Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

giovedì 27 marzo 2014

Alla vigilia delle canonizzazioni di Giovanni XXIII° e Giovanni Paolo II° .

Bontà e preghiera



Alla vigilia delle canonizzazioni del 27 aprile. 

(Giovanni Battista Re) Il 27 aprile di quest’anno saranno iscritte nell’albo dei santi due gigantesche figure di Papi: Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. Pontefici molto amati e popolari, che sono rimasti nel cuore della gente e che con la loro genialità operativa hanno aperto nuovi orizzonti al cammino della Chiesa e hanno inciso nella storia del mondo. Due Papi diversi per origine e per formazione, ma ambedue grandi per la nobiltà dell’animo, per la ricca umanità e per la straordinaria spiritualità e intelligenza.
Qual è il segreto dell’incontenibile simpatia che Papa Roncalli ha suscitato in uomini e donne di ogni nazione, di ogni condizione sociale e perfino di differente indirizzo religioso o politico? Il Papa nativo di Sotto il Monte ha affascinato grandi e piccoli con la sua straripante bontà, manifestata anche compiendo gesti di affetto spontaneo e toccante, come quando la sera dell’apertura del concilio disse alla gente in piazza Piazza_San_Pietro
di fare una carezza ai propri bambini, ritornando a casa, e di dire loro che era la «carezza del Papa». L’umanità ha sete di bontà, di amore, di calore umano e quando trova questi valori vissuti con l’intensità che fu propria di Papa Roncalli, l’ammirazione e la simpatia erompono spontanee.
La bontà con la quale john_xxiii
 ha conquistato il mondo è stata avvantaggiata da un carattere felice, sereno e ottimista quale era il suo, ma non si deve dimenticare che quel carattere era il risultato di un impegno e di uno sforzo continuo di virtù personale, attinta alla scuola del Vangelo. In altre parole, il suo modo di essere e di vivere era frutto di una profonda vita di preghiera e di sforzo ascetico di migliorare se stesso, appresi in famiglia nei primi anni e poi fatti maturare e crescere. Quando era nunzio in Bulgaria, scrisse ai suoi genitori: «Da quando sono uscito di casa, a poco più di 10 anni, ho letto molti libri ed ho imparato molte cose che voi non potevate insegnarmi. Ma quelle poche che ho appreso da voi sono ancora le più preziose e le più importanti e sorreggono e danno valore alle molte altre che appresi in seguito».
La bontà di Papa Roncalli ha poi avuto grande successo, perché era accompagnata da saggezza e da buon senso. È stata una bontà illuminata da una intelligenza che seppe sempre guardare lontano. Quando Roncalli divenne Papa, diede origine a iniziative che hanno commosso il mondo, prima fra tutte l’indizione del concilio. Egli cercò sempre di avere rapporti di cordiale amicizia anche con persone lontane dalla Chiesa e dalla fede cristiana. Nella sua vita fu certamente non un costruttore di muri, ma di ponti. Il concilio Vaticano II è in realtà un grande ponte da lui gettato verso il mondo moderno. Anche le sue due memorabili encicliche, Mater et magistra e Pacem in terris sono due specie di ponti verso tutti gli uomini di buona volontà sui temi dell’economia, del lavoro, della giustizia sociale e della pace. Con la sua bontà Roncalli — da nunzio apostolico, da patriarca di Venezia e poi da Papa — riuscì a risolvere molti problemi, perché la sua bontà apriva le porte al dialogo e questo aiutava a trovare le giuste soluzioni. Egli era convinto che, per quanto una persona umana fosse incline al male, permaneva in lei sempre un raggio di bontà e una componente di umanità. In ogni uomo e in ogni donna — diceva — vi è qualche cosa di buono, anche in coloro che sembrano i più cattivi. Per questo egli aveva fiducia non solo in Dio, ma anche negli uomini. 
Mentre la Chiesa proclama santo Papa Roncalli, dal cuore sgorga spontanea l’acclamazione: Onore e gloria a questo Papa che ha aperto il concilio; benedetto sia questo Papa che ha dato al mondo l’immagine della bontà e ha indicato a tutti che la sola strada che conduce a un futuro migliore è la via della verità, della giustizia, della solidarietà e dall’amore. Benedetto questo Papa che ha insegnato al mondo che l’umanità ha bisogno soprattutto di amore e di bontà.
