Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

lunedì 14 ottobre 2013

Domenica 20 ottobre 2013 XXIX Tempo Ordinario "commenti ......"

BibbiaAperta


Commenti Vangelo 20 ottobre 2013 XXIX T. O.


A. Dal Vangelo secondo Luca (Lc 18,1-8)

Ronchi 20 ottobre 2013 XXIX Tempo Ordinario








(...) «In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c'era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. Per un po' di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”» (...). 
Disse una parabola sulla necessità di pregare sempre senza stancarsi mai. Il pericolo che minaccia la preghiera è quello della stanchezza: qualche volta, spesso pregare stanca, anche Dio può stancare. È la stanchezza di scommettere sempre sull'invisibile, del grido che non ha risposta, quella che avrebbe potuto fiaccare la vedova della parabola, alla quale lei non cede. Gesù ha una predilezione particolare per le donne sole che rappresentano l'intera categoria biblica dei senza difesa, vedove orfani poveri, i suoi prediletti, che egli prende in carico e ne fa il collaudo, il laboratorio di un mondo nuovo. Così di questa donna sola: c'era un giudice corrotto in una città, una vedova si recava ogni giorno da lui e gli chiedeva: fammi giustizia contro il mio avversario! Che bella figura, forte e dignitosa, che nessuna sconfitta abbatte, fragile e indomita, maestra di preghiera: ogni giorno bussa a quella porta chiusa. Come lei, anche noi: quante preghiere sono volate via senza portare una risposta! Ma allora, Dio esaudisce o no le nostre preghiere? «Dio esaudisce sempre: non le nostre richieste, le sue promesse» (Bonhoeffer). E il Vangelo ne trabocca: sono venuto perché abbiate la vita in pienezza, non vi lascerò orfani, sarò con voi tutti i giorni fino alla fine del tempo, il Padre sa di cosa avete bisogno. Con l'immagine della vedova mai arresa Gesù vuole sostenere la nostra fiducia: Se un giudice, che è in tutto all'opposto di Dio, alla fine ascolta, Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti che gridano a lui, prontamente? Li farà a lungo aspettare? Ci perdoni il Signore, ma a volte la sensazione è proprio questa, che Dio non risponda così prontamente e che ci faccia a lungo aspettare. Ma quel prontamente di Gesù non si riferisce a una questione temporale, non vuol dire «subito», ma «sicuramente». Il primo miracolo della preghiera è rinsaldare la fede, farla poggiare sulla prima certezza che la parabola trasmette: Dio è presente nella nostra storia, non siamo abbandonati. Dio interviene, ma non come io vorrei, come lui vorrà. Seconda certezza: un granello di senape di fede, una piccola vedova che non si lascia fiaccare, abbattono le mura. La preghiera è un «no» gridato al «così vanno le cose». È il primo vagito di una storia nuova che Dio genera con noi. La preghiera è il respiro della fede (papa Francesco): pregare è una necessità, perché se smetto di respirare smetto di vivere. Questo respiro, questo canale aperto in cui scorre l'ossigeno di Dio, viene prima di tutto, prima di chiedere un dono particolare, un aiuto, una grazia. È il respiro della vita, come per due che si amano, il respiro del loro amore.
(Letture: Esodo 17, 8-13Salmo 120; 2 Timoteo 3, 14-4, 2; Luca 18, 1-8).

Fonte: avvenire



Manicardi 20 ottobre 2013 XXIX Tempo Ordinario


 Fonte: monasterodibose
domenica 20 ottobre 2013

Anno C
Es 17,8-13Sal 120; 2Tm 3,14-4,2; Lc 18,1-8


La preghiera come lotta e intercessione (I lettura); la preghiera insistente e che non viene meno (vangelo): questo il tema che unisce prima lettura e vangelo. La preghiera non come opera di forti, ma di deboli: Mosè viene aiutato a sostenere le sue braccia stese nella preghiera; nel vangelo è una povera vedova che si fa soggetto di una preghiera insistente. Deboli resi forti dalla fede e che perseverano nella preghiera.
La perseveranza come elemento di verità della preghiera e la preghiera come autentificazione della fede sono altri elementi che arricchiscono la catechesi sulla preghiera contenuta nei testi biblici di questa domenica.

