Le omelie della XIX Domenica del TO – 11.08.13
"Fedeltà" e "prudenza", gli antidoti alle tentazioni del demonio
È “piccolo” il “gregge” del Signore, ma è inviato a salvare il mondo. È “piccolo”, ma non importa: non sono le statistiche che ne decidono qualità e importanza. A Gedeone pronto a combattere …
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Saranno allora sicuri coloro che ora non lo sono
e viceversa avranno allora paura coloro che ora non vogliono averla.
È per questa aspettativa e per questa speranza che siamo diventati cristiani.
Non è forse vero che la nostra speranza non ha di mira questo mondo?
Non dobbiamo amare il mondo.
Siamo stati chiamati a separarci dall'amore di questo mondo,
affinché speriamo e amiamo un altro mondo.
In questo mondo dobbiamo astenerci da tutti gli illeciti desideri,
ossia dobbiamo avere i fianchi cinti
e dobbiamo essere pieni d'ardore e risplendere per le opere buone, cioè avere le lampade accese.
S. Agostino, Discorso 108
Dal Vangelo secondo Luca 12, 32-48
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno.
Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.
Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito.
Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!
Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».
Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?».
Il Signore rispose: «Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi.
Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire”, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli.
Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche.
A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più».
Il commento
È “piccolo” il “gregge” del Signore, ma è inviato a salvare il mondo. È “piccolo”, ma non importa: non sono le statistiche che ne decidono qualità e importanza. A Gedeone pronto a combattere contro i Madianiti, il Signore disse che la gente che era con lui era troppo numerosa”; non voleva che Israele si vantasse dicendo “La mia mano mi ha salvato”. Ne bastarono trecento e i Madianiti furono sconfitti.
Così è anche oggi, forse più che in altri momenti: “Siamo a un enorme punto di svolta nell’evoluzione del genere umano... Dalla crisi odierna emergerà una Chiesa che avrà perso molto. Diverrà piccola e dovrà ripartire più o meno dagli inizi. Non sarà più in grado di abitare gli edifici che ha costruito in tempi di prosperità. Con il diminuire dei suoi fedeli, perderà anche gran parte dei privilegi sociali. Ripartirà da piccoli gruppi, da movimenti e da una minoranza creativa che rimetterà la fede al centro dell’esperienza... Sarà povera e diventerà la Chiesa degli indigenti” (J. Ratzinger).
Povera, proprio come desidera la Chiesa Papa Francesco; povera, eppure nulla le manca, perché gode degli unici beni ai quali “i ladri” non possono “arrivare” e che “il tarlo” non può “consumare”. I suoi pascoli, infatti, hanno il sapore dell’erba sempre fresca del Regno che il “Padre” ha voluto regalare a ciascuno dei suoi figli, la Parola e i sacramenti da gustare nella comunione con i fratelli. Anche se, durante il cammino, deve passare per le valli oscure dell’angoscia e del dolore, “non teme” alcun male, perché il Buon Pastore è sempre con lei preparandole una mensa davanti ai nemici, le tentazioni del demonio e il male incipiente.
Per questo i cristiani non hanno bisogno di “possedere” nulla: in Cristo hanno trovato tutto quello che il cuore desidera; possono “vendere” i propri beni e “darli in elemosina” perché hanno il loro “tesoro sicuro nei cieli”; è lì che Gesù ha preparato la loro dimora e ormai il loro “cuore” abita dove è l’Amato. Con Lui hanno vinto la morte che impedisce l’amore, per questo i loro corpi sono "borse che non invecchiano", scrigni incorruttibili che custodiscono la vita incorruttibile che li spinge a donarsi senza "temere": possono perdere la vita perché, in ogni circostanza, sanno di di conservarla per l'eternità.
E’ pur vero che, sedotti da una menzogna, abbiamo spesso vissuto obbligati a “servire” un “padrone” crudele. Ma il Signore è “giunto nel mezzo” della nostra “notte” di schiavitù, e ne ha fatto una Pasqua. Nel seno materno della Chiesa il “Padrone” autentico della nostra vita ci ha fatto parte del suo “gregge” donando anche a noi il suo Regno, dove il Primo si fa ultimo, e il Maestro fa “mettere a tavola” i suoi servi per “servirli”.
Questo mistero si rinnova ogni giorno nella Chiesa dove il Signore parla “a noi” per salvare “tutti”. Ci chiede anche oggi se abbiamo “capito” che cosa Egli ha fatto nella nostra vita. Se sì, sapremo "attenderlo" con gioia, vivendo ogni istante come in una notte di Pasqua; “beati” noi se il nostro cuore “veglia” nell’ascolto della sua Parola; “beati” noi se sapremo attendere il Signore che “torna dalle nozze”, immagine del Mistero Pasquale dove ha riscattato ogni uomo; "beati" noi se, con il cuore "pronto" gli “apriremo subito”, quando “arriva e bussa” per entrare nei momenti difficili del matrimonio, nel rapporto con i figli, con i colleghi, gli amici, il fidanzato.
"Beati noi" se saremo “pronti” ad annunciare loro il Vangelo rinunciando ai criteri mondani; con “le vesti strette ai fianchi”, nella castità della carne e dello spirito che lascia liberi e non si appropria di nessuno nell’“attesa” che sia Dio, con i suoi tempi, a parlare ai cuori; con “le lampade accese” di Carità illuminata dalla Verità, senza compromessi. "Beati" noi se il Signore “ci troverà così”, celebrerà con tutti la sua Pasqua di vita e libertà, e ci farà "amministratori di tutti i suoi beni", nella piena gratuità della vita celeste.
Ogni “ora” può essere quella di Cristo che viene a compiersi in noi. Forse tra un momento, forse nella persona che “non immaginiamo”, la più cara; forse proprio la moglie che, stanca per una giornata di lavatrici e ferro da stiro, non comprende il nostro nervosismo innescato da un capufficio in vena di soprusi, e ci accoglie a casa con una lista di doglianze che, al confronto, i 60.000 Cahiers de doléances degli Stati Generali francesi sono bazzecole.
