nostra vita. Possiamo guardare con sincerità alla nostra vita e scoprire forse come spesso l'invidia ci ha impedito di accogliere la Parola di Verità che Dio ci ha annunciato in diversi modi. Una Parola che anche oggi, attraverso eventi e persone ci cerca per condurci alla conversione. La stiamo rifiutando? Stiamo forse scartando la pietra che Dio ha pensato quale testata d'angolo della nostra vita? Il matrimonio concreto che siamo chiamati a vivere, con il concretissimo marito, con la concretissima moglie, con questi figli, con questi parenti. Con i loro difetti, con il loro carattere. Non sarà che stiamo rigettando quello che, credendoci sapienti costruttori dei nostri destini, ci infastidisce, ci limita, ci umilia e che invece l'unico Autore della Vita e della storia ha stabilito sia per noi il fondamento dell'esistenza? Le situazioni che non digeriamo, il lavoro, lo studio, il nostro aspetto fisico, la missione, i fratelli con i quali siamo chiamati a vivere.... E scoprire che tutto questo è proprio il dono che Dio ci ha fatto per fondarvi la nostra vita, la caparra dell'eredità che il nostro cuore desidera tanto. 


In ogni evento che ci crocifigge infatti, è scolpita la Croce di Cristo, il luogo eletto da Dio perchè possiamo sperimentare la sua vittoria sulla morte e il peccato. In ogni persona, in ogni evento è nascosto Cristo. Rifiutarlo è la vera radice dellle nostre sofferenze. Chiediamo allora al Padre la Grazia di non rifiutare e disprezzare nulla della nostra vita, di stringerci invece streti a Cristo e con Lui, già vittorioso su morte e peccato, entrare nella vita quotidiana quali cristiani, cioè appartenenti a Cristo, uomini nuovi capaci di essere crocifissi in ogni evento, e lì, sulla Croce, amare, donare la vita, mostrare al mondo il Cielo a cui siamo destinati, e compiere la missione della nostra primogenitura, annunciare a tutti la benedizione di Abramo. Così potremo comprendere anche quello che sta accadendo nella storia che siamo chiamati a vivere, il rifiuto che patisce la Chiesa. Accogliendo Cristo e la sua Croce nella nostra vita saremo automaticamente partecipi del suo destino, completando in questa generazione ciò che manca alla sua passione. Per la Chiesa e per il mondo. La nostra vita acquista così un senso nuovo, dentro le persecuzioni, le incomprensioni e i rifiuti. Non si traterà di crociate, ma di amare ello stesso amore con il quale siamo amati. Offrire la nostra vita, la vita di Cristo in noi, per la salvezza di ogni uomo. E' questa l'opera di Dio, il miracolo di Pentecoste, la meraviglia unica ed irripetibile agli occhi del mondo. Un amore più forte della morte, capace di trascinare con sé i brandelli perduti di questa generazione. Rifiutati perchè corpo di Gesù siamo invece, ogni istante della nostra vita è già un frammento della Pietra angolare che salva il mondo.




Santa Caterina da Siena (1347-1380), terziaria domenicana, dottore della Chiesa, compatrona d'Europa 
Dialogo della Divina Provvidenza, 24 


« Io sono la vera vite e il Padre moi è il vignaiolo » (Gv 15,1)


[Dio disse a santa Caterina:] — Sai che modo Io tengo poi ch' e' servi miei sonno uniti in seguitare la dottrina del dolce ed amoroso Verbo? Io gli poto, acciò che faccino molto frutto, e il frutto loro sia provato e non insalvatichisca. Si come il tralcio che sta nella vite, che il lavoratore il pota perché facci migliore vino e piú; e quello che non fa frutto taglia e mette nel fuoco. E cosí fo lo lavoratore vero (Gv 15,1): e' servi miei che stanno in me lo gli poto con le molte tribolazioni, acciò che faccino piú frutto e migliore, e sia provata in loro la virtú. E quegli che non fanno fructo sono tagliati e messi al fuoco, come detto t'ho (Gv 15,6).
Questi cotali sonno lavoratori veri, e lavorano bene l'anima loro, traendone ogni amore proprio, rivoltando la terra de l'affecto loro in me. E nutricano e crescono ci seme della grazia, ci quale ebbero nel sancto baptesmo. Lavorando la loro, lavorano quella del proximo, e non possono lavorare l'una senza l'altra; e giá sai ch' Io ti dixi che ogni male si faceva col mezzo del proximo e ogni bene. Si che voi sète miei lavoratori, esciti di me, sommo ed etterno lavoratore, il quale v'ho uniti e innestati nella vite per l'unione che lo ho fatta con voi... Di tutti quanti voi è fatta una vigna universale...; e' quali sète uniti nella vigna del corpo mistico della sancta Chiesa, unde traete la vita. Nella quale vigna è piantata questa vite de l'unigenito mio Figliuolo, in cui dovete essere innestati.

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