L’immagine di Mosè con le mani tese verso l’alto nello sforzo dell’intercessione, aiutato da due uomini che sostengono le sue braccia che diventano sempre più pesanti con il passare del tempo, è una bella immagine della fatica della preghiera. La preghiera è uno sforzo, è opus, lavoro, e come ogni lavoro, è faticoso, per il corpo come per lo spirito. Ma quella immagine indica anche un aspetto della dimensione comunitaria della preghiera. La comunità cristiana non è solo il luogo in cui si è chiamati a pregare gli uni per gli altri, a intercedere, ma anche a porsi a servizio della preghiera dell’altro. Sostenersi e incoraggiarsi nella fede e nella preghiera, è compito richiesto ai credenti nella comunità cristiana.

Un aspetto di questa difficoltà della preghiera è il suo divenire quotidiana, il suo essere perseverante, il suo non venire meno. Aspetto espresso nella parabola evangelica (cf. Lc 18,1). La preoccupazione di insistere sulla necessità di pregare sempre, senza tralasciare, è rivelatrice della situazione della comunità cristiana a cui si rivolge Luca: una comunità in cui è ormai presente il fenomeno del rilassamento della fede e della preghiera.

A distanza di qualche decennio dagli eventi della vita di Gesù, la comunità conosce fenomeni di mondanizzazione della fede e di abbandono (cf. Lc 8,13). Luca avverte: abbandonare la preghiera è l’anticamera dell’abbandono della fede. Il passare del tempo è la grande prova della fede e della preghiera. La preghiera insistente fa della fede una relazione quotidiana con il Signore. La fatica di perseverare nella preghiera è la fatica di dare del tempo alla preghiera, e il tempo è la sostanza della vita.

Pregare è dare la vita per il Signore. La preghiera comporta un confronto con la morte e per questo spesso ci risulta ostica: pregando, non “facciamo” nulla, non “produciamo”, ci vediamo sterili e inefficaci. Ma essa è lo spazio e il tempo che noi predisponiamo affinché il Signore faccia qualcosa di noi. Le parole di Gesù comportano anche un insegnamento sulla dimensione escatologica della preghiera. Alla domanda rivoltagli dai farisei “Quando verrà il Regno di Dio?” (Lc 17,20), Gesù ha risposto nel capitolo precedente (cf. Lc 17,21-37), ma ora completa la sua risposta con una contro-domanda: “Il Figlio dell’Uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18,8).

Non si tratta di porre domande sulla venuta finale, ma di cogliere la venuta finale del Signore come domanda, e domanda che interpella i cristiani sulla fede. A noi che spesso ci chiediamo: “Dov’è Dio?”, “Dov’è la promessa della venuta del Signore?” (2Pt 3,4), risponde il Signore che chiede conto a noi della nostra fede: “Dov’è la vostra fede?” (Lc 8,25). La venuta del Signore non è tema di astratte speculazioni teologiche, ma realtà di fede da viversi e sperimentarsi come attesa e desiderio nella preghiera.

La preghiera della vedova che chiede giustizia indica anche gli aspetti di audacia e di determinazione della preghiera. La preghiera non si vergogna di chiedere, non esita a insistere, non cessa di bussare, non teme di importunare. La preghiera esige coraggio. Il coraggio della fede che conduce a non lasciar perdere, a non tralasciare, a non dire: “Non a serve a nulla”. Preghiera e fede stanno in un rapporto inscindibile: credere significa pregare. E se noi possiamo pregare solo grazie a una fede viva, è anche vero che la nostra fede resta viva grazie alla preghiera.