Siamo, infatti, “amministratori” dei beni di Dio, non conduciamo noi la storia e il tempo non ci appartiene. Per questo non possiamo programmare eventi e incontri e stabilire come e quando presentare i conti dell'amministrazione. Siamo piuttosto chiamati alla “fedeltà” e alla “prudenza”, gli antidoti alle tentazioni del demonio che ci fa temere la croce mostrandocela come debolezza e impotenza di Dio che, è il ritornello subdolo del nemico, “ritarderà” di certo l’avvento.
Ma non è così, la sofferenza ci purifica e “sala” i beni per impedirci di vivere “infedelmente”, “percuotendo” con parole e ricatti il prossimo al quale siamo inviati, per “mangiare, bere e ubriacarsi” saziando gli appetiti della carne. Lo "sappiamo" per esperienza, ci “è stato dato molto”, in amore e misericordia: per questo “ci è stato affidato molto”, la salvezza di questa generazione.
Ci è stato data la vita e il Vangelo che l’ha salvata, che costituiscono la “razione di cibo” che siamo chiamati a da dare “a suo tempo” a moglie, marito, figli, colleghi, a tutti; attraverso di loro il Signore ci "chiede" il "molto" amore che ci è stato dato, proprio perché sia donato e così moltiplicato: "Questo è il vero "tesoro" dell’uomo. E l’amore di Dio non è qualcosa di vago, un sentimento generico; l’amore di Dio ha un nome e un volto: Gesù Cristo. E’ un amore che dà valore e bellezza a tutto il resto: alla famiglia, al lavoro, allo studio, all’amicizia, all’arte, ad ogni attività umana. E dà senso anche alle esperienze negative, perché ci permette di andare oltre, di non rimanere prigionieri del male, ma ci fa passare oltre, ci apre sempre alla speranza, all’orizzonte finale del nostro pellegrinaggio. Così anche le fatiche e le cadute trovano un senso" (Papa Francesco, Angelus dell'11 agosto 2013).
In ogni persona che ci si avvicina il Signore ci "richiede" la testimonianza del Vangelo che ci è stato predicato perché lo annunciamo quando “gli uomini scopriranno di abitare un mondo di indescrivibile solitudine e avvertiranno l’orrore della loro povertà. Allora, e solo allora, vedranno quel piccolo gregge di credenti come qualcosa di totalmente nuovo: lo scopriranno come una speranza per se stessi, la risposta che avevano sempre cercato in segreto” (J. Ratzinger).
Non c'è nulla da temere, anzi: la vita di ogni giorno è un cammino nel quale aprire il cuore a Cristo: “nel mezzo della notte o prima dell’alba” - che significa tutta la nostra esistenza spesa per il Vangelo, istante dopo istante - è preparata per noi la beatitudine riservata a chi “agirà” come agnello del “piccolo gregge” di Cristo, che segue il Pastore e con Lui dona se stesso senza riserve.
11 agosto 2013 - Vegliate, dunque
Nel cuore dell’estate Gesù – tenero! – ci rassicura: anche se siamo un piccolo gregge di pecore sperdute ed impaurite, al Padre è piaciuto darci il suo Regno.
Fidandoci di Gesù pastore, evitando di seguire i tanti finti pastori che ci affittano il pascolo e si disinteressano di noi, seguiamo il pastore bello delle pecore che, solo, ci può condurre alla pienezza della vita.
Seguire lui è la più bella avventura della vita, l’unica cosa per cui valga davvero la pena di investire. Lasciamo stare le ansie del possesso (economico, affettivo, relazionale), ragioniamo bene prima di investire energie e sogni in cose che non possono colmare il cuore.
L’ho visto mille volte nella mia sgangherata vita di cercatore di Dio: uomini e donne inseguire sogni, arrampicarsi su pareti verticali, prendersi ceffoni sonanti pur di conquistare un obiettivo di lavoro, di denaro, di relazione. Salvo poi, passato l’entusiasmo e l’euforia, restare con l’amaro in bocca: il cuore ancora reclama emozioni, passione, scoperte.
Come quando si va in montagna, spesso un colle nasconde un’altra salita, un’altra vetta.
No, siamo onesti, non è affatto semplice colmare l’inquietudine che abita nei nostri cuori.
Estote parati
State pronti, ammonisce Gesù. Pronti a viaggiare, pronti a mettere in discussione ogni risultato, ogni certezza, tanto più se derivante dalla fede e dalla religiosità. Se abbiamo capito che il nostro cuore è fatto per l’infinito e l’infinito cerchiamo, stiamo pronti a cercare all’infinito.
È il salubre atteggiamento del discepolo, la consapevolezza del “già e non ancora”.
Già conosco Dio, eppure non lo possiedo ancora.
Già ho vissuto una splendida esperienza affettiva, eppure so che nessun amore colma il mio cuore definitivamente.
Già ho scoperto, alla luce del Vangelo, quanta grazia e luce interiore ricolmano il mio cuore, ancora vivo momenti di sconforto e di buio.
Già ho capito chi sono, ma ancora non so chi sarò.
Una tensione sana, bella, che ci conduce all’essenziale, che ci stacca dalla pesantezza della quotidianità, che ci restituisce al realismo.
State pronti, ci chiede il Maestro. E noi vegliamo nella notte.
Quanta fede ci chiedi, Signore!
Nomadi
Come Israele, le cui gesta, enfatizzate e mitizzate, abbiamo letto nella prima lettura, anche noi siamo chiamati ad uscire dalla schiavitù, da ogni schiavitù, per imparare, nel deserto, a fidarci di Dio. Schiavi dell’idea che abbiamo di noi stessi, schiavi e preoccupati dell’immagine che dobbiamo restituire agli altri, schiavi dei finti bisogni che la pubblicità ci suscita, possiamo riscoprire, alla luce della parola, che o l’uomo è cercatore o non è, o l’uomo è mendicante o non è. o l’uomo è in cammino interiore o non è.
