Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

giovedì 24 ottobre 2013

"Gesù amava Marta, sua sorella e Lazzaro (Gv 11,3.5). "SUSSULTARE DI GIOIA " Tea


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Sussultare di gioia è la luce, che emana dall’icona di Luca 1,39-45. Icona che é fonte d’acqua limpida che mai seccherà, ma sempre ci disseterà perché è Parola di Dio e, acqua viva se vi andremo in novità di vita.


"Beata colei che ha creduto…" . Parola luce che ci guiderà.

Prima voglio chiedervi di fare un esercizio:



Date la mano alla persona che vi è a fianco;



Guardatevi per un momento negli occhi



Attraverso un tocco, una carezza fatele sentire che l’avete compresa, accolta, le volete bene e se é necessario vi riconciliate con lei. 



Ora vi chiedo un altro esercizio, questa volta mentale: 



Dimenticate tutto quanto abbiamo ascoltato, letto su questa pagina. 



Avviciniamoci come se la incontrassimo per la prima volta.



Apriamoci alla novità, senza riserve.



Leggiamo la memoria che la comunità di Luca ci tramanda. Accogliamola nel silenzio, facciamola risuonare in noi…

Elisabetta proclama Maria beata, lo afferma usando un verbo "credere", non il vocabolo "fede". Non dice "beata colei che ha avuto fede". 
La comunità di Luca, qui ha sapore e colore della comunità di Giovanni che in tutto il suo Vangelo non usa il vocabolo "fede", ma sempre il verbo "credere".

"fede", è un sostantivo e può avere sentore di qualcosa definito, come dottrina, dogma, regole, strutture… Sa di statico. Qualcosa che si riferisce all’intelletto, adesione intellettuale.
"credere" è un verbo e parla di processo, di divenire, di camminare, essere sempre in ricerca, in dialogo, confronto e, per essere un verbo indica l’agire, azione in continuo divenire, crescere, maturazione, aperta alla novità, abbandonarsi sulle ali della Divina Ruah.
Con questi sentimenti come donne, uomini, andiamo incontro a queste due donne, ai loro corpi che ci parlano.

Il credere è vissuto da due donne: Elisabetta e Maria. Due donne che avvertono il cambiamento del loro corpo a causa di una gravidanza fuori luogo, fuori tempo. Trasformazione che le interroga: Perché il mio corpo e non il corpo di un’altra donna? Perché il mio corpo vecchio ormai fuori tempo? Perché il mio corpo giovane in un tempo che non era ancora tempo?
Il corpo anziano di Elisabetta si chiude in casa: stupore, gioia, incertezza… 
Il corpo giovane di Maria abbandona Nazareth, prima che, i cambiamenti nel suo corpo siano evidenti e diventi oggetto di bisbigli, sussurri, maldicenze, dubbi, speculazioni e perché no, evitare qualcosa di peggio. ‘Deixar baixar a poera’ dicono da noi…
Il viaggio, i dubbi, i pericoli, i cambiamenti, il silenzio che isola e nasconde…

Anche il corpo dell’anziana Elisabetta era cambiato: la sterile era al sesto mese. In lei pudore e orgoglio si mescolano. Gioia profonda e attenta alla vita che cresce dentro di lei. Vita che esige cambiamenti, che chiede di adeguarsi nel cibo, nel vestito, nel dormire, alla vita in formazione, parte di lei, ma già autonoma e con esigenze personali. 

E nella casa di Zaccaria le due donne: Elisabetta e Maria s’incontrano. La casa era di Zaccaria come il costume patriarcale esigeva, ma ora in questa casa le protagoniste sono Elisabetta e Maria. Sono loro che occupano lo spazio e lo rendono luogo femminile, spazio sicuro, dove non ci sono domande indiscrete, recriminazioni, preconcetti, giudizi, dubbi, né ma, né se… né vedremo, né consulterò mio marito… solo accoglienza.
L’anziana accoglie la giovane. La giovane si rispecchia nell’anziana. Due corpi di donne che si riconoscono, e vivranno lo spazio della casa non più come uno spazio patriarcale, ma come il luogo femminile, dove abita la fiducia, la confidenza, la verità, che non sempre è verità evidente. Luogo della condivisione dei cambiamenti che stavano avvenendo nei loro corpi. Luogo dove la paura può essere manifestata, così come il dubbio, il timore, l’incertezza del futuro. Luogo di amorosità, sogno, speranza e utopia. Luogo della saggezza dell’anziana, del coraggio giovanile. Luogo dove la saggezza diventa coraggio e il coraggio saggezza.

Permettiamoci, in silenzio di ascoltare le loro voci e farle giungere fino a noi, spogliate e libere da tante altre voci che forse le hanno rese silenziose e mute a noi donne, agli uomini. Ascoltiamole giungere fino a noi, limpide, trasparenti, toccare i nostri corpi, donarci saggezza e coraggio.