LUCIANO MANICARDI


3 - Casati AlzogliOcchiversoilCielo



Es. 17,8-13a

2Tm. 3,14-4,2

Lc. 18,1-8
A che cosa mira questa parabola è già detto esplicitamente nella nota che la introduce: "diceva loro una parabola per mostrare che essi dovevano pregare sempre e non stancarsi". Pregare sempre in ogni momento, in ogni situazione: sono i due significati della parola greca "pa,ntote" (pântote).
E non stancarsi. Dunque il pericolo che qui Gesù vuole sottolineare è quello della stanchezza. Di quale stanchezza si parla? Della stanchezza del "grido che non ha risposta". E' la stanchezza che avrebbe potuto prendere la vedova del Vangelo che andava dal giudice e gli diceva "Fammi giustizia" e il giudice non ascoltava, non faceva giustizia. La vedova della parabola - voi lo sapete -fa parte di quella categoria biblica che identifica coloro che sono senza difesa -la vedova, l'orfano, il povero-: non hanno un marito che le difende, non hanno un padre che li difende, non hanno i soldi che li difendono.Dovrebbe difenderli la legge, dovrebbe difenderli il giudice. Lui dovrebbe ascoltare il grido dei senza difesa, lui dovrebbe ascoltare la richiesta di giustizia. Se il giudice non interviene, allora a ingiustizia si aggiunge ingiustizia e già è grave che a un povero, a un orfano, a una vedova, a un debole sia stato fatto ingiustizia. Già è grave. Ma se il giudice non interviene allora diventa causa del perpetuarsi di una situazione di ingiustizia: è come se il giudice non la interrompesse. Mi sembra di capire che Gesù narrandoci del giudice ingiusto, che alla fine però -dopo aver temporeggiato- interviene, voglia sostenere la nostra speranza e la nostra resistenza a pregare. Se interviene un giudice ingiusto, pressato dall'intervento della vedova, volete che non intervenga Dio, pressato dalla nostra preghiera? Questo sembra essere il messaggio centrale della parabola. Io mi chiedo però se, sotto l'immagine, non possa essere sotteso anche un altro messaggio forse più inquietante: quello -se così si può dire- del ritardo di Dio. Perché devi insistere nella preghiera e non stancarti? Perché l'impressione è che Dio temporeggi, come quel giudice, l'impressione è che sia in ritardo, in ritardo in due sensi. In ritardo, perché l'ingiustizia non è stata fermata al suo nascere. Il tempio distrutto, le sue macerie, quel muro sbrecciato sembrano accusare il ritardo di Dio. E di conseguenza giustificare il grido di chi ha subito ingiustizia. Ma in ritardo ulteriormente, perché non sembra rispondere alla prima preghiera. Se fosse vero che Dio rispondesse alla prima preghiera che senso avrebbe l'invito a insistere senza stancarsi? E' vero che è detto: "E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che gridano, giorno e notte, verso di lui e li farà a lungo aspettare? "Vi dico che farà loro giustizia prontamente". "Li farà a lungo aspettare?". Ci perdoni il Signore, ma a volte la sensazione è che Dio non risponda così prontamente e che faccia a lungo aspettare. "Fino a quando?". Questo "fino a quando" è un grido che attraversa tutta la Bibbia, sino ad arrivare al "fino a quando?" dei martiri dell'Apocalisse: "Fino a quando, Sovrano, tu che sei santo e verace, non farai giustizia e non vendicherai il nostro sangue sopra gli abitanti della terra?" (Ap. 6,10) E allora, Dio "risponde prontamente" o si fa a lungo aspettare? Forse -ma la riflessione andrebbe approfondita- forse il miracolo che avviene subito è la fede che non viene meno, nonostante il ritardo di Dio. Forse per questo conclude la parabola con l'interrogativo: "Il Figlio dell'uomo quando verrà, troverà la fede sulla terra?". La troverà? Anche se tarderà ad arrivare? Allora potremmo dire: perché resista la fede "persistete a pregare senza stancarvi mai"; persistete, come Mosè sul Monte, perché la battaglia non è facile. Dico: la battaglia della vita. Non so se anche voi, a volte, abbiate la stessa sensazione, forse sì. La sensazione che, fino ad oggi, la mia non sia stata dopo tutto una battaglia così difficile, quella di altri sì. E allora alza, come Mosè, le mani anche per loro. Sull'"alzare le mani" di Mosè ci sono due midrash bellissimi nella letteratura rabbinica. Il primo si chiede: "Erano forse le braccia di Mosè che decidevano l'esito della battaglia? Il testo deve intendersi così: quando gli Ebrei guardavano in alto e volgevano umilmente il loro animo al Padre che è nei cieli allora vincevano, diversamente soccombevano". (Ro.Ha., 29) Il secondo midrash si chiede perché quando le mani di Mosè erano stanche gli veniva data una pietra su cui sedersi. Perché una pietra e non un cuscino o una coperta per stare più comodo? La risposta: "Così pensò Mosè: siccome Israele si trova nella sofferenza, anch'io voglio condividerla". 
Fonte:sullasoglia

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