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Sulla soglia
(Inos Biffi) Il sabato santo è segnato dal silenzio. Sembra che tutto sia terminato senza possibilità di cambiamento; dopo che uno è morto, ogni progetto suo o a suo riguardo finisce. E anche Gesù è morto; resta da portarlo al sepolcro. Ora la sua salma è nelle mani di una «persona buona e giusta», Giuseppe di Arimatea.
L’ufficio pietoso che egli compie è estremamente semplice, normale: «Lo calò dalla croce, lo avvolse in un lenzuolo e lo depose in una tomba scavata nella roccia, nella quale nessuno era stato ancora deposto». Solo mancava che gli aromi imbalsamassero Gesù, e ne conservassero la salma il più possibile intatta: un’attesa precaria, poiché alla consumazione del tempo e alla sua voracità non resiste, alla fine, nulla; all’imbalsamazione avrebbero provveduto le donne intente «a osservare dove veniva deposto».
In ogni caso il suggello è conclusivo e pesante: «un masso contro l’entrata del sepolcro». Sino a questo estremo il Figlio di Dio ha voluto condividere la sua similitudine con noi. Ciò che adesso disponiamo di lui sensibilmente è il corpo esangue, che la pietà ha amato rappresentare, prima della deposizione nella tomba, nella deposizione del grembo della madre, dell’Addolorata, nella quale la fede raggiungeva il vertice della prova e della verità.
L’intensa contemplazione di Paul Claudel commenta: «Qui la Passione finisce e la Compassione continua. Cristo non è più sulla Croce, è con Maria che l’ha accolto: così come lo accolse, promesso, lo riceve, consumato. Cristo, che ha sofferto agli occhi di tutti, è nuovamente nascosto nel seno di sua Madre». Non si potrà capire l’amore accondiscendente di Dio se non si tocca il Corpo morto del Figlio, se non si piange sulla “morte di Dio”, che non è una teoria insipiente della teologia di questi ultimi anni, ma è il mistero della salvezza come esperienza umana estrema di tale Figlio divino, per cui, per qualche giorno, ce lo ritroviamo tra i nostri morti, come in una delle tombe dei nostri cimiteri, dove immaginiamo scritto: Gesù di Nazaret. Una tomba vigilata da un inquieto presentimento o da una diffusa insicurezza: infatti i sommi sacerdoti e i farisei andarono e assicurarono il sepolcro, «sigillando la pietra e mettendovi la guardia».
La liturgia ci offre un giorno intero perché ci dedichiamo a queste meditazioni, per poter capire la vicinanza di Dio, la sua “identità” con noi e con le peripezie della nostra sorte mortale. Il corpo di Gesù nel sepolcro non ha nulla a che vedere con il corpo eucaristico. Adesso siamo ancora nell’itinerario della condiscendenza che si arresta dove non può più continuare: al «marmo inoperoso», come dice Manzoni.
Da questa soglia limite avviene la risurrezione, che non è un ritorno. Cristo non viene alla vita di prima ma passa attraverso la morte, consumandola e non semplicemente regredendo alla condizione della vita che precede la morte. «Cristo non è ritornato — osserva san Bernardo — ma è risorto; non è venuto qui nuovamente ma è passato è trasmigrato, non rientrato. E proprio perché è passato in una vita nuova ci invita al passaggio». Quella di Gesù non è come la risurrezione di Lazzaro: il Risorto scaturisce dal dissolvimento della morte. Anche il sabato santo ci offre motivi e sostanza per la meditazione e la preghiera: la preghiera specialmente perché non ci siano assenze e sepolture per le quali ci lasciamo vincere dall’oppressione, che impaurisce e ci disanima nell’incredulità.
L'Osservatore Romano
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Vegliano le donne
A te, donna, voglio scrivere in questo sabato, perché il sabato è tuo. Il sabato più importante di tutti i sabati è tuo. Dio non ne aveva bisogno, ma il settimo giorno, il primo dei sabati, si riposò a guardare quello che aveva creato. Ed era cosa bella e buona. Tutto quello che nei precedenti sei giorni aveva plasmato non era altro che lo scenario della Passione, della sua passione per l’uomo.
La galassia del nostro sistema solare serviva da sfondo. La luna sarebbe stata la luce del Getsemani. E il sole dell’ora terza quella del Golgota. La roccia sarebbe stata il sepolcro e tutte le piante avrebbero fornito il legno per la croce e i profumi per la sepoltura. Tutte le cose della prima settimana erano materiale per la settimana santa.
