Lunedì della V settimana del Tempo di Pasqua
L'ANNUNCIO |
Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui». Gli disse Giuda, non l'Iscariota: «Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?». Gli rispose Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama non osserva le mie parole; la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Queste cose vi ho detto quando ero ancora tra voi. Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v'insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. (Dal Vangelo secondo Giovanni 14, 21-26)
Abbiamo bisogno di un Consolatore. Qualcuno che, dinanzi alle difficoltà, ai dubbi, alle angosce, ci sussurri che Dio ci ama, che non si e' dimenticato di noi. Non possiamo fare a meno di Qualcuno che ci ricordi le parole del Signore, che le sigilli e le custodisca in noi. Qualcuno che ci dia forza e audacia, per osservare, custodire, compiere. Il compimento del Mistero Pasquale del Signore, infatti, è l'effusione dello Spirito Santo, il dono che, colmando il nostro cuore, non delude la speranza e ci fa partecipi della natura divina, ci fa familiari di Dio. Queste non sono solo affermazioni di un libro di teologia, sono la nostra vita. Il dimorare in Dio, il rimanere nell'amore di Gesù non sono esperienze relegate a momenti particolari, a certi stati d'animo; non sono solo prerogative della preghiera o dei ritiri spirituali. E' osservare la Sua Parola, un modo per dire che l'intimità che ci fa uno con Gesù nel Padre, si realizza concretamente nell'osservare e suoi comandamenti. "Osservare", secondo l'originale greco, è un custodire dinamico, lo stesso di Maria che custodisce e mette insieme tutti gli eventi della sua storia straordinaria, meditandoli nel suo cuore. E' un custodire per far crescere, nella fecondità che suppone un processo di maturazione. E' la custodia del catecumeno, di chi ascolta i comandamenti e li riceve come i talenti della parabola, e li traffica, perché fruttifichino. Ogni comandamento illumina e dà pienezza a ciascun aspetto della vita; osservandoli, possiamo rimanere in Cristo in ogni momento, custodendo la sua opera in noi. Come fu in quel pomeriggio per Giovanni e Andrea che andarono e videro dove Gesù abitava rimanendo presso di Lui, è possibile anche per noi andare da Lui negli eventi concreti, alle quattro del pomeriggio, come alle sette della mattina o alle nove della sera, per vedere la sua dimora nella nostra storia e rimanere presso di Lui. Uscendo con la fidanzata, con il testo di algebra o di anatomia dinanzi agli occhi, cambiando pannolini o passando l'aspirapolvere, al mercato o sulla metropolitana, in una riunione di marketing o imbottigliati nel traffico dell'ora di punta, ogni luogo è quello giusto per dimorare in Cristo. E' pur vero che noi sperimentiamo giorno per giorno l'impossibilita' di compiere la Parola, di permanere nella volontà di Dio. Conosciamo i nostri limiti. Per questo ci è necessario un Consolatore, uno che che ci ripeta "Coraggio, non temere, tu sei Figlio, Dio ti ama e compirà in te la sua opera". Abbiamo bisogno della vita di Dio, del suo respiro di vita in noi, del soffio che ci ricrei istante per istante, che compia in noi la Parola che ci fa veri, autentici, vivi. Abbiamo bisogno dello Spirito Santo, più dell'aria che respiriamo. E' Lui l'amore di Dio che plana nei nostri cuori, ed è lo stesso amore con il quale possiamo amare Dio e il suo Figlio e così dimorare in Loro ed Essi in noi. Nell'Antico Testamento “Dimora” (in ebraico “mishkan”) e' il termine con cui è indicato il “santuario”. Il nome sottolinea la decisione di Dio di “abitare” in mezzo al suo popolo. Dimora e' stato tradotto nella versione latina della “Vulgata” di S. Girolamo con il termine “tabernaculum” (= “tenda”), da cui deriva il termine italiano più corrente di “tabernacolo”. Esso si presenta come una struttura mobile in legno, tutta rivestita d'oro, ricoperta di teli di lino pregiato: il bisso o “lino fine” che nell’Apocalisse e' il tessuto con cui e' rivestita la Chiesa, sposa dell’Agnello, mentre la “porpora”, che nell’antichità era il colore dei vestiti indossati dai principi e dagli alti personaggi, è la stessa che ha rivestito Cristo durante il processo che lo ha condannato alla Croce. Si tratta della tenda che ha ospitato l’Arca nel deserto, abbozzo al Tempio che Salomone avrebbe eretto a Gerusalemme: l'origine dell'architettura come quella del culto risale all'incontro decisivo del Sinai, laddove il Popolo ha visto Dio e non e' morto, e ha ricevuto come un dono, il più grande, l'Alleanza eterna con Lui. Dopo un lungo cammino iniziato con Abramo, Dio scende sul Sinai a consegnare le Tavole dell'Alleanza, la Berit, che diviene come il sigillo nuziale di un'appartenenza e un'intimità