Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

mercoledì 28 agosto 2013

Santa Messa per l’apertura del 184° Capitolo generale ordinario dell’Ordine di Sant’Agostino (Agostiniani). Omelia del Papa

Omelia di Papa Francesco nella basilica di sant'Agostino in Campo Marzio


Santa Messa per l’apertura del 184° Capitolo generale ordinario dell’Ordine di Sant’Agostino (Agostiniani). Omelia del Papa (testo definitivo) ”L’inquietudine dell’amore spinge sempre ad andare incontro all’altro, senza aspettare che sia l’altro a manifestare il suo bisogno"
Sala stampa della Santa Sede
“Ci hai fatti per Te e inquieto è il nostro cuore finché non riposa in te” (Le Confessioni, I,1,1). Con queste parole, diventate celebri, sant’Agostino si rivolge a Dio nelle Confessioni, e in queste parole c’è la sintesi di tutta la sua vita.  “Inquietudine”. Questa parola mi colpisce e mi fa riflettere. Vorrei partire da una domanda: quale inquietudine fondamentale vive Agostino nella sua vita? O forse dovrei piuttosto dire: quali inquietudini ci invita a suscitare e a mantenere vive nella nostra vita questo grande uomo e santo? Ne propongo tre: l’inquietudine della ricerca spirituale, l’inquietudine dell’incontro con Dio, l’inquietudine dell’amore.
1. La prima: l’inquietudine della ricerca spirituale. Agostino vive un’esperienza abbastanza comune al giorno d’oggi: abbastanza comune tra i giovani d’oggi. Viene educato dalla mamma Monica nella fede cristiana, anche se non riceve il Battesimo, ma crescendo se ne allontana, non trova in essa la risposta alle sue domande, ai desideri del suo cuore, e viene attirato da altre proposte. Entra allora nel gruppo dei manichei, si dedica con impegno ai suoi studi, non rinuncia al divertimento spensierato, agli spettacoli del tempo, intense amicizie, conosce l’amore intenso e intraprende una brillante carriera di maestro di retorica che lo porta fino alla corte imperiale di Milano. Agostino è un uomo “arrivato”, ha tutto, ma nel suo cuore rimane l’inquietudine della ricerca del senso profondo della vita; il suo cuore non è addormentato, direi non è anestetizzato dal successo, dalle cose, dal potere. Agostino non si chiude in se stesso, non si adagia, continua a cercare la verità, il senso della vita, continua a cercare il volto di Dio. Certo commette errori, prende anche vie sbagliate, pecca, è un peccatore; ma non perde l’inquietudine della ricerca spirituale. E in questo modo scopre che Dio lo aspettava, anzi, che non aveva mai smesso di cercarlo per primo. Vorrei dire a chi si sente indifferente verso Dio, verso la fede, a chi è lontano da Dio o l’ha abbandonato, anche a noi, con le nostre “lontananze” e i nostri “abbandoni” verso Dio, piccoli, forse, ma ce ne sono tanti nella vita quotidiana: guarda nel profondo del tuo cuore, guarda nell’intimo di te stesso, e domandati: hai un cuore che desidera qualcosa di grande o un cuore addormentato dalle cose? Il tuo cuore ha conservato l’inquietudine della ricerca o l’hai lasciato soffocare dalle cose, che finiscono per atrofizzarlo? Dio ti attende, ti cerca: che cosa rispondi? Ti sei accorto di questa situazione della tua anima? Oppure dormi? Credi che Dio ti attende o per te questa verità sono soltanto “parole”?
2. In Agostino è proprio questa inquietudine del cuore che lo porta all’incontro personale con Cristo, lo porta a capire che quel Dio che cercava lontano da sé, è il Dio vicino ad ogni essere umano, il Dio vicino al nostro cuore, più intimo a noi di noi stessi (cfr ibid., III,6,11). Ma anche nella scoperta e nell’incontro con Dio, Agostino non si ferma, non si adagia, non si chiude in se stesso come chi è già arrivato, ma continua il cammino. L’inquietudine della ricerca della verità, della ricerca di Dio, diventa l’inquietudine di conoscerlo sempre di più e di uscire da se stesso per farlo conoscere agli altri. E’ proprio l’inquietudine dell’amore. Vorrebbe una vita tranquilla di studio e di preghiera, ma Dio lo chiama ad essere Pastore ad Ippona, in un momento difficile, con una comunità divisa e la guerra alle porte. E Agostino si lascia inquietare da Dio, non si stanca di annunciarlo, di evangelizzare con coraggio, senza timore, cerca di essere l’immagine di Gesù Buon Pastore che conosce le sue pecore (cfr Gv 10,14), anzi, come amo ripetere, che “sente l’odore del suo gregge”, ed esce a cercare quelle smarrite. Agostino vive quello che san Paolo indica a Timoteo e a ciascuno di noi: annuncia la parola, insisti al momento opportuno e non opportuno, annuncia il Vangelo con il cuore magnanimo, grande (cfr 2 Tm 4,2) di un Pastore che è inquieto per le sue pecore. Il tesoro di Agostino è proprio questo atteggiamento: uscire sempre verso Dio, uscire sempre verso il gregge… E’ un uomo in tensione, tra queste due uscite; non “privatizzare” l’amore… sempre in cammino! Sempre in cammino, diceva Padre, Lei. Sempre inquieto! E questa è la pace dell’inquietudine. Possiamo domandarci: sono inquieto per Dio, per annunciarlo, per farlo conoscere? O mi lascio affascinare da quella mondanità spirituale che spinge a fare tutto per amore di se stessi? Noi consacrati pensiamo agli interessi personali, al funzionalismo delle opere, al carrierismo. Mah, tante cose possiamo pensare… Mi sono per così dire “accomodato” nella mia vita cristiana, nella mia vita sacerdotale, nella mia vita religiosa, anche nella mia vita di comunità, o conservo la forza dell’inquietudine per Dio, per la sua Parola, che mi porta ad “andare fuori”, verso gli altri?

