La rinuncia di Ratzinger al di là degli equivoci
BENEDETTO XVI |
«Me l'ha detto Dio»: queste le parole attribuite a Benedetto XVI da una fonte anonima. Precisazioni su coscienza e mistica
GIANNI GENNARI
ROMA
“La fonte preferisce rimanere anonima…” Fa bene, perché o non è stata compresa, o non ha compreso bene quanto riferisce. Due giorni fa su molti giornali, un diluvio sulla “rivelazione” che il Papa emerito, Benedetto XVI, avrebbe fatto dicendo che le dimissioni gli sono state suggerite dalla voce di Dio… In pagina una epidemia di “me l’ha detto Dio”! Caspita! All’origine una nota di Zenit, datata 19 agosto, che riferisce la confidenza di una voce anonima, ma chi legge e conosce un po’ dei termini implicati, trova diffusa una serie di corti circuiti, logici, filosofici e soprattutto teologici da antologia, tra Dio, coscienza, mistica e altro…
La scelta di Joseph Ratzinger, motivata esplicitamente da lui fin dal primo momento, in quella mattina dell’11 febbraio, con la sensazione di stanchezza fisica e anche psichica, è stata una scelta di coscienza. Ora la parola coscienza, nel linguaggio cristiano e anche cattolico, un linguaggio certamente proprio di un Papa come Benedetto XVI, uomo, prete, teologo, vescovo, cardinale e vescovo di Roma, ha un significato preciso. Qui basterà ricordare, solo come esemplari, due fonti sicure.
La prima è il Concilio Vaticano II: “Nell'intimo della coscienza l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire e la cui voce, che lo chiama sempre ad amare e a fare il bene e a fuggire il male, quando occorre, chiaramente parla alle orecchie del cuore [...]. L'uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro al suo cuore [...]. La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimità propria”. Dunque la coscienza è il “luogo” nel quale risuona “la voce di Dio… nella sua intimità propria”.
Sono parole della “Gaudium et Spes”, al n. 16. Una scoperta rivoluzionaria del Concilio “progressista” e sovversivo che per certi nostalgici ha rovesciato i fondamenti della fede, ed ha fatto tremare fino ad oggi le schiere di conservatori tradizionalisti? No! È dottrina biblica e teologica consolidata. Basterà ricordare San Tommaso, la più grande sorgente non biblica della teologia cattolica, che nella sua Summa Theologiae ha consacrato lunghe pagine al valore della “coscienza”, e una “Questione” intera alla risposta a questa domanda: “Utrum oboediendum sit conscientiae vel praelato”, e cioè “se bisogna obbedire alla voce della propria coscienza o a quella dell’autorità ecclesiastica, quando questa è – o appare – in contrasto con essa, e la sua risposta è che sì: in ultima analisi anche dato il contrasto occorre ascoltare la coscienza, proprio perché in essa è la “voce di Dio” immediatamente percepibile nell’intimo di ogni uomo.
È quindi ovvio che Joseph Ratzinger abbia ascoltato la voce della sua coscienza sincera e fedele come voce di Dio, ma questo vale per ogni vera scelta importante della coscienza cristiana e cattolica, senza bisogno di evocare misticismi e visioni… Ed è il secondo equivoco presentato nella fonte anonima e nei resoconti che ne sono seguiti. La parola “mistica”, infatti, è stata come sempre intesa grossolanamente come misterioso intreccio di visioni ed estasi, assorbimento della creatura nell’ombra miracolosa del soprannaturale, e altre squisitezze del genere, mentre nel vocabolario della teologia cattolica autentica indica l’azione di Dio che prende l’iniziativa e pro-voca, cioè chiama in avanti, la sua creatura: tutta la vita cristiana, in senso stretto, è mistica, dal Battesimo in poi, e segna la presenza di Dio Trinità nella vita della creatura.
Nessun bisogno di misteriose voci o visioni, di rapimenti estatici o fantasie ultraterrene che spesso servono solo a giustificare la pretesa di attirare altri al proprio seguito, come se fosse automaticamente il seguito di Dio stesso. Benedetto XVI ha seguito la voce della sua coscienza, notoriamente e da sempre squisitamente informata e delicatamente capace di esprimersi e in quel mattino dell’11 febbraio, quando le sue parole latine hanno fatto piangere la bravissima collega dell’Ansa che “masticava” un po’ di ricordi classici, ha detto quello che pensava giusto dire.
