Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

martedì 13 maggio 2014

Io e il Padre siamo una cosa sola.

Martedì della IV settimana del Tempo Pasquale
L'ANNUNCIO


Ricorreva in quei giorni a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era d'inverno. Gesù passeggiava nel tempio, sotto il portico di Salomone. Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: «Fino a quando terrai l'animo nostro sospeso? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente». Gesù rispose loro: «Ve l'ho detto e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste mi danno testimonianza; ma voi non credete, perché non siete mie pecore. Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano. Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti e nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio. Io e il Padre siamo una cosa sola». 
 (Dal Vangelo secondo Giovanni 10,22-30)




"Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano"


Primo battistero conservato al mondo, in Siria a Dura-Europos,circa al 240 d.C



Al termine del commento, una galleria dei particolari dell'affresco 

E' "inverno", ed è molto più di una stagione. E' la realtà nella quale si trovavano i "capi dei giudei", molto simile alla nostra. L'inverno è freddo e piovoso, la vita sembra addormentata, fa notte presto e si ha bisogno di luce e di calore. Rieccheggia in questa notazione non a caso precisa un versetto del Cantico dei Cantici: "L'inverno è passato, la pioggia è finita e se n'è andata". I Padri hanno visto in questo inverno la situazione della sposa, immagine del Popolo di Israele, prima dell'avvento di Cristo: "fino adesso durante l'inverno delle tentazioni e le tempeste dei vizi, la sposa se n'è stata rintanata e impaurita, le bastava rinchiudersi in se stessa. Non usciva mai fuori di sé, non coglieva i fiori della Scrittura Divina, non aveva le gioie spirituali della Grazia o i frutti dello Spirito" (Guglielmo di Saint-Thierry). Ma "l'inverno per noi può significare la vita presente che, assillandoci con le continue tentazioni come fossero pioggie fastidiose, ci spinge alla sequela di Cristo" (S. Gregorio Magno). Ed era proprio così, un duro inverno per Israele, anni e anni sotto il giogo dei Romani. E' un duro inverno per noi, da quando, come predicava Gregorio di Nissa, "l'inverno della disobbedienza seccò la radice, e quindi il fiore fu scosso e si dissolse a terra, l'uomo fu spogliato della bellezza dell'immortalità, e si seccò l'erba delle virtù, e l'amore per Dio si raffreddò perché abbondò l'ingiustizia, per cui si sollevarono in noi le molteplici passioni che producono lo sciagurato naufragio dell'anima nostra". Nel mezzo di questo inverno Gesù "passeggia nel tempio, sotto il portico di Salomone". Questo era un colonnato coperto posto sul lato orientale del cortile cortile dei gentili, esterno del Tempio. Gesù passeggiava dunque su quel limite dove la santità di Dio si affacciava sulla vita dei pagani. Anche questa notazione è importante: Gesù cammina sul confine che separava Israele e il loro Dio dalle altre Nazioni e dai loro dei. E qui inizia il processo dei Giudei a Gesù, identico a quello che, ogni giorno, anche noi intentiamo contro di Lui. Qui "gli si fecero attorno" - ekyklosan auton nel greco originale - la stessa espressione minacciosa del Salmo 22, che incontriamo quando l'orante afferma di "essere circondato da un branco di cani". Non a caso si tratta del salmo recitato da Gesù durante l'agonia sulla Croce. Gesù passeggia come Dio nel Paradiso alla ricerca di Adamo. La sua sola presenza in quel luogo è per ciascuno un interrogativo: "dove sei?". La domanda dei Giudei, in fondo, è il tentativo goffo di difendersi di fronte a quella presenza così ingombrante: "Fino a quando terrai l'animo nostro sospeso? