Il prezzo pagato per tutti è il sangue di Cristo
con il quale il Signore Gesù ci ha redenti.
Egli solo ci ha riconciliati al Padre e ha sofferto fino all’estremo,
addossandosi la nostra sofferenza.
L’uomo non darà dunque nulla in propiziazione per la propria redenzione,
poiché è stato mondato dal peccato una volta per tutte
mediante il sangue di Cristo.
Non è tuttavia dispensato dall’impegnarsi per osservare i precetti della vita
e per non sviare dai comandamenti del Signore.
Finché vivrà, sarà nel travaglio e persevererà in esso per vivere in eterno,
pur essendo già stato riscattato dalla morte.
S. Ambrogio, Commento al Salmo 48
Dal Vangelo secondo Matteo 17,22-27
In quel tempo, mentre si trovavano insieme in Galilea, Gesù disse ai suoi discepoli: «Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno, ma il terzo giorno risorgerà». Ed essi furono molto rattristati.
Quando furono giunti a Cafàrnao, quelli che riscuotevano la tassa per il tempio si avvicinarono a Pietro e gli dissero: «Il vostro maestro non paga la tassa?». Rispose: «Sì».
Mentre entrava in casa, Gesù lo prevenne dicendo: «Che cosa ti pare, Simone? I re della terra da chi riscuotono le tasse e i tributi? Dai propri figli o dagli estranei?». Rispose: «Dagli estranei».
E Gesù replicò: «Quindi i figli sono liberi. Ma, per evitare di scandalizzarli, va’ al mare, getta l’amo e prendi il primo pesce che viene su, aprigli la bocca e vi troverai una moneta d’argento. Prendila e consegnala loro per me e per te».
Il commento
Da che mondo è mondo le "tasse" sono fonte di "tristezza". Spesso sono ingiustificati balzelli esigiti dallo Stato per coprire i suoi debiti. Quando poi, dovendo usufruire dei servizi pubblici che esse sostengono, ne soffriamo l'inefficienza, le tasse divengono un sopruso insopportabile.
Il sistema tributario segna il confine tra "i figli" e "gli estranei". La relazione che instauriamo con il mondo è misurato dal rapporto che abbiamo con le sue leggi, soprattutto con quelle che regolano la tassazione. Quando riceviamo la cartella esattoriale o ci accingiamo a compilare la dichiarazione dei redditi risuona per noi la domanda rivolta a Pietro da "quelli che riscuotevano la tassa per il tempio": le paghiamo o no le tasse? La Chiesa insegna che dobbiamo onestamente pagare sino all'ultimo spicciolo, ma sarà poi vero?
Quanti di noi obbediscono al Magistero e alla Dottrina sociale della Chiesa che, ad esempio, al n. 2240 del Catechismo, afferma che "la sottomissione all'autorità e la corresponsabilità nel bene comune comportano l'esigenza morale del versamento delle imposte"? Ma io sono un povero commerciante, i fornitori esigono e i clienti non pagano, che faccio, mi sveno per pagare le tasse e poi chiudo la baracca? Con questo stipendio da fame neanche arrivo alla fine del mese e che, mi metto pure a pagare tutte le tasse? Chi darà poi da mangiare ai miei figli?
Viviamo in un momento nel quale tutti sono estremamente sensibili su questi temi. I dibattiti si moltiplicano, molti, proprio seguendo le ragioni della Dottrina Sociale della Chiesa, ritengono giusto non pagare alcune tasse ingiuste. E certo, l'invadenza statale e l'ideologia secondo la quale lo Stato deve provvedere a tutto non ha riscontri nel Magistero della Chiesa.
Ma il Vangelo, come al solito, sposta il piano della controversia, e cerca ciascuno di noi, per illuminare il cuore. C'è qualcosa che giace più molto più in fondo dei problemi contingenti e delle soluzioni da offrire e scegliere. C'è di mezzo il nostro cuore. In ogni evento, infatti, è il Signore che ci visita, e ci chiede: "Che te ne pare?". In questa domanda, non a caso rivolta a Pietro, si legge in filigrana quella che Gesù gli ha posto poco prima: "Voi, chi dite che io sia?".