È tuttavia verissimo dal 13 marzo ad oggi, che nella coscienza di Joseph Ratzinger c’era autenticamente la voce della volontà di Dio accolta da lui e manifestata a tutti noi in quella frase latina compresa dalla sconvolta collega. Dunque grazie a Dio per tutto, a Benedetto XVI per quel gesto e per la sua comunicazione, e allo Spirito Santo in particolare anche per ciò che è accaduto poi, dal 13 marzo ad oggi…Questo, qui, in coscienza personale, però: senza pretesa che si tratti anche della voce di Dio.
Infine lo scrittore-giornalista tedesco Peter Seewald, co-autore con Benedetto XVI di alcuni libri di grande notorieta' e successo editoriale, ha dichiarato:''Sono stupidaggini e invenzioni''.
Seewald, riporta 'Il Sismografo' (blog d'informazione religiosa), sottolinea che ''anche se tutti i media sono caduti in questa sciocchezza, conoscendo la migliore fonte, e cioe' Benedetto XVI (che ho incontrato recentemente), quando abbiamo parlato sulla sua rinuncia, in nessun momento si è espresso in questo senso''.
RATZINGER: “ME L’HA DETTO DIO!” |
Avevo ipotizzato, su queste colonne, il 3 maggio scorso, che nell’epocale rinuncia al papato di Benedetto XVI vi fosse un aspetto misterioso, anzi, forse addirittura mistico. Adesso filtrano voci che fanno trasparire proprio questa possibilità.
Prima di vedere queste testimonianze faccio un passo indietro. Come e perché avevo formulato quell’ipotesi?
Mi avevano colpito le poche – ma significative – espressioni con le quali Benedetto XVI aveva motivato il suo clamoroso gesto (in un certo senso) senza precedenti.
Nel suo ultimo Angelus da pontefice, il 24 febbraio 2013, prendendo spunto dal Vangelo di quella domenica, sulla Trasfigurazione, disse:
“Meditando questo brano del Vangelo, possiamo trarne un insegnamento molto importante. Innanzitutto, il primato della preghiera, senza la quale tutto l’impegno dell’apostolato e della carità si riduce ad attivismo… Inoltre, la preghiera non è un isolarsi dal mondo e dalle sue contraddizioni, come sul Tabor avrebbe voluto fare Pietro, ma l’orazione riconduce al cammino, all’azione. ‘L’esistenza cristiana – ho scritto nel Messaggio per questa Quaresima – consiste in un continuo salire il monte dell’incontro con Dio, per poi ridiscendere portando l’amore e la forza che ne derivano, in modo da servire i nostri fratelli e sorelle con lo stesso amore di Dio’ (n. 3)”.
Poi papa Benedetto proseguì così:
“Cari fratelli e sorelle, questa Parola di Dio la sento in modo particolare rivolta a me, in questo momento della mia vita. Il Signore mi chiama a ‘salire sul monte’, a dedicarmi ancora di più alla preghiera e alla meditazione. Ma questo non significa abbandonare la Chiesa, anzi, se Dio mi chiede questo è proprio perché io possa continuare a servirla con la stessa dedizione e lo stesso amore con cui ho cercato di farlo fino ad ora, ma in un modo più adatto alla mia età e alle mie forze. Invochiamo l’intercessione della Vergine Maria: lei ci aiuti tutti a seguire sempre il Signore Gesù, nella preghiera e nella carità operosa”.
Le espressioni usate da Benedetto furono davvero insolite: “in questo momento della mia vita il Signore mi chiama a ‘salire sul monte’ … Dio mi chiede questo”.
Sono frasi che tuttora colpiscono e fanno riflettere soprattutto perché Joseph Ratzinger è sempre stato un uomo di poche parole, che calibra molto attentamente ciò che dice e usa i termini religiosi con il consapevole rigore del grande teologo.
Dunque, mi dissi, come può aver usato per caso quelle espressioni? Come poteva affermare così perentoriamente “Dio mi chiede questo” se si fosse trattato solo di una sua decisione personale derivante da sue valutazioni?
Oltretutto in quel momento era il pontefice regnante e quello era il discorso attentamente preparato con cui voleva spiegare al popolo cristiano la sua rinuncia. Mi pareva impossibile che avesse alluso per caso, per due volte consecutive, a un’esplicita chiamata di Dio al ritiro come motivazione della sua scelta.
Io avevo dunque ipotizzato di prendere alla lettera quello che il Papa aveva detto. Ritenevo che, in qualche modo misterioso, Dio avesse veramente illuminato il pontefice su quella decisione (magari confermando una possibilità già seriamente considerata da Benedetto).
Ebbene, in queste ore è emerso qualcosa che porta proprio in questa direzione.