Ma può mai l’Amore che muove tutte le stelle e i loro derivati, tutti gli elementi della tavola periodica, riposare? Sì, in vista di quel sabato. Il primo sabato Dio riposa nella bellezza di tutte le cose. Il sabato santo Dio riposa nel sepolcro, nel silenzio attonito di tutte le cose belle. Riposa come riposa chi si trova senza più nulla da dare, perché tutto ha dato a quelle cose, allora come ora. Ma se Dio riposa, a tutto il resto chi ci pensa? Chi sosterrà il peso di questa attesa tra la paura del tutto è finito e la speranza che non sia così? C’è ancora qualcosa da aspettare o si è trattato dell’ennesima grande illusione che l’uomo secerne periodicamente nell’esilio di questo angolo della galassia, pieno sì di bellezze, ma nessuna che mai basti a soddisfare l’infinito che il suo cuore pretende?
Tocca a te, donna. Tu puoi lasciar riposare Dio. Dio per questo t’ha fatta. Ti ha dato un corpo capace di attendere nove mesi e trasformare in sorriso il dolore e il peso della tessitura della vita. Cosa è il silenzio del sabato se non la somma di tutti i silenzi d’attesa della vita?
Per questo di quel sabato l’unico accenno che si racconta è l’attesa femminile: «Le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea osservarono la tomba e come era stato deposto il corpo di Gesù, poi tornarono indietro e prepararono aromi e oli profumati. Il giorno di sabato osservarono il riposo secondo il comandamento» (Lc 23). Di maschi non c’è traccia.
Le donne hanno cura del corpo. Osservano i dettagli, perché è loro l’attenzione. Attenzione e attesa hanno la stessa radice, perché solo chi attende è attento ai segni, ai particolari, ai dettagli con cui la vita racconta e ama se stessa ("attendere a qualcosa" nella nostra lingua significa anche prendersi cura). Le donne della Galilea tornano a casa e preparano aromi e oli profumati, per la sepoltura definitiva, dal momento che quella del venerdì è stata compiuta in fretta e non è definitiva, benché consti di trenta chili di una mistura di mirra e aloè procurata da Nicodemo, una quantità degna solo di un re.
Ma le donne vogliono ungere e profumare ancora una volta il corpo di Gesù come quello di un bambino. Eppure quel corpo è già cadavere, di re, certo, ma di re morto. Perché sprecare ancora aromi e oli, per un corpo già avvolto in trenta chili di mirra e aloè? Perché continuare con questa follia di "attendere" a un cadavere come se quei profumi possano strapparlo alla decomposizione della morte? Perché questa premura che una donna dà a un bambino vivo, non certo a un morto? Perché sprecare ancora denari in profumi, come già aveva fatto sei giorni prima della Pasqua un’altra donna: «Maria allora prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo. Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che stava per tradirlo, disse: "Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?". Gesù allora disse: «Lasciala fare, perché essa lo conservi per il giorno della mia sepoltura. I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me"» (Gv 12).
Proprio Gesù indica il significato del profumo: è per la sepoltura. È per il suo riposo nel sepolcro. Vuole essere protetto nel suo riposo da mani attente. I maschi, quando ha chiesto loro cure, o si sono addormentati, o gli hanno dato baci falsi, o l’hanno abbandonato. È la premura femminile che egli vuole: difendere il corpo dalla morte. Cosa è risorgere se non proteggere qualcosa dalla morte? È il profumo che egli vuole. Il profumo è il terreno e limitato desiderio umano di far risorgere la vita, almeno esteriormente. È per noi poveri, la nostra parte di ricchezza. La morte decompone, quindi puzza. La vita invece tiene e profuma. Le donne non vogliono fare nulla di meno di quello che la loro capacità di dare vita suggerisce: proteggere il corpo dalla morte, anche se si tratta solo di "trucco". Tutti quegli aromi preparati per la domenica si riveleranno però inutili in un modo inaspettato, perché Dio si è sollevato dal suo riposo per vivere sempre, perché solo Lui ha il potere di vincere realmente la corruzione della morte. Ma il profumo preparato dalle donne è l’anticipo della resurrezione, è la preghiera che Lui vuole, la preghiera tutta umana che non crede al nulla della morte più di quanto creda al Dio della vita e alla vita in Dio. Il sabato non è un giorno vuoto, di silenzio tragico, ma il giorno di chi sa attendere, di chi sa attendere la vita nel grembo. Dio riposa il sabato, perché di sabato ci pensi tu alla vita, donna. Solo se tu proteggi la vita, Dio può riposare e le cose essere così belle da non meritare mai di morire.
Alessandro D’Avenia (Avvenire)
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