Il mondo ha anche apprezzato la figura gigantesca di Papa Giovanni Paolo II soprattutto per quello che ha fatto nei 26 anni e mezzo di pontificato, perché questo era l’aspetto che più appariva. Tuttavia la dimensione dominante in lui è stata senza alcun dubbio la preghiera. La sua lunga vita fu una mirabile sintesi di preghiera e di azione, ma, nel suo animo e nella sua visione personale, la priorità l’aveva la preghiera. Fin dalla sua giovinezza Karol Wojtyła ha amato e privilegiato la preghiera; essa faceva parte della sua esistenza. Possiamo dire anzi che la preghiera è stata la vera sorgente del suo dinamismo e della sua instancabile attività apostolica; essa è stata anche la radice dell’efficacia della sua testimonianza. 
Lavorando vicino a Papa Giovanni Paolo II, molte erano le cose che colpivano. La sua sicurezza, innanzitutto: era un uomo di certezze. E poi la profondità del suo pensiero, la capacità di parlare alle folle, la facilità per le lingue, la prontezza di battuta adatta a quella situazione. Ma la cosa che mi ha sempre impressionato di più è stata l’intensità della sua preghiera, manifestazione di una profonda e vissuta unione con Dio. Colpiva come egli si immergeva nella preghiera: si notava in lui un trasporto che lo assorbiva come se non avesse avuto problemi e impegni urgenti a cui dedicarsi attivamente. Il suo atteggiamento nella preghiera era di profondo raccoglimento e, in pari tempo, di serena scioltezza: testimonianza, questa, di una comunione con Dio intensamente radicata nel suo animo, espressione di una preghiera convinta, gustata, vissuta. Vedendolo pregare quando era solo, si intuiva come l’unione con Dio era per lui il respiro dell’anima e la sorgente della sua dedizione. Commuoveva la facilità e la prontezza con le quali egli passava dal contatto umano con la gente al raccoglimento del colloquio intimo con Dio. Aveva una grande capacità di concentrazione. Quando era raccolto in preghiera, quello che succedeva attorno a lui sembrava non toccarlo e non riguardarlo, tanto si immergeva nell’incontro con Dio. Durante la giornata, il passaggio da un’occupazione all’altra era sempre segnato da una breve preghiera. Quando scriveva, con la sua minuta calligrafia, il testo in polacco dei suoi discorsi, delle sue omelie o dei documenti magisteriali, si apriva sempre con una breve invocazione o preghiera in latino, sulla destra del foglio, e ripresa poi nella pagina successiva. Ad esempio: Totus tuus ego sum e nel foglio seguente: et omnia mea tua sunt e così via negli altri fogli. Egli si preparava ai vari incontri della giornata o della settimana pregando. Qualche volta lo disse espressamente. Per esempio ricevendo Gorbaciov nel 1989, il Papa iniziò il colloquio confidando al suo interlocutore che si era preparato all’incontro pregando Dio per la sua persona e per l’incontro. 
Tutte le scelte importanti erano da lui maturate nella preghiera. Prima di ogni decisione significativa Giovanni Paolo II vi pregava sopra a lungo, per più giorni e, a volte, per più settimane. Più importante era la decisione, più prolungata era la preghiera. Nelle scelte di un certo peso non decideva mai su due piedi. Ai suoi interlocutori che gli chiedevano o proponevano qualcosa, rispondeva che desiderava riflettervi sopra prima di decidere. In realtà, guadagnava tempo per ascoltare qualche parere — aveva sempre molti contatti — ma soprattutto intendeva pregarci sopra e ottenere luce dall’alto prima di decidere. Ricordo più di un caso, negli anni in cui ero sostituto in Segreteria di Stato, in cui mi sembrò che il Papa fosse già chiaramente a favore di una determinata scelta. Gli chiesi pertanto se si poteva procedere a darne comunicazione. La risposta fu: «Aspettiamo, voglio ancora pregare un po’ per questa scelta prima di decidere definitivamente». Quando si stava studiando una questione e non si riusciva a trovare la soluzione, il Papa concludeva dicendo: «Dobbiamo pregare ancora perché il Signore ci venga in aiuto». Giovanni Paolo II si affidava alla preghiera per trovare chiarezza sulla strada da seguire. 
Due settimane dopo la sua elezione alla sede di Pietro, andò al santuario della Mentorella, a una sessantina di chilometri da Roma, e parlò della preghiera e affermò, fra l’altro, che il primo compito del Papa verso la Chiesa e verso il mondo era quello di pregare. Disse: «La preghiera (...) è il primo compito e quasi il primo annuncio del Papa, così come è la prima condizione del suo servizio nella Chiesa e nel mondo». Aggiunse, poi, che «la preghiera è la prima condizione della libertà dello spirito e pone l’uomo in rapporto col Dio vivente e perciò dà un senso a tutta la vita, in ogni momento, in ogni circostanza» (Omelia al santuario della Mentorella, «L’Osservatore Romano», 30-31 ottobre 1978, p. 2). 