Infatti l’agenzia Zenit, che si occupa dei fatti della Chiesa ed è molto accreditata, riferisce ciò che ha saputo confidenzialmente dalle rarissime persone che, nelle ultime ore, hanno potuto far visita al papa emerito che ha deciso di stare “nascosto al mondo”.
“Qualcuno” scrive l’agenzia (nel servizio firmato da Salvatore Cernuzio) “ha avuto il privilegio di sentire dalle labbra del Papa emerito le motivazioni di questa scelta”.
Da questi resoconti sappiamo che Benedetto “osserva soddisfatto le meraviglie che lo Spirito Santo sta facendo con il suo Successore, oppure parla di sé, di come questa scelta di dimettersi sia stata un’ispirazione ricevuta da Dio.Così avrebbe detto Benedetto ad uno degli ospiti di questi rari incontri… ‘Me l’ha detto Dio’, è stata la risposta del Pontefice emerito alla domanda sul perché abbia rinunciato al Soglio di Pietro. Ha poi subito precisato che non si è trattato di alcun tipo di apparizione o fenomeno del genere; piuttosto è stata ‘un’esperienza mistica’ in cui il Signore ha fatto nascere nel suo cuore un ‘desiderio assoluto’ di restare solo a solo con Lui, raccolto nella preghiera”.
Non è dato sapere che tipo di “esperienza mistica” sia stata. Sembra si debbano escludere manifestazioni clamorose come delle apparizioni, ma – come sa chi conosce la letteratura mistica – sono tante le modalità con cui Dio si rivela e parla alle anime.
L’agenzia prosegue così:
“Lo stesso Ratzinger – ha rivelato la fonte che preferisce rimanere anonima – ha dichiarato che questa ‘esperienza mistica’ si è protratta lungo tutti questi mesi, aumentando sempre di più quell’anelito di un rapporto unico e diretto con il Signore. Inoltre, il Papa emerito ha rivelato che più osserva il ‘carisma’ di Francesco, più capisce quanto questa sua scelta sia stata ‘volontà di Dio’ ”.
Certo è che Benedetto e Francesco sono due straordinari uomini di Dio, dalla storia e dal temperamento diversissimo, ma con una cosa in comune, quella essenziale su cui si basa l’affetto e la stima reciproca: l’assoluta umiltà personale di fronte al primato di Dio che per loro è tutto.
Forse la Provvidenza, con quella rinuncia e questa convivenza di un papa emerito e un papa regnante, ha voluto indicare al mondo e alla Chiesa un grande segno di unità e comunione, un esempio straordinario di distacco dalle cose mondane (mentre tanti, anche ecclesiastici, appaiono bramosi di poltrone e potere). E ha voluto farci capire che nulla è più importante della preghiera e della contemplazione. Anche per cambiare la Chiesa e il mondo.
Va detto – a conclusione – che nel secolo XX non è affatto insolito che si sappia di “esperienze mistiche” di uomini che sono stati chiamati alla Cattedra di Pietro.
E’ notissima la “visione” sul futuro della Chiesa di Leone XIII, il papa della “Rerum novarum”, come pure quelle di Pio X (peraltro proclamato santo).
Egualmente note sono le esperienze mistiche di Pio XII. Io stesso infine – nel libro “I segreti di Karol Wojtyla” – ho raccolto la testimonianza che mi ha dato il cardinale Deskur, l’amico storico di Karol Wojtyla, sulle esperienze mistiche di quel papa polacco che ha segnato così profondamente la storia del XX secolo, dell’Europa e della nostra generazione.
Questi casi, che solitamente trapelano con gli anni, dovrebbero far capire che la Chiesa non è anzitutto un’entità sociologica, culturale o politica, ma un vero mistero. Essendo composta da uomini che hanno veramente fra loro, accanto a loro – in un modo misterioso – il Signore dell’universo e della storia.
Da “Libero”, 21 agosto 2013
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Le critiche dagli Usa a Papa Francesco perché non ha ancora
sostituito il Segretario di Stato
«Noi volevamo anche qualcuno con buone capacità manageriali e di leadership, e fino ad oggi questo si è visto poco...». Sono le parole su Papa Francesco pronunciate qualche settimana fa, durante la Giornata Mondiale della Gioventù a Rio de Janeiro, dal cardinale Timothy Dolan, arcivescovo di New York e «papabile» americano. La critica, neanche tanto velata, era contenuta in un'intervista concessa da Dolan a John Allen,messa online lo scorso 24 luglio
dal «National Catholic Register».
