Santa Maria,

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venerdì 4 aprile 2014

Con Gesù la vita acquista la sua pienezza. Con Lui è più facile trovare il senso di ogni cosa.

Il Papa: chi ha potere cerca di silenziare i profeti, ma lo Spirito non si può ingabbiare

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omelie

Nuovo tweet del Papa: 
"Con Gesù la vita acquista la sua pienezza. Con Lui è più facile trovare il senso di ogni cosa. (EG 266)" (4 aprile 2014)

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Quando si annuncia il Vangelo si va incontro alle persecuzioni. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa di stamani a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha ribadito che oggi ci sono più martiri che nei primi tempi della Chiesa ed ha esortato i fedeli a non avere paura di incomprensioni e persecuzioni. 
Il cuore degli empi che si allontanano da Dio vogliono impadronirsi della religione. Papa Francesco ha sviluppato la sua omelia partendo dal brano del Libro della Sapienza, nella prima Lettura. Quindi, ha osservato che i nemici di Gesù gli tendono delle insidie, lavorano “di calunnie, gli tolgono la fama”. E’ come se preparassero “il brodo per distruggere il Giusto”. E questo perché si oppone alle loro azioni, “rimprovera le colpe contro le leggi”, gli “rinfaccia le trasgressioni contro l’educazione ricevuta”. In tutta la storia della salvezza, ha poi osservato, “i profeti sono stati perseguitati” e Gesù stesso lo dice ai farisei. Sempre “nella storia della salvezza, nel tempo di Israele, anche nella Chiesa – ha ribadito – i profeti sono stati perseguitati”. Perseguitati perché i profeti dicono: “Voi avete sbagliato strada! Tornate alla strada di Dio!”. E questo, ha constatato, “alle persone che hanno il potere di quella strada sbagliata non fa piacere”. 
“Il Vangelo di oggi è chiaro, no? Gesù si nascondeva, in questi ultimi giorni, perché ancora non era arrivata la sua ora; ma Lui conosceva quale sarebbe stato il suo fine, come sarebbe stato il suo fine. E Gesù è perseguitato dall’inizio: ricordiamo quando all’inizio della sua predicazione torna al suo paese, va alla sinagoga e predica; subito, dopo una grande ammirazione, incominciano: Ma questo noi sappiamo di dove è. Questo è uno di noi. Ma con che autorità viene a insegnarci? Dove ha studiato?’. Lo squalificano! E’ lo stesso discorso, no? ‘Ma costui sappiamo di dove è! Il Cristo, invece, quando verrà nessuno saprà di dove sia!’. Squalificare il Signore, squalificare il profeta per togliere l’autorità!” 
Lo squalificano, ha aggiunto, “perché Gesù usciva e faceva uscire da quell’ambiente religioso chiuso, da quella gabbia”. Il profeta, ha ribadito, “lotta contro le persone che ingabbiano lo Spirito Santo. E per questo è perseguitato: sempre!” I profeti, è stata la sua riflessione, “sono tutti perseguitati o non compresi, lasciati da parte. Non gli danno posto!” Questa situazione, ha aggiunto, non è finita “con la morte e resurrezione di Gesù: è continuato nella Chiesa! Perseguitati da fuori e perseguitati da dentro!”. Quando noi leggiamo la vita dei Santi, ha detto Papa Francesco, “quante incomprensioni, quante persecuzioni hanno subito i Santi”, “perché erano profeti”:
“Anche tanti pensatori nella Chiesa sono stati perseguitati. Io penso ad uno, adesso, in questo momento, non tanto lontano da noi, un uomo di buona volontà, un profeta davvero, che con i suoi libri rimproverava la Chiesa di allontanarsi dalla strada del Signore. Subito è stato chiamato, i suoi libri sono andati all’indice, gli hanno tolto le cattedre e quest’uomo così finisce la sua vita: non tanto tempo fa. E’ passato il tempo ed oggi è beato! Ma come ieri era un eretico e oggi è un beato? E’ che ieri quelli che avevano il potere volevano silenziarlo, perché non piaceva quello che diceva. Oggi la Chiesa, che grazie a Dio sa pentirsi, dice: ‘No, quest’uomo è buono!’. Di più, è sulla strada della santità: è un beato!
“Tutte le persone che lo Spirito Santo sceglie per dire la verità al Popolo di Dio – ha soggiunto – soffrono persecuzioni”. E Gesù “è proprio il modello, l’icona”. Il Signore ha preso su di Lui “tutte le persecuzioni del suo Popolo”. E ancora oggi, ha rilevato con amarezza, “i cristiani sono perseguitati”. “Oso dire – ha aggiunto – che forse ci sono tanti o più martiri adesso che nei primi tempi”, “perché a questa società mondana, a questa società un po’ tranquilla, che non vuole i problemi, dicono la verità, annunziano Gesù Cristo”:
“Ma c’è la pena di morte o il carcere per avere il Vangelo a casa, per insegnare il Catechismo, oggi, in alcune parti! Mi diceva un cattolico di questi Paesi che loro non possono pregare insieme. E’ vietato! Soltanto si può pregare soli e nascosti. Ma loro vogliono celebrare l’Eucaristia e come fanno? Fanno una festa di compleanno, fanno finta di celebrare il compleanno e lì fanno l’Eucaristia, prima della festa. E- è successo! - quando vedono che arrivano i poliziotti, subito nascondono tutto e ‘Felicità, felicità. Tanti auguri!’ e continuano con la festa. Poi, quando se ne vanno, finiscono l’Eucaristia. Così devono fare, perché è vietato pregare insieme. Oggi!”.
E questa storia di persecuzioni, ha rimarcato, “è il cammino del Signore, è il cammino di quelli che seguono il Signore”. Ma, ha aggiunto, “finisce, alla fine, sempre come il Signore: con una Resurrezione, ma passando per la Croce!” Francesco ha, quindi, rivolto il pensiero a padre Matteo Ricci, evangelizzatore della Cina, che “non è stato compreso, non è stato capito. Ma lui ha obbedito come Gesù!” Sempre, ha detto ancora, “ci saranno le persecuzioni, le incomprensioni! Ma Gesù è il Signore e questa è la sfida e la Croce della nostra fede!”. Che il Signore, ha concluso il Papa, “ci dia la grazia di andare per la sua strada e se accade anche con la croce delle persecuzioni”. 