3. E veniamo all’ultima inquietudine, l’inquietudine dell’amore. Qui non posso non guardare alla mamma: questa Monica! Quante lacrime ha versato quella santa donna per la conversione del figlio! E quante mamme anche oggi versano lacrime perché i propri figli tornino a Cristo! Non perdete la speranza nella grazia di Dio! Nelle Confessioni leggiamo questa frase che un vescovo disse a santa Monica, la quale chiedeva di aiutare suo figlio a ritrovare la strada della fede: “Non è possibile che un figlio di tante lacrime perisca” (III,12,21). Lo stesso Agostino, dopo la conversione, rivolgendosi a Dio, scrive: “per amore mio piangeva innanzi a te mia madre, tutta fedele, versando più lacrime di quante ne versino mai le madri alla morte fisica dei figli” (ibid., III,11,19). Donna inquieta, questa donna, che, alla fine, dice quella bella parola: cumulatius hoc mihi Deus praestitit! [il mio Dio mi ha soddisfatta ampiamente] (ibid., IX,10,26). Quello per cui lei piangeva, Dio glielo aveva dato abbondantemente! E Agostino è erede di Monica, da lei riceve il seme dell’inquietudine. Ecco, allora, l’inquietudine dell’amore: cercare sempre, senza sosta, il bene dell’altro, della persona amata, con quella intensità che porta anche alle lacrime. Mi vengono in mente Gesù che piange davanti al sepolcro dell’amico Lazzaro, Pietro che, dopo aver rinnegato Gesù ne incontra lo sguardo ricco di misericordia e di amore e piange amaramente, il Padre che attende sulla terrazza il ritorno del figlio e quando è ancora lontano gli corre incontro; mi viene in mente la Vergine Maria che con amore segue il Figlio Gesù fino alla Croce. Come siamo con l’inquietudine dell’amore? Crediamo nell’amore a Dio e agli altri? O siamo nominalisti su questo? Non in modo astratto, non solo le parole, ma il fratello concreto che incontriamo, il fratello che ci sta accanto! Ci lasciamo inquietare dalle loro necessità o rimaniamo chiusi in noi stessi, nelle nostre comunità, che molte volte è per noi “comunità-comodità”? A volte si può vivere in un condominio senza conoscere chi ci vive accanto; oppure si può essere in comunità, senza conoscere veramente il proprio confratello: con dolore penso ai consacrati che non sono fecondi, che sono “zitelloni”. L’inquietudine dell’amore spinge sempre ad andare incontro all’altro, senza aspettare che sia l’altro a manifestare il suo bisogno. L’inquietudine dell’amore ci regala il dono della fecondità pastorale, e noi dobbiamo domandarci, ognuno di noi: come va la mia fecondità spirituale, la mia fecondità pastorale? Chiediamo al Signore per voi, cari Agostiniani, che iniziate il Capitolo Generale, e per noi tutti, che conservi nel nostro cuore l’inquietudine spirituale di ricercarlo sempre, l’inquietudine di annunciarlo con coraggio, l’inquietudine dell’amore verso ogni fratello e sorella. Così sia.