Che la vita, che ogni vita. È progressiva liberazione interiore.
Quanta fede ci chiedi, Signore!
Come Abramo
Abramo ascolta la sua voce interiore. Non è un giovane preso da deliri mistici: è un uomo realizzato, non travolto da impetuose passioni. Egli è l’uomo provato dalla vita, disilluso e che – pure – sente un appello irrefrenabile all’interiorità. Vai, sente nel cuore, Vai a te stesso.
Folle Abramo che lascerà ogni certezza e ruolo sociale per seguire un istinto interiore, per ritrovare se stesso! E questo suo gesto sarà immensamente fecondo: egli è il padre di tutti i cercatori di Dio.
Vai a te stesso, amico lettore, scopriti viandante, sul serio.
Anche se pensi di avere vissuto a sufficienza, o troppo sofferto, o fatto le tue scelte.
Siamo tutti straordinariamente liberi, resi capaci di iniziare percorsi nuovi anche quando tutto sembra deciso, sbagliato, irremovibile.
Vai a te stesso.
L’Attesa
La vita, allora, diventa inquieta attesa, l’attesa del ritorno, l’attesa dell’incontro del padrone che torna dalle nozze.
Attesa: la mia vita, la tua vita è attesa.
Di un senso, del superamento del tuo dolore, della chiave per capire la tua vita, di una persona da amare, di un figlio da stringere e baciare, di un mondo migliore, della luce infinita che illumini le tue paure, di Dio.
Attesa.
L’uomo è l’unico essere vivente capace di attendere, di vegliare, di insistere, di credere.
Nella notte, spesso, nel lungo e corposo silenzio della notte, sentiamo crescere la nostra fede, abbandonarsi il nostro cuore, capiamo cosa ci è essenziale. Nella notte, come le sentinelle che aspettano l’aurora, diventiamo dei credenti, dei discepoli. Quando le ginocchia vacillano, quando la fatica è tanta, quando ci sembra di non farcela ad attendere, quando la disperazione fa pressione alla porta del cuore, possiamo guardare ai testimoni, guardare ai padri della fede, ai tanti, tantissimi che hanno, come noi creduto nella notte, e visto la luce, infine.
La fede è questo misterioso già e non ancora, questo silenzio assordante, questa notte luminosa. Vegliamo, dunque.
Domenica XIX del Tempo Ordinario, Anno C
MESSALE
Antifona d'Ingresso Sal 73,20.19,22.23
Sii fedele, Signore, alla tua alleanza,
non dimenticare mai la vita dei tuoi poveri.
Sorgi, Signore, difendi la tua causa,
non dimenticare le suppliche di coloro che ti invocano.
Sii fedele, Signore, alla tua alleanza,
non dimenticare mai la vita dei tuoi poveri.
Sorgi, Signore, difendi la tua causa,
non dimenticare le suppliche di coloro che ti invocano.
Colletta
Dio onnipotente ed eterno, che ci dai il privilegio di chiamarti Padre, fa'crescere in noi lo spirito di figli adottivi, perché possiamo entrare nell'eredità che ci hai promesso. Per il nostro Signore...
Oppure:
Arda nei nostri cuori, o Padre, la stessa fede che spinse Abramo a vivere sulla terra come pellegrino, e non si spenga la nostra lampada, perché vigilanti nell'attesa della tua ora siamo introdotti da te nella patria eterna. Per il nostro Signore Gesù Cristo...
LITURGIA DELLA PAROLA
Prima Lettura Sap 18, 6-9
Come punisti gli avversari, così glorificasti noi, chiamandoci a te.
Dal libro della SapienzaLa notte [della liberazione] fu preannunciata ai nostri padri,
perché avessero coraggio,
sapendo bene a quali giuramenti avevano prestato fedeltà.
Il tuo popolo infatti era in attesa
della salvezza dei giusti, della rovina dei nemici.
Difatti come punisti gli avversari,
così glorificasti noi, chiamandoci a te.
I figli santi dei giusti offrivano sacrifici in segreto
e si imposero, concordi, questa legge divina:
di condividere allo stesso modo successi e pericoli,
intonando subito le sacre lodi dei padri.
Salmo Responsoriale Dal Salmo 32
Beato il popolo scelto dal Signore.Esultate, o giusti, nel Signore;
per gli uomini retti è bella la lode.
Beata la nazione che ha il Signore come Dio,
il popolo che egli ha scelto come sua eredità.
Ecco, l’occhio del Signore è su chi lo teme,
su chi spera nel suo amore,
per liberarlo dalla morte
e nutrirlo in tempo di fame.
L’anima nostra attende il Signore:
egli è nostro aiuto e nostro scudo.
Su di noi sia il tuo amore, Signore,
come da te noi speriamo.
Seconda Lettura Eb 11, 1-2.8-19 (Forma breve 11,1-2.8 12)
Aspettava la città il cui architetto e costruttore è Dio stesso.
Dalla lettera agli Ebrei[ Fratelli, la fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede. Per questa fede i nostri antenati sono stati approvati da Dio.
Per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava.
Per fede, egli soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa. Egli aspettava infatti la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso.
Per fede, anche Sara, sebbene fuori dell’età, ricevette la possibilità di diventare madre, perché ritenne degno di fede colui che glielo aveva promesso. Per questo da un uomo solo, e inoltre già segnato dalla morte, nacque una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia che si trova lungo la spiaggia del mare e non si può contare. ]
Nella fede morirono tutti costoro, senza aver ottenuto i beni promessi, ma li videro e li salutarono solo da lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sulla terra. Chi parla così, mostra di essere alla ricerca di una patria. Se avessero pensato a quella da cui erano usciti, avrebbero avuto la possibilità di ritornarvi; ora invece essi aspirano a una patria migliore, cioè a quella celeste. Per questo Dio non si vergogna di essere chiamato loro Dio. Ha preparato infatti per loro una città.
