Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

sabato 19 aprile 2014

Il silenzio ... Sabato santo, il riposo di Dio ...

Il silenzio del sabato santo.

 Sulla soglia
(Inos Biffi) Il sabato santo è segnato dal silenzio. Sembra che tutto sia terminato senza possibilità di cambiamento; dopo che uno è morto, ogni progetto suo o a suo riguardo finisce. E anche Gesù è morto; resta da portarlo al sepolcro. Ora la sua salma è nelle mani di una «persona buona e giusta», Giuseppe di Arimatea.
L’ufficio pietoso che egli compie è estremamente semplice, normale: «Lo calò dalla croce, lo avvolse in un lenzuolo e lo depose in una tomba scavata nella roccia, nella quale nessuno era stato ancora deposto». Solo mancava che gli aromi imbalsamassero Gesù, e ne conservassero la salma il più possibile intatta: un’attesa precaria, poiché alla consumazione del tempo e alla sua voracità non resiste, alla fine, nulla; all’imbalsamazione avrebbero provveduto le donne intente «a osservare dove veniva deposto».
In ogni caso il suggello è conclusivo e pesante: «un masso contro l’entrata del sepolcro». Sino a questo estremo il Figlio di Dio ha voluto condividere la sua similitudine con noi. Ciò che adesso disponiamo di lui sensibilmente è il corpo esangue, che la pietà ha amato rappresentare, prima della deposizione nella tomba, nella deposizione del grembo della madre, dell’Addolorata, nella quale la fede raggiungeva il vertice della prova e della verità.
L’intensa contemplazione di Paul Claudel commenta: «Qui la Passione finisce e la Compassione continua. Cristo non è più sulla Croce, è con Maria che l’ha accolto: così come lo accolse, promesso, lo riceve, consumato. Cristo, che ha sofferto agli occhi di tutti, è nuovamente nascosto nel seno di sua Madre». Non si potrà capire l’amore accondiscendente di Dio se non si tocca il Corpo morto del Figlio, se non si piange sulla “morte di Dio”, che non è una teoria insipiente della teologia di questi ultimi anni, ma è il mistero della salvezza come esperienza umana estrema di tale Figlio divino, per cui, per qualche giorno, ce lo ritroviamo tra i nostri morti, come in una delle tombe dei nostri cimiteri, dove immaginiamo scritto: Gesù di Nazaret. Una tomba vigilata da un inquieto presentimento o da una diffusa insicurezza: infatti i sommi sacerdoti e i farisei andarono e assicurarono il sepolcro, «sigillando la pietra e mettendovi la guardia».
La liturgia ci offre un giorno intero perché ci dedichiamo a queste meditazioni, per poter capire la vicinanza di Dio, la sua “identità” con noi e con le peripezie della nostra sorte mortale. Il corpo di Gesù nel sepolcro non ha nulla a che vedere con il corpo eucaristico. Adesso siamo ancora nell’itinerario della condiscendenza che si arresta dove non può più continuare: al «marmo inoperoso», come dice Manzoni.
Da questa soglia limite avviene la risurrezione, che non è un ritorno. Cristo non viene alla vita di prima ma passa attraverso la morte, consumandola e non semplicemente regredendo alla condizione della vita che precede la morte. «Cristo non è ritornato — osserva san Bernardo — ma è risorto; non è venuto qui nuovamente ma è passato è trasmigrato, non rientrato. E proprio perché è passato in una vita nuova ci invita al passaggio». Quella di Gesù non è come la risurrezione di Lazzaro: il Risorto scaturisce dal dissolvimento della morte. Anche il sabato santo ci offre motivi e sostanza per la meditazione e la preghiera: la preghiera specialmente perché non ci siano assenze e sepolture per le quali ci lasciamo vincere dall’oppressione, che impaurisce e ci disanima nell’incredulità.
L'Osservatore Romano




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