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente», che, seguendo l'originale greco, si potrebbe leggere anche: ""Fino a quando ci toglierai la vita?". Proprio come Adamo che aveva paura di Dio, ormai nudo e preda dell'"inverno". Potremmo allora chiederci chi, sotto il portico di Salomone, fosse Adamo: i giudei e i loro capi? Oppure i gentili che sin lì potevano arrivare? Adamo era dentro o fuori il "recinto" del Tempio? Non è una domanda da poco. Il dialogo tra i capi dei Giudei e Gesù avviene, infatti, mentre "ricorreva in quei giorni a Gerusalemme la festa della Dedicazione". E Hanukah, la festa della Dedicazione, aveva a che fare proprio con i pagani: ricorda, infatti, il tempo in cui "il Tempio fu pieno di dissolutezze e gozzoviglie da parte dei pagani, che gavazzavano con le prostitute ed entro i sacri portici si univano a donne e vi introducevano le cose più sconvenienti. L’altare era colmo di cose detestabili, vietate dalle leggi. Non era più possibile né osservare il sabato, né celebrare le feste tradizionali, né fare aperta professione di giudaismo" (2 Maccabei 6,4-6). Il culmine si raggiunse quando il Tempio fu profanato, spogliato dei suoi tesori e usato per il culto pagano. Il 25 kislèv 167/168 a. E. V. fu immolato un maiale, animale impuro per eccellenza, sull’altare sacro; con una parte della carne prepararono un brodo che fu spruzzato per tutto il Tempio, che fu poi dedicato a Zeus Olimpio. Nel 165/166 a. E. V. Giuda Maccabeo e i suoi fratelli ebbero finalmente la meglio, riconquistarono il Tempio e lo dedicarono di nuovo. Istituirono allora la festa di Khanukàh per celebrare la vittoria: "Vi fu gioia molto grande in mezzo al popolo, perché era stata cancellata la vergogna dei pagani. Poi Giuda e i suoi fratelli e tutta l’assemblea d’Israele stabilirono che si celebrassero i giorni della dedicazione dell’altare nella loro ricorrenza, ogni anno, per otto giorni, cominciando dal venticinque del mese di Casleu, con gioia e letizia" (1Maccabei 4, 58-59). Ma non fu solo una guerra contro i greci di Antioco Epifane. Nelle loro file militavano, infatti, anche israeliti apostati. Fu, dunque, una guerra civile, ebreo contro ebreo. Ma, accanto all'evento della riconquista, c'è un altro aspetto importante di questa festa; ce lo racconta il Talmud: "Cosa è Hanukhah? Hanno insegnato i Maestri: il 25 del mese di Kislev iniziano gli otto giorni di Hanukhah, giorni in cui non si possono fare manifestazioni di lutto e non si può digiunare. Quando i greci entrarono nel Tempio, resero impuro tutto l'olio, e gli Asmonei, dopo aver sconfitto il nemico greco, cercarono e non trovarono che una sola ampolla d'olio, che era rimasta pura, perché ancora chiusa con il sigillo del Sommo sacerdote. Questa ampolla sarebbe bastata per illuminare il Tempio un solo giorno. Accadde un miracolo con quella ampolla, e così essi poterono accendere il lume per otto giorni. L'anno seguente stabilirono di rendere quei giorni, giorni di festa e di lode" (Talmud Shabbath 21b). Per la festa si usava un candelabro particolare a otto bracci, chiamato khanukiyàh. Durante la festa i cortili del Tempio risplendevano di luce. Ogni casa era illuminata dal candelabro poste ben in vista vicino alle porte che davano sulla strada, affinchè si potesse vedere la luce dall'esterno. Al tramonto della prima sera si accendeva una candela, la seconda sera due, e così sino all’ottavo giorno. La prima candela si accendeva sul lato destro del candelabro, e poi via via le altre da destra a sinistra; tutte però si accendevano servendosi dello "Shamash" – la cosiddetta candela servitore – che si poneva sul candelabro in luogo diverso e lontano dalle altre otto candele. Tutto questo per ricordare il "miracolo" che Dio aveva compiuto, segno e sigillo della liberazione di Israele dal