Per fede, Abramo, messo alla prova, offrì Isacco, e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unigenito figlio, del quale era stato detto: «Mediante Isacco avrai una tua discendenza». Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe anche come simbolo.
Canto al Vangelo Mt 24,42.44
Alleluia, alleluia.
Vegliate e tenetevi pronti,
perché, nell’ora che non immaginate,
viene il Figlio dell’uomo.
Alleluia.
Vangelo Lc 12, 32-48 (Forma breve 12,35-40
Anche voi tenetevi pronti.
Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno.
Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.[ Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito.
Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!
Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo». ]
Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?».
Il Signore rispose: «Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi.
Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire”, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli.
Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche.
A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più». Parola del Signore.
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COMMENTI
È “piccolo” il “gregge” del Signore, ma è inviato a salvare il mondo. È “piccolo”, ma non importa: non sono le statistiche che ne decidono qualità e importanza. A Gedeone pronto a combattere contro i Madianiti, il Signore disse che la gente che era con lui era troppo numerosa”; non voleva che Israele si vantasse dicendo “La mia mano mi ha salvato”. Ne bastarono trecento e i Madianiti furono sconfitti.
Così è anche oggi, forse più che in altri momenti: “Siamo a un enorme punto di svolta nell’evoluzione del genere umano... Dalla crisi odierna emergerà una Chiesa che avrà perso molto. Diverrà piccola e dovrà ripartire più o meno dagli inizi. Non sarà più in grado di abitare gli edifici che ha costruito in tempi di prosperità. Con il diminuire dei suoi fedeli, perderà anche gran parte dei privilegi sociali. Ripartirà da piccoli gruppi, da movimenti e da una minoranza creativa che rimetterà la fede al centro dell’esperienza... Sarà povera e diventerà la Chiesa degli indigenti” (J. Ratzinger).
Povera, proprio come desidera la Chiesa Papa Francesco; povera, eppure nulla le manca, perché gode degli unici beni ai quali “i ladri” non possono “arrivare” e che “il tarlo” non può “consumare”. I suoi pascoli, infatti, hanno il sapore dell’erba sempre fresca del Regno che il “Padre” ha voluto regalare a ciascuno dei suoi figli, la Parola e i sacramenti da gustare nella comunione con i fratelli. Anche se, durante il cammino, deve passare per le valli oscure dell’angoscia e del dolore, “non teme” alcun male, perché il Buon Pastore è sempre con lei preparandole una mensa davanti ai nemici, le tentazioni del demonio e il male incipiente.
Per questo i cristiani non hanno bisogno di “possedere” nulla: in Cristo hanno trovato tutto quello che il cuore desidera; possono “vendere” i propri beni e “darli in elemosina” perché hanno il loro “tesoro sicuro nei cieli”; è lì che Gesù ha preparato la loro dimora, con Lui hanno vinto la morte che impedisce l’amore e ormai il loro “cuore” abita dove è l’Amato. E’ vero che, sedotti da una menzogna, abbiamo spesso vissuto obbligati a “servire” un “padrone” crudele.
Ma il Signore è “giunto nel mezzo” della nostra “notte” di schiavitù, e ne ha fatto una Pasqua. Nel seno materno della Chiesa il “Padrone” autentico della nostra vita ci ha fatto parte del suo “gregge” donando anche a noi il suo Regno, dove il Primo si fa ultimo, e il Maestro fa “mettere a tavola” i suoi servi per “servirli”. Questo mistero si rinnova ogni giorno nella Chiesa dove il Signore parla “a noi” per salvare “tutti”. Ci chiede anche oggi se abbiamo “capito” che cosa Egli ha fatto nella nostra vita. Se sì, sapremo "attenderlo" con gioia, vivendo ogni istante come in una notte di Pasqua, e “beati” noi se il nostro cuore “veglia” nell’ascolto della sua Parola; “beati” noi se sapremo attendere il Signore che “torna dalle nozze” dove ha riscattato ogni uomo per “aprirgli subito”, quando “arriva e bussa” per entrare nei momenti difficili del matrimonio, nel rapporto con i figli, con i colleghi, gli amici, il fidanzato.
"Beati noi" se saremo “pronti” ad annunciare loro il Vangelo rinunciando ai criteri mondani; con “le vesti strette ai fianchi”, nella castità della carne e dello spirito che lascia liberi e non si appropria di nessuno nell’“attesa” che sia Dio, con i suoi tempi, a parlare ai cuori; con “le lampade accese” di Carità illuminata dalla Verità, senza compromessi. "Beati" noi se il Signore “ci troverà così”, celebrerà con con tutti la sua Pasqua di vita e libertà.
Ogni “ora” può essere quella di Cristo che viene a compiersi in noi. Forse tra un momento, forse nella persona che “non immaginiamo”, la più cara; forse proprio la moglie che, stanca per una giornata di lavatrici e ferro da stiro, non comprende il nostro nervosismo innescato da un capufficio in vena di soprusi, e ci accoglie a casa con una lista di doglianze che, al confronto, i 60.000 Cahiers de doléances degli Stati Generali francesi sono bazzecole. Siamo, infatti, “amministratori” dei beni di Dio, non conduciamo noi la storia e il tempo non ci appartiene.
Siamo chiamati alla “fedeltà” e alla “prudenza”, gli antidoti alle tentazioni del demonio che ci fa temere la croce mostrandocela come debolezza e impotenza di Dio che ne “ritarderà” di certo l’avvento. Ma non è così, la sofferenza ci purifica e “sala” i beni per impedirci di vivere “infedelmente”, “percuotendo” con parole e ricatti il prossimo al quale siamo inviati, per “mangiare, bere e ubriacarsi” saziando gli appetiti della carne. Ci “è stato dato molto”, in amore e misericordia: per questo “ci è stato affidato molto”, la salvezza di questa generazione.