Ecco, anche davanti alla dichiarazione dei redditi, i cristiani si trovano di fronte a Cristo, in un dialogo d'amore che non si spegne mai. Non c'è aspetto della vita, sia essa quella privata, familiare o sociale e dello Stato, che non ci interpelli: in nulla Dio è irrilevante, perché in tutto è presente per illuminare e guidare i suoi "figli".
In questione era il contributo da offrire al mantenimento del Tempio, una tassa che, secondo quanto ci testimonia Filone, "i donatori portano allegramente e con gioia, in previsione che il pagamento porterà loro la liberazione dalla schiavitù o la guarigione dalle malattie e il godimento di una libertà garantita e una sicura protezione dai pericoli" (Leggi speciali, 1,77). Il Tempio era il cuore di Israele, e se esso avesse smesso di battere sarebbero morti tutti, senza più alcuna speranza. Il Tempio era la Presenza di Dio con il Popolo, nonostante il dominio di Roma. Per questo era anche la profezia più certa della libertà che tutti aspettavano.
La tassa era dunque un atto d'amore e di fiducia, un segno che esprimeva e contribuiva a mantenere viva la speranza. Per comprendere le parole di Gesù occorre partire da qui. Egli non parla di tasse giuste o ingiuste, ma invita Pietro ad alzare lo sguardo diritto davanti a sé e a professare ancora la fede che né carne e né sangue gli hanno rivelato, ma il Padre che è nei Cieli: Gesù è il Figlio di Dio, il Messia che sta inaugurando un nuovo culto, in Spirito e Verità. Dio è presente in quel momento "a Cafarnao", la città natale di Pietro. Non è più il Tempio a delimitare il perimetro della Presenza di Dio: come già ai tempi dell'Esilio, Egli è libero, e scende ad abitare laddove vivono i suoi figli.
Cafarnao è il nuovo Tempio: la casa di Pietro, la vita di ogni figlio della Chiesa, la sua famiglia, il suo lavoro, la sua scuola, il campo sportivo dove si sgranchisce le gambe, il letto d'ospedale dove lo inchioda la malattia. Gesù è con Pietro e la sua comunità ovunque si trovino, perché sempre e in ogni luogo, essi possano vivere nella "libertà" dei figli di Dio. Per questo, infatti, "sarà consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno, ma il terzo giorno risorgerà".
E' Lui stesso la "tassa" pagata per il nuovo Tempio, per riscattare e far vivere eternamente il Nuovo Israele. Non a caso il gesto che Gesù chiede a Pietro per trovare la moneta con cui pagare la tassa è una profezia del suo Mistero Pasquale: come il "primo pesce pescato all'amo", attraverso la sua Croce, Gesù è stato pescato dal "mare" della morte come la primizia di ogni uomo. La sua "bocca" si è "aperta" la sera di Pasqua, consegnando agli apostoli impauriti rinchiusi nel cenacolo, la "moneta d'argento" della Pace, la caparra della Vita Eterna con la quale pagare ogni "tassa e tributo", il debito d'amore che abbiamo con chi ci è accanto e incontreremo.
In Lui ci è dato tutto: a noi è chiesto solo di "cercare prima di ogni cosa il Regno dei Cieli". Per questo Pietro, a nome di tutti noi, è chiamato ogni giorno ad inoltrarsi nel "mare" e pescare, con il Primogenito, la Pace da annunciare al mondo: siamo la "bocca" di Cristo risorto, perché "la missione della Chiesa, come quella di Cristo, è essenzialmente parlare di Dio, fare memoria della sua sovranità, richiamare a tutti, specialmente ai cristiani che hanno smarrito la propria identità, il diritto di Dio su ciò che gli appartiene, cioè la nostra vita" (Benedetto XVI, 16 ottobre 2011).
