"Neanche io ti condanno"
Una "donna", senza nome, puoi mettere il tuo, posso mettere il mio. Un peccato, l'adulterio, il mio e il tuo. Sembrava amore e invece era solo passione, gli ormoni a dettare legge per fuggire da un matrimonio che non aveva più nulla da dire; magari il marito è da un secolo che la stava trascurando, chiuso nella sua banale superficialità. E una "donna", si sa, ha bisogno d'essere considerata, corteggiata, ne va della sua femminilità. Forse l'aveva tradita, e non poteva sopportarlo, doveva fargliela pagare. O forse era stata solo una sbandata, un fremito, di quelli che ti prendono quando qualcuno ti fa sentire importante, quelle parole che nessuno le aveva mai detto, e sembrava capire tutto di lei, s'era accorto addirittura che aveva cambiato rossetto. L'occasione aveva bussato, e l'aveva trovata indifesa, incapace di resistere. Quel volto, e quella voce, proprio in quel momento, proprio sulla soglia della depressione, una vita spesa tra lavoro, fornelli e bucati; e lo dicono anche gli psicologi, e poi i film, le canzoni, la televisione, non si può perdere così la dignità, da troppo tempo aveva dimenticato d'essere una "donna", di quelle vere, autodeterminate, non era mica nata per fare solo la madre e la moglie, altro che sottomissione... Ecco, quell'uomo che le si avvicinava le aveva improvvisamente incendiato l'orgoglio. E' lì, nel fondo melmoso del cuore, dove s'agita il demone più feroce, che sempre tutto ha inizio. Di colpo s'era trovata dinanzi all'albero, come la prima delle "donne", con un futuro di libertà e felicità da cogliere senza pensarci troppo. E' vero che qualcosa le diceva che no, non era proprio così, che s'era sposata perché lo aveva desiderato e deciso, che, pur tremando, l'aveva promessa felice la fedeltà per tutti i giorni della sua vita; che quei bambini erano la luce dei suoi occhi, e che era orgogliosa che portassero il nome di suo marito, che le piaceva perfino che gli assomigliassero. Ma sottomessa no; quello sguardo dolce, quelle parole a pranzo, quella presenza improvvisa le stavano finalmente indicando la ragione del sottile malessere che l'aveva afferrata da tempo: il limite, il sacrificio, l'obbedienza e il dono di sé; era troppo, si sentiva frustrata, quanto era che non usciva con un'amica per fare shopping? In fondo lui non era neanche bello; intelligente e comprensivo si dice, ma nulla di più. Non era di lui che s'era invaghita accidenti, non era passione per un uomo, checchè ne dicesse la sua collega. Di se stessa s'era innamorata, e questo si chiama superbia. Lui era solo uno sguardo e una voce prestate al serpente; lei desiderava un'altra se stessa, perché quegli occhi e quelle parole che l'avevano turbata, i complimenti e le gentilezze che le scompensavano gli ormoni, in fondo la stavano disprezzando senza pietà. Quell'uomo stava stracciando e buttando nella spazzatura ciò che lei era stata sino a quel momento: donna, sposa e madre. Insinuandole una menzogna la stava spingendo a tradire se stessa, perché ciò che era non valeva, non serviva.Doveva essere la sua amante per valere. Come fece con Eva, il demonio le stava dipingendo il quadro della "donna" che non sarebbe mai stata: servita, obbedita, valorizzata, rispettata, amata, non perché "donna", e sposa, e madre, non perché immagine della Chiesa per la quale Cristo ha offerto se stesso, ma perché sarebbe divenuta come dio. A questa menzogna aveva legato il suo cuore, e ogni abbraccio, ogni bacio, ogni amplesso, ogni parola e ogni istante passato con l'amante era un frammento di morte che