Ci è stato data la vita e il Vangelo che l’ha salvata, la “razione di cibo” che siamo chiamati a da dare “a suo tempo” a moglie, marito, figli, colleghi, a tutti: “Gli uomini scopriranno di abitare un mondo di indescrivibile solitudine e avvertiranno l’orrore della loro povertà. Allora, e solo allora, vedranno quel piccolo gregge di credenti come qualcosa di totalmente nuovo: lo scopriranno come una speranza per se stessi, la risposta che avevano sempre cercato in segreto” (J. Ratzinger). Per noi è preparata “nel mezzo della notte o prima dell’alba” la beatitudine riservata a chi “agirà” come agnello del “piccolo gregge” di Cristo, donando se stesso senza riserve.
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Congregazione per il Clero
In questa domenica la parola di Dio ci sollecita a stare pronti, nell’attesa del Signore: estote parati! Tutto nella vita terrena è in funzione dell’unione con Dio; bisogna di conseguenza essere attenti al fatto che ogni tipo di tesoro, presto o tardi, facilmente polarizza il nostro cuore.
Nella prima lettura, si proclama: “Il tuo popolo era in attesa della salvezza dei giusti, della rovina dei nemici”. Il popolo di Israele, come del resto la Chiesa , avverte la problematicità dell’inserimento dei credenti in contesti pagani o, per l’epoca moderna, addirittura atei. Questo problema si è riscontrato in Egitto, poi in terra di Canaan ed in modo ancora più acuto quando gli ebrei si trovarono a contatto con la cultura ellenistica. Molti furono sedotti dalla filosofia pagana, oltre che dalle religioni misteriche e dall’astrologia.
Anche noi siamo un piccolo gregge, che è nel mondo ma non del mondo. Individuare, con l’illuminazione della grazia divina, la giusta strategia per affrontare questo problema è di fondamentale importanza oggi per la Chiesa , esposta com’è al rischio di perdere di vista la sua identità nello sforzo, pur lodevole, del dialogo con tutti e nel confronto, pur necessario, con ogni vento di dottrina (cf. Eb 13,9). Il cristiano deve essere persuaso di avere un tesoro da condividere con tutti gli uomini: la Fede per la salvezza di chiunque crede(cf. Rm 1,16). Ma egli, per far ciò, deve sottoporsi ad un duplice sforzo: approfondire la sua fede e trovare linguaggi adatti all’uomo moderno. In ogni momento la nostra Fede può essere esposta ad attacchi, anche mediatici, dirompenti. Ma sappiamo che è meglio obbedire a Dio piuttosto che agli uomini. Alla fine della vita terrena, in attesa del Cristo giudice, dobbiamo poter dire con san Paolo: “ho combattuto la buona battaglia, ho conservato la Fede , ora mi resta solo la corona di gloria che Cristo mi consegnerà nell’ultimo giorno” (2Tm 4,7-8). Del resto, a che gioverebbe cercare di compiacere lo spirito del mondo, cercare la popolarità, la gloria dei media, le fortune politiche o economiche, se poi si perde la propria anima? (cf. Mc 8,36)
Anche il brano evangelico ci sprona a vivere in funzione dei beni eterni. Cristo ci esorta a non riporre la nostra speranza nelle cose contingenti della terra, ma nei tesori accumulati in cielo. Il cristiano cerca prima di tutto il Regno di Dio e la sua giustizia, sapendo che tutto il resto gli sarà dato in più(Mt. 6,33).
La salvezza eterna solleva per l’uomo degli interrogativi insolubili al di fuori della prospettiva di Fede. Per essere coinvolti nella vita divina occorre aderire totalmente alla Fede. Non basta credere “in” Dio, ma occorre credere “a Dio”. L’uomo moderno resta disposto a credere che Dio esiste, ma si lascia guidare dai demoni del potere, dell’avere, del piacere, dell’apparire... Come fare per ricercare il bene terreno necessario senza divenirne schiavi e senza perdere di vista i beni eterni?
Il Signore si rivolge ai fedeli come a coloro che, nella società contemporanea, devono conservare la vigilanza spirituale. Ma se si lasciano sorprendere dal sonno, dalla preoccupazione del materialismo, si espongono al rischio di un orribile risveglio. Se si abbandonano a bere, mangiare, ubriacarsi, ovvero a tutte le “gozzoviglie” di una società e cultura massificate, il padrone arriverà quando meno se lo aspettano e li punirà con rigore. Del resto, “a chi molto è stato dato, molto sarà chiesto” (Lc 12,48). E questo vale soprattutto per i consacrati, senza dimenticare che il Signore vuole che tutti, laici e non laici, siamo perfetti come è perfetto il Padre celeste (cf. Mt 5,48) e che è volontà di Dio la nostra santificazione (cf. 1Ts 4,3).
Infine, nella seconda lettura della S. Messa odierna si parla ripetutamente della Fede come virtù fondamentale dei patriarchi e dei santi. In particolare, Abramo è tipo dell’uomo di Fede sia per l’Antico che per il Nuovo Testamento. La Fede è un atto di nobile sottomissione della ragione e della volontà, che si basa sulla promessa di Dio. Ma dire promessa significa indicare qualcosa che rimanda al futuro. E noi ci fidiamo dell’avvenire perché abbiamo motivi fondati di fiducia in Dio, che si è rivelato ad Abramo, a Giacobbe, a Mosè...
Tutto questo ci porta ad essere attenti alle realtà del cielo. La fede non forza la nostra intelligenza: crediamo perché ci fidiamo dell’autorità di Dio che rivela. Ciò è ben ragionevole, ma richiede anche un “di più” rispetto alla sola razionalità: come diceva Pascal, sappiamo che il cuore ha delle ragioni che la ragione non può intendere. L’ atto della nostra Fede è provocato dalla Speranza dei beni futuri, ma a sua volta è supporto della Speranza. Ecco perché l’autore della Lettera agli Ebrei afferma che la Fede è fondamento delle cose che si sperano.
Per la Fede Abramo partì senza sapere dove andava: Anche oggi la Fede ci chiede di compiere un esodo dall’orizzonte puramente materiale, che sembra rinserrare tutta la nostra esistenza, verso la terra promessa: il Paradiso. Il Paradiso che non è una chimera, che non è una favola inzuccherata ma che è realtà!