giogo di Antioco Epifane, e il ritorno alla purezza del culto. Ad Hanukhah, dunque, era forte l'attesa messianica, ed era tutta orientata verso il ristabilimento della libertà per il popolo di Israele. E' in questo contesto che dobbiamo comprendere la domanda dei capi dei Giudei. Volevano spingere Gesù a rivelarsi, lo affrontano con malizia e violenza perché svelasse finalmente se era Lui il liberatore atteso. Ma, in fondo, avevano già stabilito che non lo era, aveva violato il "sabato", chiamava Dio suo Padre, c'era in Lui qualcosa di pericoloso, di eretico. I Giudei non volevano "conoscerlo", ma solo smascherarlo per avere un capo d'accusa con cui poterlo fare fuori. Li aveva chiamati figli del demonio, come poteva essere accolto da chi era tanto cieco da non rendersi conto che, pur essendo discendenza di Abramo, pur stando al di qua del "recinto", nel cuore del Tempio, erano pagani esattamente come quelli che dovevano restarne al di là. Anzi, avevano un peccato più grande, perché, pur avendo a disposizione la Legge e le Profezie, non erano capaci di riconoscerlo, erano ciechi che non accettavano di esserlo. Aspettavano un nuovo Giuda Maccabeo, e avevano di fronte il figlio di Giuseppe il falegname, uno che veniva da Nazaret... Gesù lo sapeva, e per questo risponde sibillino: "Ve l'ho detto e non credete"; non potete credere perché ascoltate la voce del Padre vostro; "voi non credete perché non siete mie pecore", ascoltate, infatti, la voce di un altro pastore, uno come Giuda Maccabeo; c'erano, infatti, gli zeloti, e Giuda, un "ladro" era zelota, come Barabba, un "brigante". Anche noi aspettiamo un tipo ben preciso di Messia, il Cristo che ci siamo fabbricati; quello che, purtroppo, anche nella Chiesa, alcuni ci hanno predicato; il Cristo che l'educazione, ricevuta in famiglia e a scuola, o la mentalità mondana, in televisione, su internet, tra gli amici, hanno modellato in noi. Anche noi aspettiamo un messia come Giuda Maccabeo, cioè uno che lotti contro l'ingiustizia; e, come Giuda vendiamo Gesù, cioè lo obblighiamo a manifestarsi come uno che ristabilisca ordine, l'ordine mondano, nella nostra vita. E, come Barabba, ci ribelliamo all'ingiustizia, manifestiamo, in piazza come a casa e in ufficio. Altro che "pecore" del "recinto" di Gesù, preparate per il sacrificio! Ma attenzione, non aspettiamo solo un Cristo che ci risolva i problemi, che ci dia un lavoro, che cambi il cuore di chi ci è accanto, che trasformi i figli in brave persone con una buona famiglia e un lavoro dignitoso, che guarisca le malattie etc. No, qui, nel contesto di questa festa, il discorso si fa più sottile. "Fino a quando ci toglierai la vita?", cioè fino a quando non ci risponderai su quanto più ci angoscia, ovvero la nostra felicità? Sappiamo che essere felici è amare, donarsi, perdere la vita. A volte cadiamo nella trappola e chiediamo la felicità agli idoli. Ma c'è un'idolatria più grande, la più grande, ma è subdola, sa nascondersi e camuffarsi bene. E' quella originale: la superbia di diventare come Dio. Non solo per quello che riguarda le relazioni e la storia, di diventare dio di tutto, di dirigere, di saziarsi, di avere potere e prestigio. Qui si tratta della superbia che ci vorrebbe come Dio in quanto a santità morale, a non dover più sottostare alle tentazioni, ad essere perfetti in senso legalistico. La superbia che non ci fa riconoscere pecore, che ci vorrebbe pastori capaci di giudare nel bene la propria vita. Aspettiamo cioè ogni giorno un Cristo che ci faccia puri, che ci liberi dal giogo esterno a noi, quello di Antioco Epifane, che, secondo noi, ci impedisce la fedeltà e la felicità. E invece Gesù dice qualcosa di completamente diverso: Io sono molto di più del Messia, del pastore che aspettate. "Io e il Padre siamo una cosa sola", cioè, "Io