si impadroniva di lei. E ora era lì, come Eva, "sorpresa in flagrante adulterio"; e "Mosè, nella Legge, ha comandato di lapidare donne come questa". Era giusto così, perché la pioggia di pietre le avrebbe solo dato pubblicamente la morte che il suo cuore e la sua carne avevano scelto e consumato nel segreto. Per questo era lì "nel mezzo", come un esempio per quanti avevano in animo di peccare. Gli "scribi e i farisei" avevano già condannato l'adultera; ma avevano bisogno di lei per condannare il Signore. Il suo adulterio, infatti, sarebbe servito per "mettere alla prova Gesù e avere di che accusarlo". Ma proprio qui appare la Pasqua, il mistero che ci stiamo preparando a celebrare. Gesù stava "insegnando" la Torah, la Legge sulla quale venivano a metterlo alla prova: "tu che ne dici?". Forse stava spiegando perché in Galilea aveva predicato che bastava uno sguardo concupiscente per commettere adulterio con una donna nel proprio cuore. Che è da lì che iniziamo a tradire Dio, noi stessi e gli altri... Ma ora, misteriosamente, non dice nulla, "si china", e comincia a "scrivere in terra con il dito". Fa un segno, e nessuno lo capisce. Il suo dito sembra sfiorare così la debolezza di quella donna, fatta di "terra" come tutti quelli che erano lì, il popolo giustiziere, gli scribi sapienti e i farisei integerrimi. Il suo dito è una carezza che annuncia la verità: la Legge, la libertà, l'amore, il cammino della vita, tutto è scritto sulla polvere che è il cuore di ogni uomo. Un po' di vento cavalcato dalla tentazione, e la vita scappa via: "chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei". Tutti hanno peccato. Tutti hanno commesso adulterio con il demonio separandosi da Dio. Tutti hanno creduto alla menzogna e hanno pensato di poter essere diversi, come Dio. E tutti sono morti. Allora, che fate? Vi cominciate a prendere a sassate fino a che non vi ammazzate tutti? E' questo che diceva Mosè? No, perché la Torah parla di me, in ogni sua pagina. Annuncia che davvero i vostri peccati sarebbero stati la mia accusa e la mia condanna, scritti tutti sulla Croce. Annuncia il perdono per ogni peccato, l'unico giudizio capace di estirpare il male. Guardiamoci dentro allora, e non potremo far altro che "tornare a casa", a cominciare dai più "vecchi", arrugginiti nei peccati. Convertirci e chiedere perdono a quanti abbiamo giudicato, anche alla moglie adultera, anche al marito assente. "Dove sono gli accusatori?" Dov'è il documento che ci condanna? Quando, ogni giorno, vibra nel cuore il giudizio inclemente verso se stessi e verso gli altri, emerge il giudizio di Dio: la misericordia. Dove tutti ci abbandonano, dove tutto, giustamente e ragionevolmente, ci condanna, il suo amore è l'ultima Parola. Gesù, il comandamento del Padre scritto sulla terra della nostra esistenza, il cielo inciso sul nostro cuore, la misericordia nella nostra debolezza: "neanche io ti condanno". Chi ha incontrato l'amore gratuito di Cristo, chi ha sperimentato che "nessuno" l'ha condannato, "và, cammina in una vita nuova e non pecca più"; guarda l'altro con gli occhi e il cuore di Cristo, e gli ripete le stesse parole: neanche io ti condanno. Una "donna" che incontra Cristo cesserà di tradire Dio, se stessa, suo marito e suoi figli. In Lui che consegna se stesso per lei ha, infatti, trovato lo Sposo che la ama così come è. In Lui può essere "donna", moglie e madre sino in fondo, sottomessa per amore a Cristo al marito che non sa più condannare... E come lei ciascuno di noi in questa Pasqua, perdonati per accogliere tutti nella misericordia.