 Messa a Santa Marta. Un amico con cui pregare
L'Osservatore Romano
Pregare è come parlare con un amico: per questo «la preghiera deve essere libera, coraggiosa, insistente», anche a costo di arrivare a “rimproverare” il Signore. Con la consapevolezza che lo Spirito Santo c’è sempre e ci insegna come fare. È lo stile della preghiera di Mosè quello che Papa Francesco ha riproposto nella messa celebrata giovedì mattina, 3 aprile, nella cappella della Casa Santa Marta.
Questo piccolo “manuale” della preghiera è stato suggerito al Pontefice dalla lettura del passo del libro dell’Esodo (32, 7-14), che racconta «la preghiera di Mosè per il suo popolo che era caduto nel peccato gravissimo dell’idolatria». Il Signore — ha spiegato il Papa — «rimprovera proprio Mosè» e gli dice: «Va’, scendi, perché il tuo popolo, che hai fatto uscire dalla terra d’Egitto, si è pervertito».
È come se in questo dialogo Dio volesse prendere le distanze, dicendo a Mosè: «Io non ho niente a che fare con questo popolo; è il tuo, non è più il mio». Ma Mosè risponde: «Perché, Signore, si accenderà la tua ira contro il tuo popolo, che hai fatto uscire dalla terra d’Egitto con grande forza e con mano potente?». E così, ha affermato il Santo Padre, «il popolo è come in mezzo a due padroni, a due padri: il popolo di Dio e il popolo di Mosè».
Ecco allora che Mosè inizia la sua preghiera, «una vera lotta con Dio». È «la lotta del capo del popolo per salvare il suo popolo, che è il popolo di Dio». Mosè «parla liberamente davanti al Signore». E così facendo «ci insegna come pregare: senza paura, liberamente, anche con insistenza». Mosè «insiste, è coraggioso: la preghiera deve essere così!».
Dire parole e niente più non vuol dire infatti pregare. Si deve anche saper «“negoziare” con Dio». Proprio «come fa Mosè, ricordando a Dio, con argomentazioni, il rapporto che ha con il popolo». Dunque «cerca di “convincere” Dio» che se scagliasse la sua ira contro il popolo farebbe «una brutta figura davanti a tutti gli egiziani». Nel libro dell’Esodo si leggono infatti queste parole di Mosè a Dio: «Perché dovranno dire gli Egiziani: “Con malizia li ha fatti uscire, per farli perire tra le montagne e farli sparire dalla terra”? Desisti dall’ardore della tua ira e abbandona il proposito di fare del male al tuo popolo».
In buona sostanza Mosè «cercava di “convincere” Dio a cambiare atteggiamenti con tante argomentazioni. E queste argomentazioni va a cercarle nella memoria». Così «dice a Dio: tu hai fatto questo, questo e questo per il tuo popolo, ma se adesso lo lasci morire nel deserto cosa diranno i nostri nemici?». Diranno — prosegue — «che tu sei cattivo, che tu non sei fedele». In questo modo Mosè «cerca di “convincere” il Signore», ingaggiando una «lotta» nella quale pone al centro due elementi: «il tuo popolo e il mio popolo».