Ma nel camminare verso gli orizzonti eterni non sappiamo ancora cosa ci attende, sappiamo però che saremo simili a Lui perché lo vedremo come Egli è (cf. 1Gv 3,1-2). La Fede non ci svela apertamente la meta, ed è la Speranza la forza che ci sostiene nel cammino. La Speranza ci è dunque necessaria per perseverare nella Fede.
Inoltre l’impegno nella Fede deve essere saldo, per essere al riparo dalle innumerevoli seduzioni che tarpano le nostre ali. L’intelligenza deve fare i conti con mille scaltre obiezioni; la volontà deve resistere alle sollecitazioni che vorrebbero portarla a uscire dal retto sentiero; perché il cuore vorrebbe essere un nomade, senza fissa dimora. Il credente, come il popolo dell’Esodo, non è mai al riparo dalla nostalgia per le cipolle d’Egitto, e vorrebbe tornare sui suoi passi. Cosa fare? Tenersi saldamente ancorati alla Speranza fondata sulla promessa di Dio, perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili (cf. Rm 11,29).
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Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi, offre la seguente riflessione sulle letture liturgiche per la XIX domenica del Tempo Ordinario – Anno C.
Come di consueto, il presule propone anche una lettura patristica.
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LECTIO DIVINA
Siate pronti: siate poveri
L’uomo è come l’erba, l’UOMO Cristo è come il frumento.
Rito romano
XIX Domenica del Tempo Ordinario – Anno C – 11 agosto 2013.
Sap 18,6-9; Sal 32; Eb 11,1-2.8-19; Lc 12,32-48.
Rito ambrosiano
XII Domenica di Pentecoste.
2Re 25,1-17; Sal 77; Rm 2,1-10; Mt 23,37-24,2.
1) Provvidenza: la fedeltà di Dio che ci sostiene sempre.
Il filo conduttore dell’odierna Liturgia romana della Parola è la fede[1], come fiducia nella fedeltà di Dio.
Nella prima lettura ci viene detto che: “La notte della liberazione desti al tuo popolo, Signore, una colonna di fuoco come guida in un viaggio sconosciuto e come un sole innocuo per un glorioso emigrare” (Sap 18,6). Di giorno con una colonna di nube, di notte con una colonna di fuoco Dio non abbandona mai il suo popolo. La memoria dei benefici di Dio, della sua azione per liberare e guidare il popolo eletto ci invita ed educa ad aver fiducia nel Signore che accompagna il suo popolo dalla schiavitù alla libertà.
Nelle seconda lettura, l’autore della Lettera agli Ebrei ci mostra che la fede è dentro una storia di persone che hanno creduto fermamente a Dio. Abramo ne è un esempio così alto che è chiamato “nostro Padre nella fede”. Lui ha creduto non perché ha visto Dio, ma perché L’ha ascoltato e si è messo in cammino verso un futuro inatteso. Anche noi siamo invitati a vivere
la stessa fede che spinse Abramo a vivere sulla terra come pellegrino. La storia di salvezza, che in Abramo ha un caposaldo, è come un grande pellegrinaggio che progressivamente si realizza svelando ulteriori promesse, sempre più indirizzate verso la piena comunione con Dio: dalla terra alla discendenza, ad abitare nella casa di Dio.
Come Abramo, noi i credenti siamo sempre “in cammino”, perenni pellegrini verso una patria che non è tanto un luogo, quanto una condizione: non è tanto un abitare con il Signore, ma un essere in Lui, come tralci “nella” vite. Parafrasando un po’ la Lettera a Diogneto (II, 5,1-16) possiamo dire che noi cristiani abitiamo una patria, ma vi siamo come pellegrini; ogni terra straniera è patria per noi, ogni patria è terra straniera. Trascorriamo l’esistenza sulla terra, ma siamo cittadini del cielo (cfr Ebr 13,14). Questo fatto ci è testimoniato in modo particolare dalle Vergini consacrate, che vivono nel mondo ma non sono del mondo. Con la consacrazione hanno donato il cuore allo Sposo, che attendono intensamente, per accoglierlo devotamente, per amarlo completamente nella castità, per servirlo costantemente (cfr Rituale di consacrazione delle Vergini, n 25). La vita consacrata mostra la verità dell’esperienza di dono di sé a Dio: nel continuo muoversi, convertirsi al Signore, la persona trova una strada stabile che la libera.
2) La vigilanza: la nostra fedeltà a Cristo sempre.
Nella terza lettura che ci propone un brano dell’Evangelista San Luca (12,32-48), Gesù, oltre all’invito ad fiducia nella provvidenza, parla anche dell’importanza della vigilanza nell'attesa del ritorno del Signore Gesù.
Il soggetto a cui Gesù si rivolge è il “piccolo gregge”: un gregge amato da Dio, scelto e destinato al Regno, ma piccolo. Questa piccolezza può far nascere il dubbio e lo scoraggiamento nel cuore di molti. Ma è uno scoraggiamento da fugare: la storia di salvezza è regolata dalla legge del «resto d'Israele», cioè del piccolo gruppo di autentici credenti nel quale il Regno si attua a beneficio di tutti.
Il piccolo gregge è invitato a non temere. “Non temete”: vigilanza sì, prontezza e impegno, ma tutto in un clima di grande fiducia. Il Regno è donato (al Padre è “piaciuto dare a noi il Regno”), poggia sul suo amore e non sulle nostre prestazioni: dunque nessuna ansia.
Il piccolo gregge è anche invitato a distribuire i propri beni: “Vendete ciò che avete e datelo in elemosina”. È questa la ricchezza che non viene meno, a differenza di quel possedere sempre di più di cui ha parlato la parabola del ricco stolto. È in questa direzione che bisogna orientare il proprio cuore: “Dove è il vostro tesoro ivi è pure il vostro cuore”.