"Neanche io ti condanno"
Una "donna", senza nome, puoi mettere il tuo, posso mettere il mio. Un peccato, l'adulterio, il mio e il tuo. Sembrava amore e invece era solo passione, gli ormoni a dettare legge per fuggire da un matrimonio che non aveva più nulla da dire; magari il marito è da un secolo che la stava trascurando, chiuso nella sua banale superficialità. E una "donna", si sa, ha bisogno d'essere considerata, corteggiata, ne va della sua femminilità. Forse l'aveva tradita, e non poteva sopportarlo, doveva fargliela pagare. O forse era stata solo una sbandata, un fremito, di quelli che ti prendono quando qualcuno ti fa sentire importante, quelle parole che nessuno le aveva mai detto, e sembrava capire tutto di lei, s'era accorto addirittura che aveva cambiato rossetto. L'occasione aveva bussato, e l'aveva trovata indifesa, incapace di resistere. Quel volto, e quella voce, proprio in quel momento, proprio sulla soglia della depressione, una vita spesa tra lavoro, fornelli e bucati; e lo dicono anche gli psicologi, e poi i film, le canzoni, la televisione, non si può perdere così la dignità, da troppo tempo aveva dimenticato d'essere una "donna", di quelle vere, autodeterminate, non era mica nata per fare solo la madre e la moglie, altro che sottomissione... Ecco, quell'uomo che le si avvicinava le aveva improvvisamente incendiato l'orgoglio. E' lì, nel fondo melmoso del cuore, dove s'agita il demone più feroce, che sempre tutto ha inizio. Di colpo s'era trovata dinanzi all'albero, come la prima delle "donne", con un futuro di libertà e felicità da cogliere senza pensarci troppo. E' vero che qualcosa le diceva che no, non era proprio così, che s'era sposata perché lo aveva desiderato e deciso, che, pur tremando, l'aveva promessa felice la fedeltà per tutti i giorni della sua vita; che quei bambini erano la luce dei suoi occhi, e che era orgogliosa che portassero il nome di suo marito, che le piaceva perfino che gli assomigliassero. Ma sottomessa no; quello sguardo dolce, quelle parole a pranzo, quella presenza improvvisa le stavano finalmente indicando la ragione del sottile malessere che l'aveva afferrata da tempo: il limite, il sacrificio, l'obbedienza e il dono di sé; era troppo, si sentiva frustrata, quanto era che non usciva con un'amica per fare shopping? In fondo lui non era neanche bello; intelligente e comprensivo si dice, ma nulla di più. Non era di lui che s'era invaghita accidenti, non era passione per un uomo, checchè ne dicesse la sua collega. Di se stessa s'era innamorata, e questo si chiama superbia. Lui era solo uno sguardo e una voce prestate al serpente; lei desiderava un'altra se stessa, perché quegli occhi e quelle parole che l'avevano turbata, i complimenti e le gentilezze che le scompensavano gli ormoni, in fondo la stavano disprezzando senza pietà. Quell'uomo stava stracciando e buttando nella spazzatura ciò che lei era stata sino a quel momento: donna, sposa e madre. Insinuandole una menzogna la stava spingendo a tradire se stessa, perché ciò che era non valeva, non serviva.Doveva essere la sua amante per valere. Come fece con Eva, il demonio le stava dipingendo il quadro della "donna" che non sarebbe mai stata: servita, obbedita, valorizzata, rispettata, amata, non perché "donna", e sposa, e madre, non perché immagine della Chiesa per la quale Cristo ha offerto se stesso, ma perché sarebbe divenuta come dio. A questa menzogna aveva legato il suo cuore, e ogni abbraccio, ogni bacio, ogni amplesso, ogni parola e ogni istante passato con l'amante era un frammento di morte che si impadroniva di lei. E ora era lì, come Eva, "sorpresa in flagrante adulterio"; e "Mosè, nella Legge, ha comandato di lapidare donne come questa". Era giusto così, perché la pioggia di pietre le avrebbe solo dato pubblicamente la morte che il suo cuore e la sua carne avevano scelto e consumato nel segreto. Per questo era lì "nel mezzo", come un esempio per quanti avevano in animo di peccare. Gli "scribi e i farisei" avevano già condannato l'adultera; ma avevano bisogno di lei per condannare il Signore. Il suo adulterio, infatti, sarebbe