La preghiera ha successo, perché «alla fine Mosè riesce a “convincere” il Signore». Il Papa ha rimarcato che «è bello come finisce questo brano» della Scrittura: «Il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo». Certo, ha spiegato, «il Signore era un po’ stanco per questo popolo infedele». Ma «quando uno legge, nell’ultima parola del brano, che il Signore si pente» e «ha cambiato atteggiamento» deve porsi una domanda: Chi è cambiato davvero qui? È cambiato il Signore? «Io credo di no» è stata la risposta del vescovo di Roma: a cambiare è stato Mosè. Perché egli — ha affermato il Pontefice — credeva che il Signore avrebbe distrutto il popolo. E «cerca nella sua memoria com’era stato buono il Signore con il suo popolo, come lo aveva tolto dalla schiavitù dell’Egitto per portarlo avanti con una promessa».
È appunto «con queste argomentazioni che cerca di “convincere” Dio. In questo processo ritrova la memoria del suo popolo e trova la misericordia di Dio». Davvero, ha proseguito il Papa, «Mosè aveva paura che Dio facesse questa cosa» terribile. Ma «alla fine scende dal monte» con una grande consapevolezza nel cuore: «il nostro Dio è misericordioso, sa perdonare, torna indietro nelle sue decisioni, è un padre!».
Sono tutte cose che Mosè già «sapeva, ma le sapeva più o meno oscuramente. È nella preghiera che le ritrova». Ed è anche «questo che fa la preghiera in noi: ci cambia il cuore, ci fa capire meglio com’è il nostro Dio». Ma per questo, ha aggiunto il Pontefice, «è importante parlare al Signore non con parole vuote come fanno i pagani». Bisogna invece «parlare con la realtà: ma, guarda, Signore, ho questo problema nella famiglia, con mio figlio, con questo o quell’altro... Cosa si può fare? Ma guarda che tu non mi puoi lasciare così!».
La preghiera prende e richiede tempo. Infatti «pregare è anche “negoziare” con Dio per ottenere quello che chiedo al Signore» ma soprattutto per conoscerlo meglio. Ne viene fuori una preghiera «come da un amico a un altro amico». Del resto «la Bibbia dice che Mosè parlava al Signore faccia a faccia, come un amico». E «così deve essere la preghiera: libera, insistente, con argomentazioni». Persino «“rimproverando” un po’ il Signore: ma tu mi hai promesso questo e non l’hai fatto!». È come quando «si parla con un amico: aprire il cuore a questa preghiera».
Papa Francesco ha anche ricordato che, dopo il faccia a faccia con Dio, «Mosè è sceso dal monte rinvigorito. Ho conosciuto di più il Signore. E con quella forza che gli aveva dato riprende il suo lavoro di condurre il popolo verso la terra promessa». Dunque «la preghiera rinvigorisce».
Il Pontefice ha concluso chiedendo al Signore che «dia a tutti noi la grazia, perché pregare è una grazia». E ha invitato a ricordare sempre che «quando preghiamo Dio, non è un dialogo a due», perché «sempre in ogni preghiera c’è lo Spirito Santo». Dunque «non si può pregare senza lo Spirito Santo: è lui che prega in noi, è lui che ci cambia il cuore, è lui che ci insegna a dire a Dio “padre”».
È allo Spirito Santo, ha aggiunto il Papa, che dobbiamo chiedere di insegnarci a pregare «come ha pregato Mosè, a “negoziare” con Dio con libertà di spirito, con coraggio». E «lo Spirito Santo, che è sempre presente nella nostra preghiera, ci conduca per questa strada».
L'Osservatore Romano, 4 aprile 2014.

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