La preghiera era in lui qualche cosa di spontaneo e, in pari tempo, era legata alle pratiche di pietà tradizionali, fra le quali l’ora di adorazione ogni giovedì, la via crucis che faceva ogni venerdì e il rosario quotidiano. L’Eucaristia, il crocifisso e la Madonna erano i tre centri della sua pietà. La messa era per lui la realtà più alta e più sacra: il cuore di ogni suo giorno. In un incontro con i sacerdoti nel 1995 disse: «La messa è in modo assoluto il centro della mia vita e di ogni mia giornata». Quando era in casa e l’orario gli permetteva di essere solo in cappella, mi è stato riferito che amava pregare anche prostrandosi disteso sul pavimento come nei giorni dell’ordinazione sacerdotale ed episcopale. Con quella posizione intendeva esprimere profonda adorazione e umile implorazione davanti all’infinita grandezza di Dio.
A proposito della via crucis che Giovanni Paolo II faceva ogni venerdì, il cardinale Innocenti mi ha raccontato il seguente episodio. Era nunzio a Madrid in occasione del primo viaggio in Spagna di Giovanni Paolo II. Il Papa, nel giovedì di quella settimana, aveva avuto una giornata intensissima, per cui arrivò a cena alle ore 21. Il programma dei giorno dopo prevedeva la prima colazione alle ore 6.30 e poi partenza per Siviglia alle ore 7. Il nunzio si svegliò presto il mattino, un po’ per la preoccupazione della visita pastorale del Papa, un po’ perché aveva ceduto il suo letto e la sua camera al Papa per cui aveva dormito in un letto piccolo sistemato in mansarda. E così alle 5 del mattino era già in piedi. Scese al primo piano alle 5.30 convinto che il Papa sarebbe sceso soltanto un’ora dopo. Notò però che nella chiesetta della nunziatura era accesa la luce. Pensò che la sera precedente ci si fosse dimenticati di spegnerla. Andò ad aprire la porta della chiesetta e con sorpresa vide il Papa inginocchiato per terra, davanti a una delle stazioni della via crucis. La giornata era piena di impegni pastorali a Siviglia e a Granada, ma il Papa era già in chiesa alle 5,30 del mattino per fare la via crucis. 
Ho accompagnato il Papa in Terra Santa nel 2000. Il venerdì di quella settimana, nel volo da Gerusalemme al lago di Tiberiade, il Papa, con in mano un libretto, fece la pratica della via crucis così come gli risultò possibile, in elicottero. Nel 2000 non aveva la salute di prima, altrimenti sicuramente l’avrebbe fatta di notte.
A proposito della preghiera di domanda, rispetto alla preghiera di adorazione, di ringraziamento e di richiesta di perdono, ho trovato interessante la risposta che Papa Giovanni Paolo II diede ad André Frossard durante alcuni colloqui che ebbe con lui a Castel Gandolfo nel 1982. Traduco letteralmente il paragrafo dal volume pubblicato da Frossard nel novembre del medesimo anno sotto il titolo N’ayez pas peur!: «Vi fu un tempo nella mia vita in cui mi sembrava che fosse conveniente limitare la preghiera di domanda (cioè la preghiera di intercessione a favore di una persona o di una situazione) per lasciare più spazio alla preghiera di adorazione, di lode e di ringraziamento, giudicandola più nobile. Questo tempo è passato. Più vado avanti nel cammino che la Provvidenza mi ha indicato, più sento fortemente in me il bisogno di ricorrere alla preghiera di domanda, e più il cerchio delle domande a Dio si allarga». 
Giovanni Paolo II con la sua preghiera abbracciava tutto il mondo e più volte ha parlato di «geografia della preghiera», confidando che, mentre pregava, faceva idealmente il giro del mondo soffermandosi sulle nazioni più oppresse o bisognose. La sua preghiera di intercessione a favore di persone e di situazioni aveva sempre un respiro universale. È fuori dubbio che Papa Giovanni Paolo II è stato un mistico. Un mistico però attento alle persone e alle situazioni. Un mistico che influì sul corso della storia; un Papa che il mondo ha stimato per l’incontenibile dinamismo, per i tanti gesti, le innumerevoli iniziative, i grandiosi viaggi e che ha ammirato per l’opera realizzata affinché il nostro mondo moderno aprisse le porte e il cuore a Cristo, redentore dell’uomo. Motivo ispiratore di tutta l’attività del Papa Giovanni Paolo II fu il desiderio di avvicinare gli uomini e le donne del nostro tempo a Dio e di fare entrare Dio in questo nostro mondo con piena cittadinanza.
L'Osservatore Romano

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