Siamo "figli nel Figlio", non più "estranei" alla famiglia di Gesù; proprio per questo la Chiesa, lontana dalla preoccupazione per tasse e denari, procede sicura nella precarietà, confidando nella Provvidenza di Dio. Gesù ha vinto la morte, ormai nulla può incutere timore né "tristezza". Essa è frutto della paura di fronte alla morte, che si nasconde spesso nel bilancio familiare...
Se saremo uniti a Lui in ogni circostanza, "pagheremo per Lui e per noi" quanto gli uomini poveri e affamati ci chiedono, l'amore e la misericordia con le quali possano sentirsi accolti nel Tempio autentico per il quale sono stati creati. Con Cristo non "scandalizzeremo" chi ci è accanto, cercando fantasiose vie pseudo-religiose per risolvere o sfuggire i problemi. Più di ogni altro uomo, infatti, i cristiani vivono sino in fondo la loro umanità, senza scappare da nessuna difficoltà, tasse incluse. Possono pagarle anche se dovessero restare senza soldi, così come possono aprirsi alla vita o perdonare un'ingiustizia: in tutto, infatti, vedono Dio, perché sono già cittadini del Cielo; ne sperimentano la Presenza che non li abbandona mai, e così tutto diviene occasione per testimoniare la "libertà" dei "figli" alla quale sono chiamati anche gli "estranei".
La forza della coerenza cristiana da kairòs
Vangelo
Matteo 17,22-27
Matteo 17,22-27
In quel tempo, mentre si trovavano insieme in Galilea, Gesù disse ai suoi discepoli: «Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno, ma il terzo giorno risorgerà». Ed essi furono molto rattristati. Quando furono giunti a Cafàrnao, quelli che riscuotevano la tassa per il tempio si avvicinarono a Pietro e gli dissero: «Il vostro maestro non paga la tassa?». Rispose: «Sì». Mentre entrava in casa, Gesù lo prevenne dicendo: «Che cosa ti pare, Simone? I re della terra da chi riscuotono le tasse e i tributi? Dai propri figli o dagli estranei?». Rispose: «Dagli estranei». E Gesù replicò: «Quindi i figli sono liberi. Ma, per evitare di scandalizzarli, va’ al mare, getta l’amo e prendi il primo pesce che viene su, aprigli la bocca e vi troverai una moneta d’argento. Prendila e consegnala loro per me e per te».
Lettura
La storia del popolo di Israele è segnata da tanti episodi ed esperienze tra le più diverse e variegate. È una storia di alti e bassi, di momenti di forte avvicinamento a Dio, di diffidenza e di allontanamento. Questa volta, le pagine del libro del Deuteronomio presentano non una tra le tante richieste di Israele a Dio, ma di Dio al popolo di Israele, e non per una sterile logica del do ut des, ma per quel rapporto di figliolanza che fa di Israele il popolo prescelto da Dio.
La storia del popolo di Israele è segnata da tanti episodi ed esperienze tra le più diverse e variegate. È una storia di alti e bassi, di momenti di forte avvicinamento a Dio, di diffidenza e di allontanamento. Questa volta, le pagine del libro del Deuteronomio presentano non una tra le tante richieste di Israele a Dio, ma di Dio al popolo di Israele, e non per una sterile logica del do ut des, ma per quel rapporto di figliolanza che fa di Israele il popolo prescelto da Dio.