servito per "mettere alla prova Gesù e avere di che accusarlo". Ma proprio qui appare la Pasqua, il mistero che ci stiamo preparando a celebrare. Gesù stava "insegnando" la Torah, la Legge sulla quale venivano a metterlo alla prova: "tu che ne dici?". Forse stava spiegando perché in Galilea aveva predicato che bastava uno sguardo concupiscente per commettere adulterio con una donna nel proprio cuore. Che è da lì che iniziamo a tradire Dio, noi stessi e gli altri... Ma ora, misteriosamente, non dice nulla, "si china", e comincia a "scrivere in terra con il dito". Fa un segno, e nessuno lo capisce. Il suo dito sembra sfiorare così la debolezza di quella donna, fatta di "terra" come tutti quelli che erano lì, il popolo giustiziere, gli scribi sapienti e i farisei integerrimi. Il suo dito è una carezza che annuncia la verità: la Legge, la libertà, l'amore, il cammino della vita, tutto è scritto sulla polvere che è il cuore di ogni uomo. Un po' di vento cavalcato dalla tentazione, e la vita scappa via: "chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei". Tutti hanno peccato. Tutti hanno commesso adulterio con il demonio separandosi da Dio. Tutti hanno creduto alla menzogna e hanno pensato di poter essere diversi, come Dio. E tutti sono morti. Allora, che fate? Vi cominciate a prendere a sassate fino a che non vi ammazzate tutti? E' questo che diceva Mosè? No, perché la Torah parla di me, in ogni sua pagina. Annuncia che davvero i vostri peccati sarebbero stati la mia accusa e la mia condanna, scritti tutti sulla Croce. Annuncia il perdono per ogni peccato, l'unico giudizio capace di estirpare il male. Guardiamoci dentro allora, e non potremo far altro che "tornare a casa", a cominciare dai più "vecchi", arrugginiti nei peccati. Convertirci e chiedere perdono a quanti abbiamo giudicato, anche alla moglie adultera, anche al marito assente. "Dove sono gli accusatori?" Dov'è il documento che ci condanna? Quando, ogni giorno, vibra nel cuore il giudizio inclemente verso se stessi e verso gli altri, emerge il giudizio di Dio: la misericordia. Dove tutti ci abbandonano, dove tutto, giustamente e ragionevolmente, ci condanna, il suo amore è l'ultima Parola. Gesù, il comandamento del Padre scritto sulla terra della nostra esistenza, il cielo inciso sul nostro cuore, la misericordia nella nostra debolezza: "neanche io ti condanno". Chi ha incontrato l'amore gratuito di Cristo, chi ha sperimentato che "nessuno" l'ha condannato, "và, cammina in una vita nuova e non pecca più"; guarda l'altro con gli occhi e il cuore di Cristo, e gli ripete le stesse parole: neanche io ti condanno. Una "donna" che incontra Cristo cesserà di tradire Dio, se stessa, suo marito e suoi figli. In Lui che consegna se stesso per lei ha, infatti, trovato lo Sposo che la ama così come è. In Lui può essere "donna", moglie e madre sino in fondo, sottomessa per amore a Cristo al marito che non sa più condannare... E come lei ciascuno di noi in questa Pasqua, perdonati per accogliere tutti nella misericordia.
Lunedì della V settimana di Quaresima
Tu certo devi averlo sentito
con ferro e fuoco scavare la pietra,
perché mai più sulla terra qualcuno
solo scalfire potesse quei segni.
No, non poteva che essere lui,
che ti erompeva da dentro il cuore.
David M. Turoldo
Gv 8,1-11
In quel tempo, Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma all?alba si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui ed egli, sedutosi, li ammaestrava.
Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo, gli dicono: ?Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici??.Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra. E siccome insistevano nell?interrogarlo, alzò il capo e disse loro: ?Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei?. E chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi.Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo. Alzatosi allora Gesù le disse: ?Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata??. Ed essa rispose: ?Nessuno, Signore?. E Gesù le disse: ?Neanch?io ti condanno; va? e d?ora in poi non peccare più?.