3) Ciechi al male, per vedere il bene.
Il racconto evangelico prosegue poi con un linguaggio immaginoso (vv. 35-40) il cui significato è però limpido. “Siate pronti, con i fianchi cinti e le lucerne accese”. L'immagine delle lucerne fa venire in mente la parabola delle vergini sagge e stolte. La cintura ai fianchi ricorda l'uso dei lavoratori che sollevavano e rotolavano ai fianchi le vesti per non essere impediti nel lavoro, oppure il gesto dei viandanti che sollevavano le vesti per camminare spediti. Si raccomanda, dunque, quell'atteggiamento peregrinante e vigile che impedisce di evitare di essere dei sedentari. Le troppe cose possono ingombrare lo spirito e renderci sedentari, a scapito della speranza (che non è solo l'attesa dell’al di là, ma anche la capacità di trasformare le cose quaggiù, tenendo presente però di convertire prima se stessi altrimenti avrebbe ragione Tolstoi : “Tutti pensano a cambiare il mondo, ma nessuno pensa a cambiare se stesso”).
Dopo la breve parabola del Padrone che ritorna dalle nozze e quella del Signore che viene all'improvviso furtivo come un ladro, una terza parabola: quella l'amministratore fedele (vv. 41-48). Così il tema della vigilanza è arricchito da un nuovo atteggiamento: la fedeltà nell'amministrazione dei beni del padrone, il senso di responsabilità. Quali sono i beni del padrone da amministrare fedelmente e con responsabilità? Il testo non lo dice espressamente, ma possiamo pensare all'uso di tutto quei beni (ricchezze, rapporti, tutto) che Dio ci ha posto fra le mani e che devono essere amministrati ma non tenuti esclusivamente per sé.
La fedeltà e il senso di responsabilità sono richiesti in proporzione della conoscenza che ciascuno ha del padrone: più grande è la conoscenza, più grande è la responsabilità. È quanto dire che fedeltà e responsabilità sono soprattutto richieste ai credenti per il vero lavorare nella Vigna del Signore: la Chiesa.
L’importante è crescere nella fede per “vedere” che Dio è Padre, che è un “padrone” amorosamente onnipotente. In Gesù, il Padre mette l'onnipotenza a disposizione della sua carità, facendola benefica e amabile all'occhio di tutti. In Gesù la fede ci rende “ciechi” al male e veggenti al Bene, alla Carità, alla Santità, alla Vita eterna e così possiamo condurre alla Pace, al Padre i fratelli in Cristo.
Non stanchiamoci di guardare Cristo in Croce. Più fisseremo i nostri occhi su di Lui, più vedremo la luce attraverso il Suo costato aperto dall’amore, e più crederemo perché la fede nasce dalla luce dell’amore..
Facciamoci poveri di spirito facendo servire i beni alla Giustizia e servendocene con giustizia, che si consuma nella carità e si manifesta veramente nella misericordia (Cfr Francesco, Enc.Lumen Fidei, nn 6 e 13).
La fede è la luce dell’amore. Nella fede, dono di Dio, virtù soprannaturale da Lui infusa, riconosciamo che un grande Amore ci è stato offerto, che una Parola buona ci è stata rivolta e che, accogliendo questa Parola, che è Gesù Cristo, Parola incarnata, lo Spirito Santo ci trasforma, illumina il cammino del futuro, e fa crescere in noi le ali della speranza per percorrerlo con gioia. Fede, speranza e carità costituiscono, in un mirabile intreccio, il dinamismo dell’esistenza cristiana verso la comunione piena con Dio (LF 6).
Credere significa affidarsi a un amore misericordioso che sempre accoglie e perdona, che sostiene e orienta l’esistenza, che si mostra potente nella sua capacità di raddrizzare le storture della nostra storia. La fede consiste nella disponibilità a lasciarsi trasformare sempre di nuovo dalla chiamata di Dio.
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LETTURA PATRISTICA
Brani di S. Ireneo di Lione sulla Tradizione apostolica, per la catechesi sulla fede, la speranza e la carità
“In realtà, la Chiesa, sebbene diffusa in tutto il mondo fino alle estremità della terra, avendo ricevuto dagli Apostoli e dai loro discepoli la fede..., conserva questa predicazione e questa fede con cura e, come se abitasse un'unica casa, vi crede in uno stesso identico modo, come se avesse una sola anima ed un cuore solo, e predica le verità della fede, le insegna e le trasmette con voce unanime, come se avesse una sola bocca” (Sant'Ireneo di Lione,Adversus haereses, 1, 10, 1-2 - SC 264, 154-158; PG 7, 550-551).
“Infatti, se le lingue nel mondo sono varie, il contenuto della Tradizione è però unico e identico. E non hanno altra fede o altra Tradizione né le Chiese che sono in Germania, né quelle che sono in Spagna, né quelle che sono presso i Celti (in Gallia), né quelle dell'Oriente, dell'Egitto, della Libia, né quelle che sono al centro del mondo” (Sant'Ireneo di Lione, Adversus haereses, 1, 10, 2 - SC 264, 158-160; PG 7, 531-534).
“Il messaggio della Chiesa è dunque veridico e solido, poiché essa addita a tutto il mondo una sola via di salvezza” (Sant'Ireneo di Lione, Adversus haereses, 5, 20, 1 - SC 153, 254-256; PG 7, 1177).
“Conserviamo con cura questa fede che abbiamo ricevuto dalla Chiesa, perché, sotto l'azione dello Spirito di Dio, essa, come un deposito di grande valore, chiuso in un vaso prezioso, continuamente ringiovanisce e fa ringiovanire anche il vaso che la contiene” (Sant'Ireneo di Lione, Adversus haereses, 3, 24, 1 - SC 211, 472; PG 7, 966).