Meditazione
Sono solo poche righe quelle che il Vangelo di Matteo ci offre per la nostra meditazione, ma come sempre, per grazia di Dio, si arricchiscono di una forza che lascia tutti senza parole e con il cuore in continuo subbuglio interiore. Desideriamo soffermarci sulle due grandi parti in cui si articola questa pericope del Vangelo. Nella prima si manifesta il rattristamento dei Dodici all’annuncio della morte di Gesù, e nella seconda troviamo l’accusa rivolta ai Dodici e a Gesù circa la “tassa da pagare”. Apparentemente sembrano essere due sezioni distinte, ma entrambe sono profondamente collegate poiché sembra quasi come se, all’annuncio della passione e morte, corrisponda immediatamente la difficoltà pratica nella vita di Pietro e dei Dodici. È un passaggio che ci fa riflettere e meditare sulla nostra vita da cristiani, ovvero, ci interroga se siamo davvero credenti. Se la nostra vita è immersa e avvolta dalla logica del Vangelo, accade che ciò che sentiamo e viviamo nella preghiera si verifica nella nostra vita ordinaria. A questo punto potremmo chiederci quanto il Vangelo diventa davvero vivo nella nostra vita, quanto quello che il Signore dice nel segreto della preghiera e della meditazione si fa vita nelle nostre vite? Sembra quasi come se il “banco di prova” della nostra spiritualità sia la vita. Ed è così, il vero “banco di prova” della nostra adesione di fede in Gesù non è dato dalle nostre sensazioni emotive, ma dalla capacità con cui traduciamo le nostre emotività spirituali in atteggiamenti concreti nella vita di ogni giorno.
Sono solo poche righe quelle che il Vangelo di Matteo ci offre per la nostra meditazione, ma come sempre, per grazia di Dio, si arricchiscono di una forza che lascia tutti senza parole e con il cuore in continuo subbuglio interiore. Desideriamo soffermarci sulle due grandi parti in cui si articola questa pericope del Vangelo. Nella prima si manifesta il rattristamento dei Dodici all’annuncio della morte di Gesù, e nella seconda troviamo l’accusa rivolta ai Dodici e a Gesù circa la “tassa da pagare”. Apparentemente sembrano essere due sezioni distinte, ma entrambe sono profondamente collegate poiché sembra quasi come se, all’annuncio della passione e morte, corrisponda immediatamente la difficoltà pratica nella vita di Pietro e dei Dodici. È un passaggio che ci fa riflettere e meditare sulla nostra vita da cristiani, ovvero, ci interroga se siamo davvero credenti. Se la nostra vita è immersa e avvolta dalla logica del Vangelo, accade che ciò che sentiamo e viviamo nella preghiera si verifica nella nostra vita ordinaria. A questo punto potremmo chiederci quanto il Vangelo diventa davvero vivo nella nostra vita, quanto quello che il Signore dice nel segreto della preghiera e della meditazione si fa vita nelle nostre vite? Sembra quasi come se il “banco di prova” della nostra spiritualità sia la vita. Ed è così, il vero “banco di prova” della nostra adesione di fede in Gesù non è dato dalle nostre sensazioni emotive, ma dalla capacità con cui traduciamo le nostre emotività spirituali in atteggiamenti concreti nella vita di ogni giorno.
Preghiera:
Signore, la coerenza della vita cristiana è il dono più grande che ti possa fare! Sai bene quali sono le mie incoerenze e conosci tutte le mie difficoltà! Ma, con la fiducia di un figlio che sa di avere un padre come Te, ti chiedo il dono della coerenza, non con me stesso, ma con la tua Parola. Non con le logiche perbenistiche del mondo, ma con il tuo Vangelo. Signore, a un incoerente come me concedi il dono di un amore coerente: il Tuo.
Signore, la coerenza della vita cristiana è il dono più grande che ti possa fare! Sai bene quali sono le mie incoerenze e conosci tutte le mie difficoltà! Ma, con la fiducia di un figlio che sa di avere un padre come Te, ti chiedo il dono della coerenza, non con me stesso, ma con la tua Parola. Non con le logiche perbenistiche del mondo, ma con il tuo Vangelo. Signore, a un incoerente come me concedi il dono di un amore coerente: il Tuo.
Agire:
Assumere un impegno, uno ed uno solo, che sappiamo che ci costa fatica e che mette “a dura prova” la nostra coerenza, da verificare a termine della giornata.
Assumere un impegno, uno ed uno solo, che sappiamo che ci costa fatica e che mette “a dura prova” la nostra coerenza, da verificare a termine della giornata.
Meditazione del giorno a cura di S.E.R. Mons. Domenico Cornacchia, Vescovo di Lucera-Troia, tratta dal mensile Messa Meditazione, per gentile concessione di Edizioni ART.
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