IL COMMENTO
Una donna. Un peccato. L'umanità. I suoi peccati. Adulterio e idolatria. Una vita gettata nei letti degli amanti, e solitudine acre, tanta passione e niente amore. Solitudine. Come ora, lì nel mezzo, gli occhi e le mani puntati su di lei, le pietre pronte a colpire. E noi e i nostri giorni dissolti tra gli idoli muti incapaci d'amore, il prestigio, il denaro, l'affetto. E sempre più soli, un pugno di mosche tra le mani, sbattuti in mezzo alla strada, tremanti, aspettando solo la morte. La condanna già emessa, dev'essere solo eseguita.Sì, così è la nostra vita, un battito di ciglia impaurito, rincorrere la gioia nella palude della solitudine. Siamo soli. Per quanto facciamo, pensiamo, desideriamo, siamo soli. Come questa donna. Nudi, come Adamo ed Eva. Il peccato appena consumato a piagare le spalle d'un peso insopportabile, ed una condanna sul capo, la morte in agguato. La fine di ogni residua speranza. Quanti giorni così, quante ore. Alienazioni vuote, peggiori d'una lapidazione. Illusioni, a ferirci più di una coltellata.E appare il suo sguardo. Era lì. Ad aspettare. La storia che sembra stracciarci gli ultimi istanti, ci trascina da Lui. Dove tutto sembra perduto, dove le conseguenze dei nostri peccati sembrano gettarci a terra senza speranza, dove la polvere secca di una vita esanime sembra soffocare l'ultimo gemito, Gesù è lì ad insegnare. Il suo trono di misericordia, la sua cattedra d'amore. Il suo perdono, ad aspettare i nostri peccati. Il suo sguardo, a sanare le nostre paure. Il suo dito pigiato sulla terra, le Parole d'amore segnate con la potenza dello Spirito sui nostri poveri cuori. Di terra siamo fatti, dalla terra veniamo, i nostri giorni come erba del campo, svaniscono in un baleno. Terra incapace d'amare. La legge scritta dal dito di Dio sulle tavole di pietra, il cammino della vita tradito da cuori di pietra. E il Figlio, la Parola fatta carne perché la carne possa compiere la Parola, il dito del Padre nel dito del Figlio, e lo Spirito Santo a cacciare il demonio, a riscattare le nostre vite, a scrivere la Legge nella nostre debolezze, a fare di un cuore di pietra un cuore di carne. L'inno "Veni, Creator Spiritus" invoca lo Spirito Santo come digitus paternae dexterae - dito della destra del Padre. Dov'è abbondato il peccato ha sovrabbondato la Grazia.Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei. "Queste parole sono piene della forza disarmante della verità, che abbatte il muro dell’ipocrisia e apre le coscienze a una giustizia più grande, quella dell’amore, in cui consiste il pieno compimento di ogni precetto. È la giustizia che ha salvato anche Saulo di Tarso, trasformandolo in san Paolo" (Benedetto XVI,Angelus del 21 marzo 2010). Dove sono i nostri accusatori? Dove sono i nostri giustizieri? Dov'è il documento della nostra condanna? Tutto è svanito, ogni giudice si è dileguato all'apparire della verità. Siamo soli, ma, finalmente, di una benedetta solitudine. Quella che ci svela il volto di Dio nello sguardo di Cristo. Soli, per Lui. Senza speranza, per sperare solo in Lui. Senza gioia, per gioire solo di Lui. Senza nulla, per avere solo Lui. Noi e Lui, Noi in mezzo e Lui con noi. Dove tutti ci abbandonano, dove tutto, giustamente e ragionevolmente, ci condanna, il Suo amore è l'ultima Parola. Gesù, il comandamento del Padre scritto sulla terra della nostra esistenza, il cielo inciso sul nostro cuore, la misericordia nella nostra debolezza.Quando, ogni giorno, si erge il giudizio del marito verso la moglie, del figlio verso il padre, dell'amico verso l'amico, dell'impiegato verso il capoufficio; quando vibra nel cuore il giudizio inclemente verso se stessi; quando non abbiamo scampo perchè i peccati e le debolezze ci hanno consegnati al giudizio altrui, emerge il giudizio di Dio: la