sono Dio". Questo significa che la felicità, ovvero la vita eterna, piena, realizzata ci viene data da Lui in mezzo alle tentazioni. Che è ammalato il nostro cuore, e non basta rimuovere i dittatori del pensiero mondano, le leggi pagane e i professori atei; non ci salverebbe una vita senza tentazioni, anzi, perché non saremmo liberi, e quindi non potremmo amare davvero. E perché il marcio è nel nostro cuore, ed è lì che il Messia autentico deve arrivare. E' lì che il "Pastore vero e bello" depone se stesso e la sua vita che non ha limiti. E' lì che possiamo essere riconsegnati a una vita da figli di Dio, capace di celebrare nella storia la liturgia che renda onore e gloria al Padre, quella dell'Agnello immolato. E il Pastore può giungere al cuore solo attraverso l'"ascolto". "Ascoltare" è il verbo della fede, è l'antidoto all'idolatria. "Idolo" in greco deriva da "vedere". Noi crediamo che l'intimità e la conoscenza si diano attraverso gli occhi; per questo la nostra società è fondata sul vedere. Ma la visione resta esterna, mentre le parole arrivano al cuore. Come è accaduto alla Vergine Maria. L'ascolto è l'apertura umile di una pecora che si affida al suo pastore, perché la conoscenza sorge e si compie ascoltando, che in ebraico è sinonimo di obbedire. Essere una cosa sola è ascoltare e quindi "seguire", come il Figlio ha fatto con il Padre: "Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono". Gesù rivela se stesso rivelando la nostra identità! Non importa se dentro o fuori dal "recinto", ogni uomo è immagine di Dio creati da Lui attraverso la sua Parola. Ascoltando possiamo essere ricreati ogni istante dalle mani di Gesù che plasmano in noi l'agnello, mani che parlano potremmo dire; e, con la sua Parola, ci difendono dagli idoli. Nessun idolo "può strapparci dalla sua mano". Ciò significa che "Il Padre di Gesùriguardo a ciò che mi ha dato, è più grande di tutti" gli idoli di questo mondo. Il Padre ha dato a Gesù ciascuno di noi come fratelli, creati in Lui a immagine e somiglianza di Dio: per questo "nessuno può strappare" la nostra identità "dalla sua mano" crocifissa, che è la stessa mano creatrice del Padre. Basta ascoltare per rinascere! Basta ascoltare davvero la sua Parola, come già la festa di Hanukhah annunciava: alcuni rabbini, infatti, vedevano la forza della sapienza della Torah nel miracolo dell'ampolla che non si è consumata. Per Beit Hillel la lotta vera con la miracolosa vittoria, fu contro la falsa ideologia dell'ellenismo e le idee pagane, che possono essere combattute solo attraverso  la luce della conoscenza della Torah. Ascoltare dunque, ossia aprirci alla sapienza della Croce per sperimentare la sua vittoria "eterna" contro la menzogna, la primavera che nasce dall'"inverno", la vita piena che vince la morte. Che bello, che consolazione! Siamo poveri e incoerenti, deboli e peccatori, eppure "Tu, nella Tua tanta misericordia, ti sei alzato in piedi per loro nel momento del loro dolore; Tu hai combattuto la loro battaglia... Hai dato i forti nelle mani dei deboli, i tanti nelle mani dei pochi" (Preghiera Al haNissim - letteralmente "per i miracoli"- che si recita durante la festa di Hanukkah). Gesù "conosce" la sua immagine in te e in me, in tuo figlio e in tua moglie o tuo marito, nella persona più difficile, che non ti capisce e si mette contro di te; conosce se stesso, il frutto della sua Parola nell'intimo di ciascuno, l'immagine divina incancellabile, nonostante i peccati. Il "Pastore vero e bello", il Messia autentico, viene e ci "chiama per portarci fuori": tira fuori da noi questa immagine di pecora che si offre sepolta dall'idolatria. Con le sue mani crocifisse, Gesù, il Servo sofferente, si consuma come "Shamash", per dare la luce della verità alle altre candele che siamo ciascuno di