Santa Maria,

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mercoledì 16 ottobre 2013

«Guai anche a voi, dottori della legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!



Daniel Lifschitz. Il Talmudista


Non è dunque una misura la moralità cristiana;
è l'adesione a una Presenza, 
all'Essere che è mistero personale 
e origine costitutiva della creatura umana.


Mons. Luigi Giussani, Moralità, memoria e desiderio 




Dal Vangelo secondo Luca 11,42-46.

Ma guai a voi, farisei, che pagate la decima della menta, della ruta e di ogni erbaggio, e poi trasgredite la giustizia e l'amore di Dio. Queste cose bisognava curare senza trascurare le altre. Guai a voi, farisei, che avete cari i primi posti nelle sinagoghe e i saluti sulle piazze. Guai a voi perché siete come quei sepolcri che non si vedono e la gente vi passa sopra senza saperlo». Uno dei dottori della legge intervenne: «Maestro, dicendo questo, offendi anche noi». Egli rispose: «Guai anche a voi, dottori della legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!



Il commento

"Innalzate una siepe per la Torah" avevano insegnato i Padri al tempo dell'esilio. Essi credevano che sul Sinai, accanto alla Torah scritta, Dio avesse rivelato a Mosè anche la Torah orale; una serie di precetti che raggiungevano ogni aspetto della vita - le "altre cose" che Gesù stesso invita a "non trascurare" - perché in tutto fosse protetta la fedeltà all'Alleanza, la santità (separazione) del Popolo Eletto, il segno di Dio deposto nella Babilonia pagana. E' cura dei figli pagare la decima della menta, della ruta e di ogni erbaggio per ricordare che tutto è dono del Padre e di nulla ci si può appropriare. Per questo i "guai" severi di Gesù non si riferiscono all'osservanza dei precetti, ma sono fendenti che mirano al cuore: "Guai a voi!", guai al vostro cuore che "trascura la giustizia e l'amore gratuito di Dio!". Chi trascura, infatti, non ama, è un ipocrita infedele. Quante volte abbiamo tras-curato, siamo passati oltre la cura dovuta alla moglie, al marito, ai genitori, presi dai nostri inderogabili impegni? Quanti "no" sbrigativi sbattuti in faccia ai figli invece di curare con calma in loro il "si" a Cristo? Come Pietro che passava oltre le parole di Gesù e voleva fermarlo nella sua salita a Gerusalemme: "Questo non ti accadrà mai!". Pietro, il primo Papa, tu ed io, quando ci mettiamo di traverso e siamo di scandalo ai piccoli nel loro cammino verso il compimento della volontà di Dio. Sì, "guai" a te e a me oggi, che ci lasciamo ispirare pensieri, giudizi e parole da satana. 


"Guai a te satana" che inganni tua moglie e tuo marito, i tuoi figli, i fratelli e i fedeli affidati alle tue cure di presbitero, "caricando" sulle loro povere spalle "pesi insopportabili": sono i moralismi dei quali la nostra concupiscenza scatenata dal fallimento vorrebbe nutrirsi. Siamo, infatti, scandalizzati della nostra e dell'altrui debolezza e impauriti dalla precarietà; come i farisei ci illudiamo di "separarci" dal male che ci circonda scalando "i primi posti nelle sinagoghe" e comprando "i saluti nelle piazze". Siamo come squali affamati: incapaci di compiere il bene, di amare e "giudicare" cosa sia bene e cosa sia male, secondo il senso originale del termine tradotto con "giustizia", restiamo vuoti e senza gratificazione. Per questo ci aggiriamo in cerca di cibo capace di saziare la fame dell'uomo vecchio: il successo e il prestigio da una parte, l'obbedienza ai nostri criteri, alle nostre idee e alle nostre imposizioni dall'altra. Tutto per sentirci vivi, mentre tutto ci ripete che siamo morti. Il primeggiare, infatti, è sempre una corsa verso il "sepolcro" dell'irrilevanza. Più cerchiamo di sfuggirla più essa ci risucchia come in una tomba della quale nessuno si accorge, come quelle vecchie che troviamo nelle chiese, sulle quali non si legge più neanche il nome del defunto. Più cerchiamo di "passare avanti" alla volontà di Dio, costruendocene una nostra che vorremmo far passare per sua, più restiamo frustrati. Non siamo noi i creatori di noi stessi, solo Dio può sapere che cosa ci fa bene; Lui sa che la nostra felicità e la nostra realizzazione sta nel seguirlo sui sentieri della misericordia, dell'amore disinteressato che giunge sino al nemico. Quando, invece, ingannati dal demonio, ci fabbrichiamo una legge, essa sarà sempre così inumana e "insopportabile" da schiacciarci. Ma l'abbiamo confezionata, e, ormai scivolati sul piano inclinato della concupiscenza, dobbiamo vederla compiersi in qualcuno, per non morire sotto le macerie del fallimento. Per questo, proporzionalmente ai nostri fallimenti e alle nostre frustrazioni, all'irrilevanza e all'oblio che sperimentiamo, carichiamo sugli altri i "pesi che non abbiamo saputo portare". Assolutamente fuori misura, figli di un'illusione e di un delirio di onnipotenza tale e quale a quello del demonio, sono pesi che uccidono. E così neanche l'aver oppresso chiunque ci stia accanto ci sazia, perché tra i lacci dei moralismi esigiti e caricati su coniugi, figli e nipoti, le relazioni esplodono e radono al suolo ogni sentimento. La verità è che non amiamo altri che noi stessi; corriamo per raggiungere i primi posti, lasciando indietro le persone che Dio ci ha messo accanto, andando al di là del loro passo, che è l'unica misura dell'amore autentico. Chi ama sa decelerare, sa anche fermarsi, sa addirittura lasciarsi passare avanti da chi ha accanto. Sa aspettare, sa restare in silenzio e dire la parola giusta al momento giusto. Chi ama il figlio non lo sorpassa mai, ma lo guida con l'esempio di chi si fa tutto a tutti per amore; e lo aiuta facendosi ultimo per poterlo sospingere con la misericordia. Così ci ha amati il Signore, servo che ha lasciato passare tutti avanti, rinunciando a se stesso, per farci entrare nel Cielo. Senza la cura attenta del Tu restiamo imprigionati nella solitudine superba dell'Io, sepolcro che ci chiude nella stessa trascuratezza e irrilevanza che abbiamo riservato agli altri. Il Signore ci chiama oggi a conversione, a ritornare sui passi della nostra storia e ricordare i memoriali del suo amore; a tornare indietro laddove abbiamo trascurato il fratello per prendere insieme il giogo soave e leggero di Cristo.



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