Nel ventre, fatto grembo i figli condividono l’esperienza delle loro mamme. Esperienza che è memoria scritta in loro e che li guiderà nel loro cammino.
Per questo i figli sussultano nel grembo, intravvedono il futuro. Nel corpo delle loro mamme l’anticipo del Regno è presente.

Sentiamo nella voce di Elisabetta la voce della comunità lucana: Beata colei che ha creduto!
Ha creduto Maria, ha creduto Elisabetta. Il loro corpo è divento luogo dell’invisibile, dell’amore e nel mistero dell’accoglienza il credere ha preso corpo, è diventato un agire, una presenza.

Elisabetta e Maria ci parlano e ci aiutano a comprendere che credere è un cammino che realizziamo con la bellezza e fragilità del nostro corpo. Le accompagniamo osservando le persone che le stanno attorno:




Zaccaria non ha creduto ai segni dei corpi di Sara e Abramo vecchi che rivivevano nel suo corpo e nel corpo della sposa Elisabetta. Rimase muto, dovette tornare a casa e nella casa ricreando la relazione con Elisabetta ha generato un figlio, ha ritrovato la voce (Lc 1,3-25.59-66)



Elisabetta e Maria si lasciano condurre nel credere dai cambiamenti che si operano nei loro corpi. Segni che suscitano timore, paura, fuga, nella condivisione la casa diventa il luogo del coraggio, del superamento, dell’accoglienza, dell’amorosità che fa fiorire e crescere il credere e il visibile diventa per loro segno dell’invisibile, dell’utopia del Regno.



Il loro credere fa sussultare di gioia i figli, è seme in terreno fecondo, con le loro mamme sognano e avvertono l’utopia del Regno presente.



La casa, il quotidiano, il corpo gravido, il corpo che dà alla luce, il corpo di un bambino, diventano luogo e tempo dell’annuncio della Buona Notizia.



I pastori dai corpi marcati dalla fatica e dall’esclusione accolgono il segno così normale di una donna che ha partorito un figlio, credono e sussultano di gioia. 



Il corpo di Simeone che alimentava il suo pellegrinare nella memoria delle antiche promesse, nel ricordo delle meraviglie del passato si apre al nuovo nell’incontro di un uomo, una donna, un bambino. Credere a questa novità così quotidiana lo fa sussultare di gioia e lo aiuta a vincere la paura della morte, lo proietta nel futuro e crede in una umanità rigenerata, salvata.



Il cammino percorso in ricerca, le incertezze incontrate e affrontate, la pace raggiunta, gli si rivelano attraverso la giovane donna e nel bambino fra le sue braccia. Una fra le tante. S’incontrano, è il tempo della sapienza dell’anziano e della passione giovanile. Negli occhi dell’anziano la giovane legge la missione del figlio, la missione di madre. I corpi comunicano, annunciano e le parole rivelano e sosterranno il credere quando credere diventa difficile, faticoso, quando tutto si compirà (Lc 2,23-35).



Anna, corpo che fu giovane, sposato, ora vedova. Anziana annoverata fra le donne profeta. Non ne ascoltiamo la voce, ma la sua presenza c’immette nel cammino delle matriarche, tende la mano vi colloca Maria.



Tende la mano oggi anche a noi e c’invita a entrare in questa danza dove il corpo dando la mano a altri corpi diventa lieve, e quando il passo vacilla l’altra mano sostiene. Danza del ricordo che si fa memoria e eredità. 


Vuoi entrare anche tu?


Tea Frigerio

LETTERA ALL’AMICA MARTA
Luca 10,38-42

"Gesù amava Marta, sua sorella e Lazzaro (Gv 11,3.5).