noi, affinché possiamo risplendere sul candelabro. Gesù è il Pastore che fa giustizia degli idoli per mezzo della sua Croce, perché "La croce è la distanza infinita che Dio ha posto tra se stesso e l’idolo” (D. Bonhoeffer). Sulla Croce è stato assalito da un "branco di cani": erano uniti, capi dei Giudei e Romani, in un solo "branco di pagani", perché in Israele questi erano chiamati dispregiativamente cani. Sulla Croce si era rotto il "muro di separazione", aperto il "recinto" laddove Gesù stava passeggiando, il suo sangue era offerto per Giudei e pagani, anche per ogni Antioco Epifane della storia, anche per chi ti insulta, per quelli che incarnano il demonio che ti tenta a ribellarti e a chiudere fuori dalla tua vita, tutti rinchiusi sotto il peccato, tutti, tu, io e ogni "altro, perché fosse fatta misericordia a ogni uomo. "Le opere che Gesù ha compiuto nel nome del Padre suo, queste gli hanno dato testimonianza", perché erano profezia di quella decisiva compiuta sul Golgota. Sulla Croce Gesù era la "sola ampolla d'olio che era rimasta pura, perché ancora chiusa con il sigillo del Sommo sacerdote", del Padre. E "accadde un miracolo con quella ampolla, e così essi poterono accendere il lume per otto giorni": Gesù è risuscitato e ha "dato" alle "sue pecore", a ogni uomo che "ascolta la sua voce" la "vita eterna", della quale è simbolo proprio l'"ottavo giorno".Nessuno ha potuto strapparle dalla sua mano, stretta a quella del Padre, Giudei o pagani che fossero. Per questo "miracolo" che si dà nella nostra vita, possiamo credere che "Io e il Padre siamo una cosa sola". Ci aiuta, al proposito, la tradizione ebraica. Il Tempio sorgeva sul luogo del sacrificio di Isacco, immagine di quello di Gesù. Secondo il targum Neofiti, Isacco dice a suo padre Abramo "legami, legami forte, che io non resistae il sacrificio sia così invalido"; ed è quello che ha detto Gesù nel Getsemani: "sia fatta la tua e non la mia volontà", ovvero "legami" perché che io sia il tuo agnello che non resiste al male. Ed è quello che siamo chiamati a ripetere anche noi: "legami" Signore alla Croce, alle tue mani crocifisse, oggi, mentre il demonio mi tenta a prostrami agli idoli, a casa, a scuola, al lavoro. Siamo, infatti, pecore scelte per vivere in mezzo al potere e alle leggi di Antioco Epifane, nella fornace ardente del mondo, e vincere il male offrendo la propria vita. Per questo siamo pecore scelte per "conoscere" il Pastore, cioè per avere con Lui una intimità tale da che in noi sia vivo Lui: "sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo è vivo in me". Il Messia non è dunque Barabba, non è uno che rinnova le gesta di Giuda Maccabeo, ma è il Pastore che offre la vita per le pecore e le conduce fuori ad immolarsi proprio per vincere la menzogna dei "lupi" con la forza dell'amore e del martirio: "il Buon Pastore che combatte contro le potenze del male, trionfa su di esse ed introduce le pecore nei pascoli paradisiaci, appare nel quadro della teologia della morte e del martirio. M. Quasten ha notato, infatti, che il Buon Pastore, al di fuori dei battisteri, appariva soprattutto sui sarcofagi. Questa duplicità di raffigurazione appariva anche nelle preghiere della liturgia dei morti. Cristo è il Pastore che strappa la pecora ai lupi che cercano di divorarla, lupi che sono i demoni che tentano di impedirne l'ingresso al cielo" (J. Danielou). Ripetiamo allora ogni giorno "Legami" Gesù alla volontà del Padre, stringimi nel tuo amore, perché nessuno mi strappi da Te, e così possa essere luce posta sul candelabro per chi mi è accanto, le "pecore che ancora non sono nell'unico recinto". E con loro possa incamminarmi dietro a Te nostro Pastore, uscire dall'inverno per entrare nella Pasqua, verso i prati d'erba fresca in cui riposare per l'eternità. 





