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"Allora Samuele disse a Saul: "Perché mi hai disturbato e costretto a salire?>. Saul rispose: <Sono in grande difficoltà … Dio si è allontano da me; non mi ha più risposto né per mezzo dei profeti, né per mezzo dei sogni".
Primo libro di Samuele, 28,15
Il libro della Genesi non è un trattato di morale, né un manuale di etica famigliare. È molto di più. Il ciclo di Giacobbe (capitoli 27-37) è un bellissimo affresco della grandezza e delle contraddizioni dell’umano, dove sono usati tutti i colori della vita e tutti i toni dei rapporti sociali e famigliari: da quelli splendenti e aurorali delle teofanie e delle benedizioni a quelli cupi e notturni delle bugie e degli inganni.
Una volta che Esaù, ingannato e rimasto lungo gli argini del fiume dell’Alleanza in compagnia degli altri "vinti", scopre il secondo inganno del fratello (il furto della benedizione patriarcale) “nutrì astio contro Giacobbe. … e disse in cuor suo: ‘I giorni del lutto di mio padre si avvicinano: allora ucciderò Giacobbe, mio fratello!’” (27,41). La madre Rebecca, che aveva orchestrato l’inganno,venuta a sapere delle intenzioni di Esaù, dice a Giacobbe: “Esaù, tuo fratello, vuole vendicarsi di te, uccidendoti … obbedisci alla mia voce: alzati, fuggitene da Laban, mio fratello” (27,42-45). Ogni fraternità negata è apertura alla possibilità del fratricidio. Giacobbe obbedisce ancora una volta alla madre; per non morire parte, evitando così che la sua fraternità conosca lo stesso epilogo di Caino - la fraternità nella Bibbia non è mai faccenda romantica né sentimentale. Un’altra salvezza che arriva "per dispersione" (come a Babele, come quella tra Abramo e Lot). E nel deserto lo attende l’incontro decisivo, in un sogno. Lì Giacobbe incontra per la prima voltaJHWH, che gli rivolge una chiamata personale. Da quel momento JHWH non sarà più soltanto il Dio dei padri (“JHWH, il tuo Dio”, aveva detto Giacobbe a Isacco durante il dialogo dell’inganno: 27,20),diventerà anche il suo Dio, la Voce che lo chiama per nome. Giunto nel deserto, cala la notte e Giacobbe si addormenta. Fa un sogno: “Una scala poggiava sulla terra mentre la sua cima raggiungeva il cielo; ed ecco: gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa” (28,12). E sempre in sogno JHWH gli parla: “Io sono JHWH, il Dio di Abramo, tuo padre, il Dio di Isacco. … La tua discendenza sarà come la polvere della terra … tutte le famiglie della terra si diranno benedette in te” (28,13-14). Giacobbe, il terzo dei patriarchi, il soppiantatore ingannatore, ha un incontro personale con il Dio dell’Alleanza e dei padri, e la promessa diventa anche la sua. Al risveglio esclama: “Davvero JHWH è in questo luogo, e non lo sapevo”. “Questa è la porta del cielo” (28,16-17).
Nell’antichità i sogni erano sempre rivestiti dal mistero, cose molto serie e importanti. Anche nella Bibbia sono luoghi di reali teofanie: gli uomini non sapevano ancora dell’esistenza dell’inconscio, e quindi erano liberi di sognare sognando, e avevano più linguaggi per ascoltare e decifrare le molte e diverse parole della vita.
Prima di questo sogno Giacobbe non aveva ricevuto una vocazione. Era soltanto il "nipote" di Abramo, figlio dell’Alleanza e della promessa, ma era un uomo con una condotta etica di basso profilo, né migliore né diversa dai tanti uomini del suo popolo. Era dentro una storia di Alleanza e di promessa, che aveva accompagnato i racconti serali della sua famiglia sotto la tenda, e nutrita la sua anima di speranze. Ma l’eredità dell’Alleanza e della promessa non passa attraverso il sangue; non è un titolo nobiliare né ci viene trasmessa con il cognome. Ogni alleanza riguarda il nome, è una faccenda di vocazione, è un incontro personale con la Voce che chiama e che crea un compito e un destino.