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Il priore generale Robert Francis Prevost sottolinea il significato della visita del Papa Agostiniani sulle frontiere della missione

(Nicola Gori) Ai 90 padri che si accingono a dare vita al 184° capitolo generale dell’ordine di Sant’Agostino si unisce questo pomeriggio un ospite di eccezione. Papa Francesco, infatti, celebra la messa con i capitolari alle 18 di mercoledì 28 agosto, nella basilica romana dei santi Trifone e Agostino in Campo Marzio. «Un gesto grande e generoso che sicuramente lascerà un segno in questi lavori» afferma il priore generale Robert Francis Prevost, che proprio in occasione del capitolo conclude il suo secondo mandato alla guida dell’ordine. Da sempre in prima linea in campo missionario, gli agostiniani attendono dal Pontefice conferme e indicazioni «per rinnovare la nostra vita — aggiunge padre Prevost in questa intervista al nostro giornale — ed essere più fedeli nella nostra risposta alla Chiesa e al popolo».
Papa Francesco celebra la messa in occasione dell’inizio del vostro capitolo generale ordinario. Che significato ha questo gesto?
Per noi si tratta di una vera e propria primizia: un Pontefice viene a celebrare l’Eucaristia in mezzo a noi. La sua presenza è un gesto grande e generoso, che sicuramente lascerà un segno in questi lavori capitolari. Confesso che siamo rimasti meravigliati quando, dopo aver domandato di essere ricevuti in udienza dal Santo Padre in occasione del nostro capitolo, abbiamo saputo addirittura che aveva deciso di celebrare la messa con noi nella chiesa di sant’Agostino, nel giorno della sua memoria liturgica. Con questa scelta il Pontefice ha voluto manifestare la sua vicinanza al nostro ordine e di questo evidentemente siamo molto grati. Ricordo che quando il cardinale Bergoglio veniva a Roma, si recava spesso nella chiesa di sant’Agostino, dove c’è la tomba di santa Monica. Come figli spirituali del grande vescovo di Ippona, siamo consapevoli che la presenza del Papa deve ricordarci anzitutto che essere agostiniani significa appartenere alla Chiesa. Noi abbiamo un legame molto speciale e grande con il Santo Padre, come dice il santo, perché siamo parte del corpo di Cristo. È ciò che caratterizza l’essere figli di sant’Agostino.
Su quali temi si concentrerà l’attenzione dei padri capitolari?
Il capitolo ha due aspetti molto importanti. Il primo è quello legato all’elezione del nuovo priore generale; l’altro, più sostanziale, riguarda l’elaborazione di un programma di lavoro destinato a orientare la vita dell’ordine per i prossimi sei anni, attraverso l’individuazione delle sfide che si pongono alla Chiesa e alla vita consacrata. La presenza del Pontefice in questo momento, in un anno veramente storico come quello che la Chiesa sta vivendo, è ricca di significato per noi e ha delle conseguenze pratiche. In primo luogo, ci richiama a vivere in questo mondo, con un’attenzione particolare al messaggio che Papa Francesco vuole trasmettere a tutta la Chiesa: vicinanza ai poveri, a quelli che soffrono, ai più bisognosi. Queste sono indicazioni che per noi religiosi, membri di un ordine mendicante, hanno un’importanza particolare. Dai gesti del Santo Padre, dalle parole delle sue omelie e dei suoi discorsi, capiamo che anche per noi agostiniani c’è una missione grande da intraprendere per rinnovare la nostra vita ed essere più fedeli nella nostra risposta alla Chiesa e al popolo.
Guardando al futuro, si possono già indicare prospettive e impegni alla luce di quanto emergerà nel capitolo generale?
La prima cosa da tener presente è sempre la necessità di un rinnovamento continuo della nostra vita di consacrati. Siamo chiamati ogni giorno a cercare le strade per essere fedeli ai consigli evangelici che abbiamo professato. Quanto alle diverse missioni che abbiamo come agostiniani, dobbiamo valutare quello che stiamo facendo a livello di educazione, ricerca, promozione culturale e missionaria, per capire se abbiamo la capacità di rispondere con generosità alle rinnovate sfide che la Chiesa deve affrontare, anche nell’ambito della nuova evangelizzazione.
Qual è il bilancio della sua esperienza di questi dodici anni trascorsi alla guida dell’ordine?
Sto terminando il mio secondo mandato e devo dire che è stata un’esperienza veramente ricca. Ringrazio tutti i confratelli per questi anni e per l’opportunità che ho avuto di servire l’ordine. Ho potuto vedere la Chiesa da vicino e toccare con mano la multiforme realtà dell’ordine agostiniano nei cinquanta Paesi di tutti i continenti dove siamo presenti. Ho visto i luoghi e ho sperimentato le situazioni in cui la Chiesa forse ha più difficoltà nel far sentire il suo messaggio agli uomini di oggi. Ma ho potuto constatare anche la vitalità di quelle zone missionarie in crescita, laddove la Chiesa sta facendo veramente un servizio molto grande. Aver avuto la possibilità di partecipare a tutte queste realtà è stato un grande dono; e, allo stesso tempo, credo di essere riuscito ad accompagnare e incoraggiare i miei confratelli, perché siano capaci di rispondere in modo sempre più efficace alle sfide del nostro mondo.

L'Osservatore Romano

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