esclusive. E' l'iniziativa di Dio a far sorgere nel Popolo il desiderio e la volontà di osservare ciascuna delle Dieci Parole che costituiscono il cuore dell'Alleanza; all'origine dell'ascolto obbediente vi e' l'amore gratuito di Dio. L'agire morale dell'uomo scaturisce dall'Alleanza come da una sorgente inesauribile di libertà: “Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto dalla condizione di schiavitù” (Es. 20,2; Deut. 5,6). Per questo nel cuore della Dimora vi era l'Arca dell'Alleanza nella quale erano collocate le due tavole dove vi erano incisi comandamenti; esse erano chiamate “la Testimonianza” (‘edut), che indicava, secondo la cultura orientale, le clausole di un trattato imposto da un sovrano al suo vassallo. L’arca era separata dal resto della Dimora da un “velo”, “paroket”, di porpora e di bisso. Il luogo dove si trovava l'Arca col suo “propiziatorio” (kapporet), la lastra d’oro sulla quale incombevano i cherubini, era chiamato il Santo dei Santi e vi poteva accedere soltanto il Sommo Sacerdote una volta all’anno, in occasione della festa dell’Espiazione di Yom Kippur. Al di qua del velo erano posti la “tavola della presentazione” coi pani e il candelabro. Questi elementi ci aiutano a comprendere le parole di Gesù. E' Lui il nuovo Mosè che ci trasmette con autorità le Parole del Padre. E' Lui che ha inaugurato per noi una nuova via all'intimità con Dio; è Lui che ha posto la Dimora di Dio tra gli uomini, annunciando e compiendo le Parole dell'Alleanza sino all'ultimo yota. Con la sua morte ha squarciato il velo che impediva l'accesso alla santità di Dio, e il suo sangue asperso una volta per tutte sul propiziatorio della Croce ci ha ottenuto il perdono, la riconciliazione e la libertà di dimorare in Dio. E' il suo sangue che ha sancito la nuova ed eterna Alleanza, nella quale possiamo attingere forza e vigore per ogni alleanza della nostra vita: tra gli sposi, con i colleghi e gli amici, con i fidanzati e i parenti, sino ai nemici. La sua carne offerta in riscatto per ciascuno di noi e' la chiave che apre le porte della Dimora, uniti a Lui possiamo vivere ogni istante nell'intimità divina. "Poi Mose' prese l’olio dell’unzione, unse la Dimora e tutte le cose che vi si trovavano e così le consacro'" (Lv. 8,10). L'olio dello Spirito Santo che un tempo ha consacrato la Dimora e l'Arca dell'Alleanza ha poi unto Gesù per accompagnarlo nel compimento della sua missione. Lo stesso Spirito Santo unge oggi ciascuno di noi, pervade come un profumo soave ogni aspetto della nostra vita come lo fu per ogni angolo della Dimora, consacrandoci a Dio, nell'appartenenza incorruttibile sigillata nella sua Alleanza. L'agape è dono che viene dal Cielo. Amare Gesù è soprattutto quella rettitudine di intenzione che si coniuga nel desiderio di Lui, nel custodire trepidanti le sue Parole di vita, come si custodisce gelosamente la cosa più cara. Amarlo perché prenda dimora insieme con il Padre è gemere attraverso lo Spirito Santo implorando di compiere in noi quanto non siamo capaci, perché senza di Lui non possiamo fare nulla, non siamo casti, sinceri, generosi, pazienti, mansueti, rispettosi. Senza di Lui non sappiamo amare, e così amarlo è soprattutto un desiderio ardente di poter finalmente amare. Questo dono oggi è pronto per noi, come ogni giorno. In esso è custodita la memoria della vita di Cristo e delle sue Parole, come nell'Arca era custodita l'Alleanza che faceva dimorare Dio in mezzo al Popolo; per lo Spirito Santo che ha unto la Dimora e il Signore Gesù, i cristiani, unti (cristi) dello stesso Spirito, possiamo ricordare, credere, sperare, amare. Nulla ci può più turbare, perché, come fu per Israele, ovunque e in ogni circostanza, l'Arca dell'Alleanza ci farà più che vincitori nelle tentazioni e nei combattimenti di ogni giorno. Portiamo infatti ovunque in noi il morire di Cristo, perché in tutto appaia in noi anche lo splendore della sua Resurrezione, la bellezza del Santo dei Santi. Per questo il Signore "si manifesta ai discepoli e non al mondo", come già fu con Israele, eletto per testimoniare a ogni generazione l'esistenza e la presenza di Dio con gli uomini. Mentre sulla nostra vita vigilano i cherubini, come dinanzi alla tomba vuota del Signore, a segnare il cammino di ritorno al Paradiso un tempo da loro sbarrato, la dimora eterna preparata da Dio in Cristo suo Figlio.
Decorazione dell'abside dell'oratorio
di Germigny-des-Prés,
Arca della Alleanza
protetta dai due cherubini
αποφθεγμα Apoftegma
l’unità del Padre con il Figlio, l’Unità in persona.
Il Padre e il Figlio sono una cosa sola nella misura in cui vanno oltre se stessi;
sono una cosa sola in quella terza persona, nella fecondità del dono.
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