L'ANNUNCIO |
Il giorno dopo, la folla, rimasta dall'altra parte del mare, notò che c'era una barca sola e che Gesù non era salito con i suoi discepoli sulla barca, ma soltanto i suoi discepoli erano partiti. Altre barche erano giunte nel frattempo da Tiberìade, presso il luogo dove avevano mangiato il pane dopo che il Signore aveva reso grazie. Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafarnao alla ricerca di Gesù. Trovatolo di là dal mare, gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?». Gesù rispose: «In verità, in verità vi dico, voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna, e che il Figlio dell'uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?». Gesù rispose: «Questa è l'opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato».
(Dal Vangelo secondo Giovanni 6 22-29)
"Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna, e che il Figlio dell'uomo vi darà"
Cercare Gesù per saziarsi di un cibo che si corrompe è la sventura più grande. Come non accorgersi di aver ricevuto un buono per acquistare senza limiti di spesa in un grande magazzino e comprare solo un chilo di pasta. Gesù è molto più di quanto immaginiamo. Gesù è molto più anche di quanto speriamo. Le sue parole di oggi sono molto serie, relativizzano gli stessi miracoli che Lui compie nella nostra vita. Essi ci saziano per un momento e sono destinati a significare altro immensamente più grande; se divengono l'assoluto che muove la nostra esistenza si trasformano in fonte di corruzione. Sì, anche i doni di Dio possono corrompersi e corromperci; è Gesù che lo dice, riferendosi ai "pani" che Lui stesso aveva moltiplicato e distribuito... I segni non sono il senso della nostra vita, indicano il cammino per scoprirlo e accoglierlo. Fare del matrimonio, dei figli, dell'essere prete, della missione, degli amici, del fidanzato, dello studio, del lavoro, il fine e il centro della nostra vita, significa strumentalizzare e pervertire le opere di Dio. Significa idolatrare un segno a scapito del significato. E' l'esperienza che spesso facciamo: le cose belle e sante che ci sono donate ci si imputridiscono tra le mani, e scopriamo che quello che sino ad oggi sembrava averci saziati non ha più nulla da darci, non ci consola, non ci rende felici, anzi, è fonte di insoddisfazione, frustrazione, tristezza. La catechesi di Gesù nella Sinagoga di Cafarnao che inizia con il brano di oggi ci introduce nel mistero dell'Eucarestia, attraverso l'illuminazione della profonda realtà del nostro cuore. La verità è imprescindibile per cogliere almeno un frammento dell'immensità dell'Eucarestia. Essa è carne eterna che incontra, assume e divinizza una carne mortale, la nostra carne. Per questo è necessario conoscere innanzi tutto noi stessi, le nostre attitudini, per poter accogliere, disarmati, un amore così grande. Il commento dei giudei al termine del discorso di Gesù è lo stesso che sorge dal nostro cuore: "questo linguaggio è duro...". E' duro scoprire le idolatrie che si annidano nel nostro intimo, l'infantilità con la quale affrontiamo la vita. Siamo degli eterni capricciosi, stringiamo tra le mani il giocattolo nuovo che ci hanno regalato e guai a chi ce lo vuole togliere. Salvo, dopo qualche ora, stufarci e cercarne un altro che soddisfi i nostri nuovi bisogni. Proviamo ad analizzare i nostri rapporti, chiusi, assoluti, segnati dall'esigenza. Spesso sono corrotti e ci lasciano in eredità un'insoddisfazione inguaribile. Vorremmo sempre di più, dal fidanzato che assediamo con migliaia di messaggini; dalla moglie che non è mai come vorremmo; dagli amici che dovrebbero dare sempre prova di una fedeltà incondizionata; ci aggrappiamo alle persone che Dio ci ha donato come a una fonte incontrata nel deserto. E, stoltamente, non ci rendiamo conto che sono fontane screpolate, incapaci di saziare l'autentico bisogno del nostro cuore. Ci succede esattamente come ai Giudei: "abbiamo mangiato, ci siamo saziati" e ci è sembrato il Paradiso! E sì che lo era, lì, seduti finalmente, riposando da tanti inutili sforzi. Qualcuno ci aveva sfamato, di più, "saziato", ma, avidi e avari nel profondo, abbiamo subito fatto un idolo di "quei pani" e di Colui che ce li aveva dati. E' successo che "non abbiamo visto i segni", e siamo rimasti schiacciati nella folla anonima, confusi e senza identità. Ciò significa che non si è innescata in noi una relazione personale con Gesù; è stato bello, ma come quando si va a una partita e si gioisce per la vittoria di una squadra, la folla di qua, sugli spalti, e i giocatori di là, sul campo. E poi tutti a dire "abbiamo vinto!". Ma, in fondo, nessuna relazione personale capace di cambiare davvero la vita. La prossima domenica un'altra giornata, e loro in campo e noi in tribuna... Per questo, come accade sempre nei cosiddetti fenomeni di massa, e il cristianesimo mai riguarda le masse; anche se il Papa convoca e rispondono milioni di persone, al centro c'è sempre un rapporto personale con Cristo che si dilata in comunione tra i fratelli. "Altre barche erano giunte nel frattempo da Tiberìade, presso il luogo dove avevano mangiato il pane dopo che il Signore aveva reso grazie": si muove il fiume di gente, senza testa nè cuore, mosso dalla carne che esige di saziarsi ancora, sempre di più; e "cerca" quell'uomo che non hanno visto andar via coi suoi discepoli, perché