In sostanza, appena quattro mesi dopo il conclave che ha designato il Papa argentino venuto «dalla fine del mondo», uno dei protagonisti di quell'elezione mediaticamente più esposti dice che fino ad oggi Francesco non sarebbe stato sufficientemente «manager». In particolare, Dolan si riferiva alla mancata sostituzione del Segretario di Stato Tarcisio Bertone, il principale collaboratore di Benedetto XVI, nei cui confronti si sono addensate numerose critiche durante le discussioni del pre-conclave. «Mi aspetto che dopo la pausa estiva si concretizzi qualche segnale in più in merito al cambiamento della gestione», ha commentato il porporato statunitense dopo aver detto che si aspettava la sostituzione prima dell'estate, come peraltro da più parti erroneamente pronosticato.
Le parole di Dolan non hanno nulla a che vedere con altre dichiarazioni di esponenti di spicco della Chiesa a stelle e strisce, come ad esempio quelle dell'arcivescovo di Philadelphia, Charles Chaput, che intervistato sempre dal «National Catholic Register» aveva ammesso una certa insoddisfazione per l'elezione di Francesco da parte dell'«ala destra della Chiesa»: fenomeno peraltro ben constatabile dal punto di vista mediatico in molti siti e blog. Il cardinale di New York non si lamenta - come fanno altri ambienti conservatori o tradizionalisti - per qualche piccolo cambiamento liturgico, per lo stile più semplice o per la mancata pubblica ripetizione da parte del Pontefice delle già ben note posizioni della Chiesa su aborto, eutanasia e gay.
Dolan non nasconde invece la sua insoddisfazione per il fatto che Francesco, a suo dire, non si è ancora rivelato abbastanza «manager». Preoccupazione questa tipicamente americana.
Francesco allo scadere del primo mese di un pontificato iniziato ormai alla vigilia della Settimana Santa e dei suoi impegnativi riti, il 13 aprile, ha annunciato la costituzione di un gruppo di otto consiglieri chiamati ad aiutarlo a riformare la Curia ma anche a governare la Chiesa. Ha messo mano subito allo Ior, a motivo delle ben note e poco evangeliche vicende, nominando un prelato di sua fiducia e istituendo una commissione chiamata a riformare l'Istituto.
Ha avviato la riorganizzazione di tutte le strutture economico finanziarie della Santa Sede. Ha ricevuto e ascoltato tantissime persone, ha preso decisioni. Evidentemente Dolan, e forse non soltanto lui, si attendevano che qualche testa importante cadesse immediatamente, a partire da quella del cardinale Bertone, che all'inizio di dicembre compirà 79 anni.
Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI non cambiarono il Segretario di Stato «ereditato» dai rispettivi predecessori nelle settimane successive all'elezione. Attesero anni (sei Montini, più di uno Ratzinger) o mesi (il Segretario di Stato Jean Villot fu sostituito meno di cinque mesi dopo il conclave che elesse Wojtyla, ma perché morì). Papa Francesco si appresta a farlo «post aquas», vale a dire al termine della pausa estiva, che per lui ha continuato a essere un periodo di lavoro.
Nel libro di meditazioni «Mente abierta, corazón creyente», pubblicato nel 2012 (in Italia «Papa Francesco. Aprite la mente al vostro cuore», Rizzoli 2013), l'allora cardinale Bergoglio, parlando di Abramo e del «distacco da sé», affermava: «Mi preme ricordare a quei sacerdoti che, quando ottengono un posto direttivo, pensano subito a rimodernare l'ufficio, cambiare i segretari, mettere nuovi tappeti, appendere le tende e dotarsi di tutti gli apparecchi tipici di un ufficio: creano un loro ambiente su misura. Tutto ciò non può che generare conflitti...».
Forse queste parole dicono qualcosa sul metodo usato dal nuovo Papa, pronto a cambiare il volto della Curia romana nelle sue strutture e nei suoi uomini, a partire dalla carica di Segretario di Stato - che potrebbe peraltro essere ridimensionata dalle riforme in cantiere - ma senza prendere decisioni affrettate, tenendo sempre conto delle persone. Nel volo di ritorno da Rio de Janeiro, Francesco aveva detto ai giornalisti di apprezzare i collaboratori che gli dicono «Io non sono d'accordo, questo non lo vedo, non sono d’accordo: io lo dico, lei faccia», perché chi dice così «è un vero collaboratore». Al contrario di chi invece afferma sempre «Ah, che bello, che bello, che bello» ma poi dice «il contrario dall’altra parte».
Il pontificato di Benedetto XVI è stato oggettivamente condizionato - come mostrano gli ultimi otto anni - da collaboratori non sempre all'altezza del compito, si può comprendere che nella scelta dei più importanti uomini-chiave il suo successore proceda con la dovuta attenzione.
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