Il Buon Pastore












Adamo ed Eva








La guarigione del paralitico













 Le mirofore alla tomba






Pietro salvato da Gesù













APPROFONDIMENTI

Benedetto XVI. Io sono il Buon Pastore

Ratzinger - Benedetto XVI. Il Pastore (da Gesù di Nazaret)
RATZINGER - Benedetto XVI: Omelie sul Buon Pastore 
Giovanni Paolo II. Omelie sul Buon Pastore
P. R. Cantalamessa: IL BUON PASTORE
Josemaria Escrivà. IL BUON PASTORE
Pastore nel Dizionario dei concetti biblici del Nuovo Testamento
Daniel-Rops. La vita del buon pastore in Palestina ai tempi di Gesù



L'INIZIAZIONE CRISTIANA, IL BATTESIMO E IL BUON PASTORE


J Danielou. Il Sal. 23 e il Buon Pastore figure dell'iniziazione cristiana


ESEGESI


Pastore nel Dizionario dei concetti biblici del Nuovo Testamento
Schnackemburg. Gesù Buon Pastore
S. A. Panimolle. La porta delle pecore e il Buon Pastore
R. Fabris. Il pastore e le pecore
IL buon pastore... la porta... entrare.. uscire...
L'annuncio del buon pastore




COMMENTI PATRISTICI

Sant'Agostino. Il buon Pastore e i mercenari. (Giov. 10, 11-13)
Sant'Agostino. Omelia sul Buon Pastore
Sant'Agostino. Il buon Pastore dà la vita.
San Gregorio Magno. Cristo, il buon pastore
San Beda il Venerabile. Dall’Omelia II sul Buon Pastore
S. Cirillo di Gerusalemme. Dal Commento al Vangelo di Giovanni sul Buon Pastore


αποφθεγμα Apoftegma


Nei giorni di Mattatià, 
figlio dell'alto sacerdote Yohanan l'Asmoneo, e dei suoi figli, 
quando il cattivo re dei greco-siriani si è scagliato 
contro la Tua nazione Israele per indurla a dimenticare la Tua Torah 
ed abrogare le leggi della Tua volontà, 
Tu, nella Tua tanta misericordia, 
ti sei alzato in piedi per loro nel momento del loro dolore; 
Tu hai combattuto la loro battaglia... 
Hai dato i forti nelle mani dei deboli, i tanti nelle mani dei pochi... 
A quel tempo per la Tua nazione Israele 
hai realizzato una grande salvezza e una grande redenzione.


Preghiera Al haNissim" (letteralmente "per i miracoli") 
che si recita durante la festa di Hanukkah

Martedì della IV settimana del Tempo di Pasqua  2013



Alla vittima pasquale, si innalzi il sacrificio di lode,
l'Agnello ha redento il gregge,
Cristo l'innocente ha riconciliato i peccatori col Padre.

Victimae Paschali




Dal Vangelo secondo Giovanni 10,22-30. 

Ricorreva in quei giorni a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era d'inverno. Gesù passeggiava nel tempio, sotto il portico di Salomone. Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: «Fino a quando terrai l'animo nostro sospeso? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente». Gesù rispose loro: «Ve l'ho detto e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste mi danno testimonianza; ma voi non credete, perché non siete mie pecore. Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano. Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti e nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio. Io e il Padre siamo una cosa sola». 