Carissima Marta,

da tempo volevo scriverti per pronunciare parole che attraversino il tempo e possano raggiungerti in Betania. Scriverti per chiederti scusa. Scriverti per ringraziarti.
Chiederti scusa perché? Ricordi le parole di Luca? "Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è necessaria. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta." (Lc 10,41-42).
Fin dai tempi delle lezioni di catechismo mi hanno insegnato che queste parole le ha pronunciate Gesù, e, per queste parole, non ti stimavo, sempre ti lasciavo da parte, desiderando essere come Maria: seduta ai piedi di Gesù, silenziosa, ascoltando.
Silenziosa ascoltando, per conquistare la parte migliore, dato che tu eri troppo indaffarata, preoccupata solo con le cose materiali, nel tuo mondo chiuso nelle parete domestiche. Più tardi aggiunsero che eri accomodata, integrata al sistema, al mondo patriarcale. Queste parole mi hanno portato a negarti e a negare me stessa. Desideravo sedere ai piedi di Gesù, silenziosa, ascoltare le parole del Maestro.
Mi dicevano e io stessa mi dicevo: "Maria ha capito che anche la donna può essere discepola, le sue sono le attitudini del discepolo". Capisci perché voglio scusarmi? 
Adesso percepisco che questa era solo una parte della verità e riconosco che davvero Maria mi ha aiutato a scoprire che Gesù ha aperto il cammino del discepolato alle donne. 
Però non sospettavo che la narrazione di Luca nascondesse un conflitto, un tentativo di negarti autorità, di addomesticare il tuo coraggio, di silenziarti. Non sospettavo che c’era in atto un tentativo di banalizzare l’autorità che la comunità dei discepoli e delle discepole amati ti avevano riconosciuto.
Non riuscivo a riconoscere i segnali di questa realtà, anche se erano evidenti nello scritto.
Era nella tua casa che Gesù veniva ospitato (Lc 10,38). Era tua la casa, non di tuo fratello Lazzaro. Nella tua casa, liberamente, senza paura delle chiacchere, superando il tradizionalismo, vincendo preconcetti, ospitavi l’uomo Gesù. La tua casa, era la casa che accoglieva la comunità. La tua casa, era la casa che manteneva viva la memoria della condivisione del pane. Nella tua casa, non nella casa di Maria, nè di Lazzaro si osavano sperimentare i primi passi che conducevano al nuovo. La lidership era tua. Lidership attenta e attiva nell’amministrazione quotidiana, nell’amministrazione del sogno, dell’utopia di nuove relazioni.
Lidership che affiora negli atteggiamenti, nei gesti: tu ospiti, accogli, ma sai anche questionare: "Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire?" (Lc 10,40). Mandi notizie: "chi ami è ammalato" (Gv 11,3). Prendi l’iniziativa e richiami perché Gesù ha tardato: "se tu fossi stato qui" (Gv 11,21). Dialoghi, questioni, vai incontro, sei aperta alla novità. Osi gesti, parole riservati agli uomini. Occupi lo spazio, il ruolo che altre comunità riservavano a Pietro: il primato di professare:"Si, Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire al mondo" (Gv 11,27).
Osasti perché avevi percepito il vento della novità. Osando ti sei lasciata condurre dalla forza del vento. Osando sei ritornata nel ventre di tua madre e sei rinata, sei risuscitata vivendo le parole: "Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene e dove va: così è di chiunque nasce dalla Ruah" (Gv 3,8). Parole che un altro, maestro in Israele, Nicodemo, é stato lento a comprendere. Parole che risuonarono alle tue orecchie, nel tuo cuore, nel tuo corpo. Corpo che anelava a mettersi in piedi, per avere la propria dignità restaurata. La mente e il corpo negavano ciò che la tradizione, i costumi, la cultura, la religione ti obbligavano a vivere. Mente e corpo che intuivano, intravvedevano e ricordavano la memoria di altre donne... 
E quando hai ascoltato le parole di Gesù:"Togliete la pietra! ... Vieni fuori! ... Scioglietelo e laciatelo andare" (Gv 11,39-44) e Lazzaro, tuo fratello amato, ritornò a vivere, riprese a camminare. Hai udito e hai compreso che già avevi rimosso la pietra che ti manteneva nel sepolcro, già eri uscita dalla tomba, già avevi sciolto le bende e tolto il sudario, libera andavi a testa alta: eri risorta.
I discepoli e le discepole amate ti osservavano e riconobbero il tuo coraggio, la tua lidership, la tua diakonia.
Loro riconobbero, ma altri... 
E così cominciarono a diffondere la notizia che eri indaffarata. La diakonia divenne servizio domestico. Lo sguardo attento, la vigilanza nel mantenere viva la memoria e la proposta di Gesù divennero essere indaffarata, preoccupata con faccende domestiche, materiali. E cominciarono ad affermare che il vero valore era sedersi ai piedi di... essere rivolte allo spirituale...
Due sorelle, unite in complicità, per lo stesso sogno, muovendo i primi passi insieme, accogliendo la diversità che era in ognuna di loro: che sorellanza! Che bello! Il patriarcalismo ne ebbe paura e vi ha presentato come antagoniste nel tentativo di negare la tua lidership, Marta.
Marta ora sai perchè desidero ringraziarti, avvicinare il tempo per dirti:



Grazie per aver osato!
Osare per vincere le paure
Osare per vincere la tradizione
Osare che vince l’alienazione.
Parole osate
Atteggiamenti osati
Gesto osati.
Osare superando i preconcetti
Rompere barriere
Aprire orizzonti.
Osare che questiona,
Provoca, indaga, riprende,
interpella, suggerisce, anticipa.
Osare per camminare per strade
che conducono all’incontro.
Osare e pronunciare parole di teologia
Proclamare la fede
Occupare spazi
Assumere la lidership
Inventare il nuovo.
Grazie sorella Marta!

Tea Frigerio



Insegnante di Sacra Scrittura, è stata coordinatrice del Dipartimento di Pastorale dell'Istituto di Pastorale Regionale (IPAR) e direttrice dello stesso. 
Dal 1985 é membro del CEBI (Centro Studi Biblici), del quale attualmente coordina il Programma di Formazione.
Dal 1999 è anche animatrice del cammino della Lettura Popolare della Bibbia in Italia.
E' autrice di pubblicazioni a carattere biblico sia in Italia che in Brasile

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