misericordia. E' Cristo crocifisso che, in questo momento come in ogni situazione della nostra vita, irrompe nella camera di consiglio affollata dei nostri accusatori e ferma tutto, annuncia la Grazia che ci riscatta e salva dalla morte. E' il suo giudizio di misericordia che, come uno scoglio, toglie vigore alle onde di giudizio e di vendetta che avvelena le nostre relazioni. Chi ha conosciuto la misericordia infinita di Dio vede infrangersi su di essa le parole, le accuse, i giudizi che ci piovono addosso. Chi ha incontrato l'amore gratuito di Cristo non pecca più, si sente perdonato e accetta anche i giudizi di condanna dell'altro lasciandosi ferire senza esserne sopraffatto. Così si spezza la catena maligna di sospetti e recriminazioni, gelsie ed invidie, giudizi e condanne; nella misericrdia di Dio ogni relazione è rigenerata, la certezza del perdono rende umili e disponibili ad accettare il giudizio altrui rendendo in cambio la misericordia paziente. Non ci stupisce il giudizio dell'altro perchè e solo figlio di un cuore che non ha conosciuto la misericordia. Una madre amata da Cristo, pur ferita dal giudizio della figlia, saprà accogliere il veleno e aspettare pazientemente che essa incontri, magari attraverso il suo amore, la misericordia di Dio.Così il Vangelo di oggi è immagine di ogni rapporto nel quale siamo coinvolti. Quando vi appare Cristo svanisce la condanna, perchè il giudizio si è fatto misericordia. "Gesù, assolvendo la donna dal suo peccato, la introduce in una nuova vita, orientata al bene: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più». È la stessa grazia che farà dire all’Apostolo: «So soltanto questo: dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù». Dio desidera per noi soltanto il bene e la vita" (Benedetto XVI, Angelus del 21 marzo 2010).APPROFONDIRE
Sant'Agostino (354-430), vescovo d'Ippona (Africa del Nord) e dottore della ChiesaCommento al vangelo di Giovanni, 33, 5-8« Neanch'io ti condanno ; va' e d'ora in poi non peccare più »« Uno dopo l'altro, tutti si ritirarono ». Rimasero soltanto loro due: la misera e la Misericordia. E il Signore, dopo averli colpiti con la freccia della giustizia, non si fermò a vederli cadere, ma, distolto lo sguardo da essi, « si rimise a scrivere in terra col dito ».Quella donna era dunque rimasta sola, poiché tutti se ne erano andati. Gesù levò gli occhi verso di lei. Abbiamo sentito la voce della giustizia, sentiamo ora la voce della mansuetudine... Essa si aspettava di essere colpita da colui nel quale non si poteva trovar peccato. Ma egli, che aveva respinto gli avversari di lei con la voce della giustizia, alzando verso di lei gli occhi della mansuetudine, le chiese: « Nessuno ti ha condannato? » Ella rispose: « Nessuno, Signore ». Ed egli: « Neppure io ti condanno », neppure io, dal quale forse hai temuto di esser condannata, non avendo trovato in me alcun peccato. « Neppure io ti condanno ».Come, Signore? Tu favorisci dunque il peccato? Assolutamente no. Ascoltate ciò che segue: « Va' e d'ora innanzi non peccare più ». Il Signore, quindi, condanna il peccato, ma non l'uomo... Ne tengano conto coloro che amano nel Signore la mansuetudine, e temano la verità... Il Signore è mansueto, il Signore è longanime, è misericordioso; ma è anche giusto, è anche verace (Sal 85,15). Ti dà il tempo di correggerti; ma tu fai assegnamento su questa dilazione, senza impegnarti a correggerti. Ieri sei stato cattivo? oggi sii buono. Anche oggi sei caduto nel male? almeno domani cambia.E' in questo senso che il Signore dice alla donna: « Neppure io ti condanno: non preoccuparti del passato, pensa al futuro. Neppure io ti condanno: ho distrutto ciò che hai fatto, osserva quanto ti ho comandato, così da ottenere quanto ti ho promesso ».
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