IL COMMENTO


Creati ad immagine e somiglianza di Dio conosciamo solo la voce dell'unico nostro Pastore. Il Pastore che si è fatto agnello, il più piccolo, muto e umile di fronte ai suoi tosatori. L'Agnello condotto al macello, immolato perchè la nostra Pasqua sia autentica, e definitiva. E' Lui il vero Agnello che ha tolto il peccato del mondo, l'Agnello che ha redento il suo gregge. Per questo i discepoli di Giovanni non possono resistere al suo fascino e lo seguono, e desiderano vedere dove abiti questo amore capace di perdonare e ridonare la vita. Sono sue pecore da sempre, come ciascuno di noi, conoscono la sua voce, aspettavano quell'incontro.
Il perdono dei peccati, è questa l'opera di Gesù che lo costituisce unico Pastore, l'unico a cui possiamo consegnare la nostra vita, perchè è l'unico che capace di riconsegnarcela redenta.
Il contesto nel quale Gesù oggi ci parla è quello della festa di Hanukkàh, della Dedicazione, che celebrava la riconsacrazione del nuovo tempio ad opera di Giuda Maccabeo, dopo la profanazione di Antioco Epifane. È la hanukkàh (consacrazione), detta in greco enkainía (rinnovazione) (cfr 1 Macc 4, 54-59; 2 Macc 1,8; 2,16; 10,5). In questa festa, secondo i rabbini e la tradizione ebraica, tra i tanti, vi sono due elementi che crediamo essere fondamentali per l'intelligenza delle parole di Gesù:
"Il decreto promulgato dai Greci Siriani, era di far "dimenticare la Tua Torà e violare i decreti della Tua volontà" agli Ebrei. I Greci adoravano la conoscenza. A loro non importava se gli Ebrei apprendevano lasaggezza della Torà. Ciò che obiettavano violentemente era l'idea che la Torà provenisse da Dio - "la Tua Torà"... Per questa ragione i Greci contaminarono l'olio nel Beit Hamikdash". "La radice Hanukkah, da cui derivano Hanukkah e hinnukh (educazione), significa anche "educare".
Gesù, nel mezzo di questa festa, passeggia nel tempio, sotto il portico di Salomone. Passeggia come Dio nel paradiso, alla ricerca di Adamo. La sua presenza e le sue parole sono per ciascuno un interrogativo: "dove sei?". E' lui che interroga, e denuda, per questo la reazione è scomposta, e sembra che le domande del Signore ci tolgano la vita. In greco infatti invece di "fino a quando ci terrai con l'animo in sospeso" si può leggere anche "fino a quando ci toglierai la vita?". Confessiamo che è proprio quello che tante volte ci ritroviamo a pensare, quando ci sembra che il Signore resti muto di fronte alle nostre angosce. In fondo non è vero, come non era vero per i giudei, che siamo con l'animo in sospeso. La verità è che nel cuore abbiamo deciso ed è chiara ai nostri occhi l'immagine del salvatore di cui abbiamo bisogno. E non ci rendiamo conto che stiamo aspettando e desiderando un mercenario, un estraneo, uno cui di noi non importa nulla.
Ma appare oggi l'Agnello di Dio, e la sua voce ci trafigge il cuore. Siamo suoi fratelli, creati in Lui, la nostra identità autentica è quella di un agnello preparato per il sacrificio. Siamo nati per perdere la vita, per amare, come Lui, in Lui, per Lui. Abbiamo sofferto tanto vivendo schiavi di mercenari che ci hanno rubato l'anima e la gioia. Abbiamo buttato la vita cercando inutilmente di difenderla. Oggi appare Cristo dinanzi a noi, e possiamo riconoscere in Lui la nostra immagine perduta. Lo guardiamo e scopriamo che Lui, e solo Lui, è carne della nostra carne, ossa delle nostra ossa. E' Lui che il nostro intimo conosce, è Lui che, Pastore perchè agnello, ci può educare, riconciliare, ricondurre alla Verità, ad una vita spesa per amore.
Forse l'olio dello Spirito Santo, quello della sapienza della Croce, è stato profanato, e oggi giace inutilizzabile e ci troviamo come le vergini stolte, impossibilitate ad entrare al banchetto. Abbiamo forse dimenticato la Parola che abbiamo ricevuto, consegnando il tempio della nostra vita agli idoli e al principe di questo mondo.
Per questo la parola del Vangelo di oggi è proprio per noi, ed è una buona notizia. E' la sua voce, quella per la quale siamo nati, per la quale siamo stati creati. E' il Pastore vero, bello, buono, che ci strappa dall'inganno, che distrugge nella sua morte, la menzogna e l'inganno. E' Lui che riconsacra il suo tempio, la nostra vita. E' Lui che ci attira nella stessa intimità divina, nel Santo dei Santi, il cuore di Dio. E' Lui che si fa nostro condottiero, che torna a guidare le nostre menti e i nostri cuori per i cammini della giustizia, della sapienza crocifissa. E' la sua voce che schiude i nostri occhi sulle sue opere, i segni dell'amore di Dio nella nostra vita. E' la sua voce colma delle sue parole che che ci dona la fede per credere ed ottenere la vita che non muore. E' la sua mano trapassata dai chiodi che ci tiene stretti per l'eternità. Sono stati i nostri peccati a scrivere, a tatuare con il sangue i nostri nomi nelle mani del Signore. E Lui, con il suo sangue, li ha scritti in Cielo, per l'eternità, ed è questa la verità che si fa unica fonte di vera gioia, il pascolo che ci sazia perchè ci dona il perdono eterno.
E' la conoscenza di Dio in questo amore sperimentato mille volte, la conoscenza della misericordia, che scende sino al fondo più fondo delle nostre esistenze, è questa intimità che ci fa sue pecore, gregge del suo pascolo. La conoscenza crocifissa, che è la stessa sapienza con la quale guardare ogni istante della storia come una nota sullo spartito della sinfonia d'amore che Dio sta eseguendo per tutto il creato. E la nostra vita, il nostro corpo, il nostro cuore, la nostra mente, costituiscono così il nuovo tempio riconsacrato per il culto nuovo, quello della Chiesa, quello del Figlio: la lode di una vita perduta per amore. Seguendo il Pastore, insieme al Pastore. Perchè nessuno, nel mondo vada perduto.