“Dunque la tradizione degli apostoli manifestata in tutto quanto il mondo, possono vederla in ogni Chiesa tutti coloro che vogliono riscontrare la verità, così possiamo enumerare i vescovi stabiliti dagli apostoli nelle Chiese e i loro successori fino a noi. Ora essi non hanno insegnato né conosciuto misteri segreti, che avrebbero insegnato a parte e di nascosto ai perfetti, ma certamente prima di tutto li avrebbero trasmessi a coloro ai quali affidavano le Chiese stesse. Volevano infatti che fossero assolutamente perfetti e irreprensibili (cf. 1 Tm 3,2) in tutto coloro che lasciavano come successori, trasmettendo loro la propria missione di insegnamento. Se essi avessero capito correttamente, ne avrebbero ricavato grande profitto; se invece fossero falliti, ne avrebbero ricavato un danno grandissimo. Ma poiché sarebbe troppo lungo in quest'opera enumerare le successioni di tutte le Chiese, prenderemo la Chiesa grandissima e antichissima e a tutti nota, la Chiesa fondata e stabilita a Roma dai due gloriosi apostoli Pietro e Paolo. Mostrando la tradizione ricevuta dagli apostoli e la fede (cf. Rm 1,8) annunciata agli uomini che giunge fino a noi attraverso le successioni dei vescovi… Infatti con questa Chiesa, in ragione della sua origine più eccellente, deve necessariamente essere d'accordo ogni Chiesa, cioè i fedeli che vengono da ogni parte — essa nella quale per tutti gli uomini è sempre stata conservata la tradizione che viene dagli apostoli.
Dunque, dopo aver fondato ed edificato la Chiesa, i beati apostoli affidarono a Lino il servizio dell'episcopato; di quel Lino Paolo fa menzione nelle lettere a Timoteo (cf. 2Tm 4, 21). A lui succede Anacleto. Dopo di lui, al terzo posto a partire dagli apostoli, riceve in sorte l'episcopato Clemente, il quale aveva visto gli apostoli stessi e si era incontrato con loro ed aveva ancora nelle orecchie la predicazione e davanti agli occhi la loro tradizione. E non era il solo, perché allora restavano ancora molti che erano stati ammaestrati dagli apostoli. Dunque, sotto questo Clemente, essendo sorto un contrasto non piccolo tra i fratelli di Corinto, la Chiesa di Roma inviò ai Corinzi un'importantissima lettera per riconciliarli nella pace, rinnovare la loro fede e annunciare la tradizione che aveva appena ricevuto dagli apostoli…
A questo Clemente succede Evaristo e, ad Evaristo, Alessandro; poi, come sesto a partire dagli apostoli, fu stabilito Sisto; dopo di lui Telesforo, che dette la sua testimonianza gloriosamente; poi Igino, quindi Pio e dopo di lui Aniceto. Dopo che ad Aniceto fu succeduto Sotere, ora, al dodicesimo posto a partire dagli apostoli, tiene la funzione dell'episcopato Eleutero. Con quest'ordine e queste successioni è giunta fino a noi la tradizione che nella Chiesa a partire dagli apostoli è la predicazione della verità.
E questa è la prova più completa che una e medesima è la fede vivificante degli apostoli, che è stata conservata e trasmessa nella verità” (Sant'Ireneo di Lione, Adversus haereses3, 3, 1-3).
“La gloria di Dio dà la vita; perciò coloro che vedono Dio ricevono la vita. E per questo colui che é inintelligibile, incomprensibile e invisibile, si rende visibile, comprensibile e intelligibile dagli uomini, per dare la vita a coloro che lo comprendono e vedono. E' impossibile vivere se non si é ricevuta la vita, ma la vita non si ha che con la partecipazione all'essere divino. Orbene tale partecipazione consiste nel vedere Dio e godere della sua bontà. Gli uomini dunque vedranno Dio per vivere, e verranno resi immortali e divini in forza della visione di Dio. Questo, come ho detto prima, era stato rivelato dai profeti in figura, che cioé Dio sarebbe stato visto dagli uomini che portano il suo Spirito e attendono sempre la sua venuta.
Così Mosé afferma nel Deuteronomio: Oggi abbiamo visto che Dio può parlare con l'uomo e l'uomo aver la vita (cfr. Dt 5, 24). Colui che opera tutto in tutti nella sua grandezza e potenza, é invisibile e indescrivibile a tutti gli essere da lui creati, non resta però sconosciuto; tutti infatti, per mezzo del suo Verbo, imparano che il Padre é unico Dio, che contiene tutte le cose e dà a tutte l'esistenza, come sta scritto nel vangelo: "Dio nessuno lo ha mai visto; proprio il Figlio Unigenito, che é nel seno del Padre, lui lo ha rivelato" (Gv 1, 18).
Fin dal principio dunque il Figlio é il rivelatore del Padre, perché fin dal principio é con il Padre e ha mostrato al genere umano nel tempo più opportuno le visioni profetiche, la diversità dei carismi, i ministeri e la glorificazione del Padre secondo un disegno tutto ordine e armonia. E dove c'é ordine c'é anche armonia, e dove c'é armonia c'é anche tempo giusto, e dove c'é tempo giusto c'è anche beneficio. Per questo il Verbo si é fatto dispensatore della grazia del Padre per l'utilità degli uomini, in favore dei quali ha ordinato tutta l'economia della salvezza, mostrando Dio agli uomini e presentando l'uomo a Dio. Ha salvaguardato però l'invisibilità del Padre, perché l'uomo non disprezzi Dio e abbia sempre qualcosa a cui tendere.
Al tempo stesso ha reso visibile Dio agli uomini con molti interventi provvidenziali, perché l'uomo non venisse privato completamente di Dio, e cadesse così nel suo nulla, perché l'uomo vivente é gloria di Dio e vita dell'uomo é la visione di Dio. Se infatti la rivelazione di Dio attraverso il creato dà la vita a tutti gli esseri che si trovano sulla terra, molto più la rivelazione del Padre che avviene tramite il Verbo é causa di vita per coloro che vedono Dio” (Sant'Ireneo di Lione, Adversus haereses 4, 20, 5-7 - SC 100, 640-642. 644-648).
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