Lui resta sempre un enigma per chi non si è lasciato afferrare sino ad appartenergli. Come noi che andiamo in chiesa, preghiamo, ci impegniamo in tante attività, per chiedergli: "Rabbì, quando sei venuto qua?"; Signore, ti cercavamo dove avevi salvato il matrimonio, siamo venuti ancora dove ci avevi liberato dalla schiavitù dell'alcool e del gioco, eravamo finalmente in pace, ma ora abbiamo ancora fame, e Tu non c'eri... Abbiamo scoperto una malattia, i nostri figli non hanno lavoro, problemi dappertutto, e Tu, perché non sei rimasto dove ci avevi saziato per sfamarci ancora? Lo cerchiamo e ne seguiamo le tracce solo perché compia i nostri desideri, e realizzi la nostra volontà, ma Gesù è sempre un passo più in là, sfugge alla nostra vista come ai discepoli di Emmaus, come l'Amato del Cantico dei Cantici, per spingerci sul cammino dell'autenticità. I suoi doni, infatti, non sono altro che il suo biglietto da visita, un assaggio del banchetto che ci ha preparato. Insipienti come siamo, vorremmo fermarci agli aperitivi e agli antipasti; ingordi ci abbuffiamo di tartine e non abbiamo più spazio per i primi, i secondi, i dessert. Ci fermiamo sulla soglia del Cielo confondendolo con qualche millimetro di terra. Il matrimonio, i figli, gli amici, il lavoro, anche il ministero sacerdotale e la missione, sono solo la porta a qualcosa di infinitamente più grande che è l'incontro decisivo con Cristo. E' Lui il cibo che non perisce, è Lui il nostro desiderio più profondo. Procurarsi il cibo che non si corrompe è lasciarsi amare da Lui, attirare nella sua vita che non ha confini, essere trasformati in Lui, in pane che sazia la vita di ogni uomo. Lui non si lascia afferrare dalla carne perché si dona sui passi della storia, non nella corruzione dell'installazione e della soddisfazione degli appetiti. Lui ci obbliga a scoprire che la nostra fame autentica è quella di essere in Lui come Lui, l'ardente bisogno di donarsi e non di offrire a se stessi la vita, le persone e le cose. Lui va oltre per introdurci nell'aa di là che ci attende, nel compimento vero della nostra vita, che è trascenderci, donarci a chi ci è accanto uscendo da noi stessi. Di questo sono stati "segno" i pani che ci ha donato moltiplicati. Noi trasformati in pane che sazia, ecco l'alimento, l'unico, capace di sfamarci e realizzarci. Come Lui e con Lui sempre più in là, a Cafarnao, e poi ovunque e per chiunque abbia fame di Lui. Il cibo che non perisce è quello che reca il sigillo del Padre, la denominazione controllata e garantita di un'opera destinata all'eternità. Il suo amore, che offre se stesso in tutto e nulla offre a se stesso. Il cibo che non perisce è lo stesso alimento di Cristo, fare la volontà di Colui che lo ha inviato e compiere la sua opera: offrire la propria vita, passare attraverso la grande tribolazione della Croce, perché anche al nemico siano spalancate le porte del Cielo. Quando viviamo difendendoci sperimentiamo la vanità di ogni cosa, viviamo contro natura, e così anche il matrimonio non ci sazia, come ogni altra relazione. Siamo invece chiamati a rispettare la dignità e l'unicità di tutti, la libertà e la santità di cui sono segno; saper fermarsi e non appropriarsi degli altri, ingannati da pseudo-sentimenti che sono solo egoismo infantile con conseguenze devastanti, tra sessualità perversa e degradante, gelosie, compromessi. Il cibo che non perisce è un amore casto che guarda all'altro come a un santuario dove dimora Cristo vivo; il cibo che non perisce è una relazione fondata sul pudore, che non attenta all'intimità inviolabile dell'altro, che non esige di sapere tutto, di scoprire i segreti, che non brama di spogliare e spogliarsi per usare e farsi usare saziando appetiti che corrompono e gettano nel disprezzo di se stessi e nella disperazione. Il cibo che non perisce è un amore paziente, mansueto, conscio della propria debolezza, che fugge ogni occasione di inciampo nell'egoismo e nell'istinto sempre accovacciato alla porta del cuore. Il cibo che non perisce è un amore che ha crocifisso le proprie voglie e concupiscenze perché guarda oltre la carne, e intercetta in ogni persona la luce dell'eterno volto del Padre. Il cibo che non perisce è il dono di Dio in Cristo. Nessun moralismo, nessuno sforzo, solo una Grazia da accogliere. Il Signore vuole donarci questo cibo, una vita libera, autentica, bella, santa, che non subisce corruzione, pur crocifissa. Il Signore, donandoci Lui stesso come alimento, ci consegna, compiuta, una vita celeste, capace di consegnarsi con Lui nel Getsemani. La vita che fa la volontà di Dio, sulla quale scende lo Spirito Santo, il sigillo di Dio, il soffio di vita eterna su ogni opera fatta in Cristo. E' questo il segno dell'incorruttibile che ha assorbito il corruttibile, perchè può donare se stesso solo chi non teme di esaurire le scorte, solo chi ha vita sovrabbondante dentro. E' felice e ama solo chi ha incontrato davvero Cristo e vive tutto in Lui, alla sua presenza, per Lui e con Lui. Non si tratta dunque di dover far qualcosa per compiere chissà quali opere, ma solo di "credere", di abbandonare la propria vita all'amore di Dio rivelato in Cristo Gesù: si tratta di consegnarsi a chi si consegna a noi, perché l'unica vita che non perisce è proprio quella perduta per amore.
αποφθεγμα Apoftegma
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