Beata Teresa di Calcutta (1910-1997),
 fondatrice delle Suore Missionarie della Carità 
No Greater Love 


« Le mie pecore ascoltano la mia voce »



Riterrai difficile pregare, se non sai come fare. Ognuno di noi deve aiutare se stesso a pregare: in primo luogo, ricorrendo al silenzio; non possiamo infatti metterci in presenza di Dio se non pratichiamo il silenzio, sia interiore che esteriore. Fare silenzio dentro di sè non è facile, eppure è uno sforzo indispensabile; solo nel silenzio troveremo una nuova potenza e una vera unità. La potenza di Dio diverrà nostra per compiere ogni cosa come conviene; lo stesso sarà riguardo all'unità dei nostri pensieri con i suoi pensieri, all'unità delle nostre preghiere con le sue preghiere, all'unità delle nostre azioni con le sue azioni, della nostra vita con la sua vita. L'unità è il frutto della preghiera, dell'umiltà, dell'amore.
Nel silenzio del cuore, Dio parla; se starai davanti a Dio nel silenzio e nella preghiera, Dio ti parlerà. E saprai allora che non sei nulla. Soltanto quando riconoscerai il tuo non essere, la tua vacuità, Dio potrà riempirti con se stesso. Le anime dei grandi oranti sono delle anime di grande silenzio.

Il silenzio ci fa vedere ogni cosa diversamente. Abbiamo bisogno del silenzio per toccare le anime degli altri. L'essenziale non è quello che diciamo, bensì quello che Dio dice – quello che dice a noi, quello che dice attraverso di noi. In un tale silenzio, egli ci ascolterà; in un tale silenzio, parlerà alla nostra anima, e udremo la sua voce.

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