Non basta essere figli o parenti del fondatore di un’impresa per raccoglierne l’eredità morale. Un figlio eredita lo status, il prestigio e i beni dei genitori, ma quell’impresa familiare muore (o è venduta) se a un certo punto non arriva, per almeno uno di quella famiglia, una chiamata personale a essere prosecutore di quella prima avventura umana e morale, a continuare il sogno e il patto che l’ha generata. Quel primo patto muore se Gianna resta soltanto la figlia di Bruno il fondatore, finché non arriva un nuovo sogno. Le vocazioni esistono, anche nel nostro mondo post-moderno e disincantato che sembra non saper più sognare e ascoltare le voci profonde della vita. Possiamo avere idee diverse su Chi o che cosa sia la voce che chiama, ma è un dato d’esperienza che le vocazioni riempiono la terra, la fanno vivere e rinascere ogni giorno. Non potremmo spiegare (o lo spiegheremmo poco e male) l’esistenza di artisti, scienziati, poeti, missionari, ma anche la presenza di molti imprenditori sociali e civili, senza prendere in considerazione la categoria di vocazione. E non conosceremmo dimensioni essenziali della vita (tra cui la gratuità) se non ci fossero sulla terra persone "mosse da dentro", che non camminano dietro a incentivi ma seguono una voce.
Noemi era stata dipendente per venti anni in una azienda pubblica; un giorno, un preciso giorno, sente di dover lasciare quel lavoro sicuro per dar vita con altri soci a una impresa nel settore delle energie alternative, e così fa diventare i suoi ideali etici anche un progetto professionale e sociale. Un giorno, un preciso giorno, Marco legge "per caso" un libro di economia, e sente di scrivere all’autore: “Questo libro lo hai scritto per me”. A distanza di qualche anno, Marco ha cambiato vita e, oggi, è un imprenditore civile e di comunione. Passioni, interessi, preferenze… certo; ma per capire e raccontare bene queste storie di ieri, di oggi, di sempre, più forte e più efficace è la parola ‘vocazione’ (dovremmo scrivere un “dizionario delle vocazioni” raccolte nei vari campi dell’umano). Più vera e più forte è l’esperienza di chi si sente dire dentro: “Puoi diventare qualcosa che non sei ancora, e che è la parte migliore di te”. Ogni persona ha una vocazione, una via alla propria eccellenza e al bene comune, un "non ancora" che aspetta di diventare "già"; ma non tutte le vocazioni fioriscono, perché senza l’incontro con persone e luoghi di gratuità queste voci non si sentono, restano soffocate dai rumori del quotidiano, un rumore che è troppo forte nella nostra civiltà. Tutte le volte che una persona scopre, segue, e poi custodisce una vocazione, lì accade sempre un incontro tra passato, presente e futuro, tra cielo e terra, che cambia e migliora il mondo per sempre. A volte questa voce la si ode a 12 anni, altre volte a 80, poco importa l’età o la salute. Conta solo trovare un giorno la "porta" del cielo e vedere gli "angeli" salire e scendere sulla "scala" che lo lega alla terra e alla nostra vita.
Lorenza fa la scrittrice, e quando compone i suoi racconti vede "scendere dal cielo" la nonna Anna che nei pochissimi anni di scuola aveva imparato a memoria le poesie e gliele recitava nei giorni di festa. Franco, imprenditore, il giorno che ha finalmente inaugurato la sede della sua propria impresa, è "salito in cielo’" e ha ringraziato Giovanni, suo bisnonno, che da bambino gli aveva trasmesso la bellezza e la sapienza del creare con le mani e col cuore.
Al risveglio dal sogno-incontro, Giacobbe prende la pietra (28,11) su cui aveva dormito – e che quindi aveva "partecipato" a quel sogno, perché anch’essa viva – "la collocò come stele, e versò dell’olio sulla sua sommità. Poi chiamò quel luogo Bet-èl, mentre era Luz in precedenza" (28,18-19). Nelle storie di vocazioni la geografia ha lo stesso peso della storia: non parlano soltanto i fatti e i documenti, parlano anche i luoghi. Tutti i simboli sono un incontro di storia e di geografia, di parole e di luoghi. Non capiamo chi fossero veramente Madre Teresa e Gandhi senza l’India, Etty Illesum senza l’Olanda occupata dai nazisti, don Oreste Benzi senza certe strade buie di Rimini. Anche i luoghi hanno nomi (cioè chiamata e destino), partecipano da protagonisti alle nostre storie e vocazioni, perché tra la terra e gli uomini esiste una misteriosa, ma reale, legge di reciprocità. Tutto questo l’uomo della Bibbia lo sapeva molto bene. Noi, ormai atrofizzati nella nostra capacità simbolica, lo sappiamo molto meno, ma non lo abbiamo dimenticato del tutto. Così nei momenti delle stanchezze, torniamo spesso per istinto nei luoghi simbolici della nostra vita – dove in un preciso giorno in un preciso luogo, abbiamo sentito la Voce decisiva -, per lasciarci amare da loro, per risceglierci, per voler risognare quel primo sogno, e sentirci chiamare di nuovo per nome.
La terra e il cielo continuano a vivere e a parlarci. E noi, come Giacobbe, continuiamo a sognarli, e a cercare tutta la vita la "porta del cielo" e una "scala" per raggiungerlo.
Avvenire
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