Non a caso infatti le parole di Gesù che annunciano per la Sua Sposa il centuplo già in questo mondo profetizzano, contemporaneamente, per essa le persecuzioni. La missione della Chiesa e di ogni suo membro consiste nell'essere un segno di contraddizione, una denuncia piena d'amore che, mostrando una vita diversa da quella mondana, ne attira, conseguentemente, le reazioni, anche le più violente. Il rifiuto di chi non accetta che vi sia la possibilità di una vita migliore, più autentica di quella che il mondo propone e che si possiede, e per la quale ci si sforza e si lotta. Il rigetto di chi si è fatto da solo, e i propri criteri ne sono il tesoro più geloso. Basta ricordare come, in una parabola, tra gli invitati al banchetto, vi siano anche quelli che non solo non accettano l'invito, ma uccidono gli inviati del Signore, segno di un'ira incontrollata che non può accettare un annuncio che sveli, in qualche modo, la propria pochezza, la propria incompiutezza. La Chiesa in fondo non "dialoga" mai, secondo l'idea di dialogo che circola di questi tempi, irrimediabilmente coniugata in relativismo. La Chiesa annuncia. E se annuncia una buona notizia, un banchetto, è perchè ha qualcosa da annunciare e offrire, qualcosa che gli altri non hanno. E questo, nella maggior parte dei casi, è inaccettabile. La Chiesa, per sua stessa essenza, è missionaria, è un segno, un sacramento di salvezza: “Noi esistiamo per mostrare Dio agli uomini. E solo laddove si vede Dio, comincia veramente la vita. Solo quando incontriamo in Cristo il Dio vivente, noi conosciamo che cosa è la vita… Non vi è niente di più bello che essere raggiunti, sorpresi dal Vangelo, da Cristo. Non vi è niente di più bello che conoscere Lui e comunicare agli altri l’amicizia con lui” (Benedetto XVI, Omelia all’inizio del ministero petrino, 24 aprile 2005)”. La Chiesa è il corpo di Cristo vittorioso sulla morte, il suo solo esistere sulla terra, il suo solo essere quello che è costituisce un annuncio: "Se sarete quello che dovete essere, voi incendierete il mondo" (S. Caterina da Siena). La Chiesa, come Cristo, ascolta il gemito, il dolore, e accoglie con misericordia; ma non può mettere in discussione se stessa, che è una cosa sola con quanto annuncia. La Chiesa non va nei salotti televisivi, non si fa irretire nella fiera delle opinioni. Basta leggere il Vangelo e osservare il Signore: ogni dialogo nascondeva insidie, quel suo "ma io vi dico" e quel "Amen, amen (autenticamente, con certezza) io vi dico" rivelavano un'autorità indiscutibile. Lui era, è la Verità. E la Chiesa non può annunciare qualcosa di diverso dalla Verità, l'unica.
Di conseguenza, come il suo Signore, per il solo fatto di essere qui ed ora nella storia, suscita contrasti, spesso violenti. Essi sono il segno dell'autenticità e del successo della sua missione. Perchè per la Chiesa il successo si misura con il rifiuto. Perchè se davvero l'annuncio del Vangelo è rifiutato, significa che ha colto nel segno, non ha lasciato indifferenti, come un amo si è conficcato nel cuore di chi lo ha udito, e la sua vita rimarrà per sempre legata a quel filo che lo conduce al pescatore, a Pietro, alla Chiesa, al cuore stesso di Cristo, pur restando libero di muoversi, scappare, allontanarsi e avventurarsi nel mare aperto dove cercare cibo e realizzazione. Quando il Signore vorrà darà il colpo decisivo - attraverso un problema, una sofferenza, la Croce che si fa evidente - e quell'uomo sarà tratto dall'acqua della morte per essere issato a bordo della barca che lo condurrà al porto della Vita. Sempre libero di divincolarsi sino in fondo, e, alla fine, spezzare quel filo. Alla Chiesa la missione di annunciare e prendere su di sè il rifiuto, il disprezzo, la stessa morte, per lasciare aperta la porta della Vita. Così Cristo ha salvato il mondo, così, attraverso il suo Corpo visibile, continua a farlo nel fluire della storia: "Come l’apostolo Paolo dimostrava l’autenticità del suo apostolato con le persecuzioni, le ferite e i tormenti subiti (cfr 2 Cor 6-7), così la persecuzione è prova anche dell’autenticità della nostra missione apostolica" (Benedetto XVI, Discorso all'Assemblea Generale delle Pontificie Opere Missionarie, 21 maggio 2010). L'orgoglio e la gelosia demoniache emergono con violenza all'apparire della Chiesa. Per questo le parole di Gesù sono anche per tutti noi una luce importantissima. Ci chiamano a conversione. Innanzi tutto ci scrutano perchè possiamo renderci conto, oggi, su che cosa stiamo fondando la nostra vita. Se, in noi, vi siano compromessi tra Gesù e il mondo. Le parole di Gesù illuminano il nostro modo di seguirlo. E poi, penetrando più a fondo, ci rivelano i nostri sentimenti più nascosti. Stiamo forse camminando nella Chiesa con qualche pretesa? Abbiamo sì lasciato tutto, come preti, suore, catechisti, famiglie missionarie, oppure aprendoci alla vita con il quarto, quinto, nono figlio, ma il cuore che cosa cerca davvero? Abbiamo fatto l'esperienza che essere cristiani, essere con Gesù, seguirlo nella Chiesa è stata ed è per noi una liberazione, una Grazia, un'elezione gratuita e meravigliosa, oppure, celata dietro ad un'apparenza di dedizione, vi è la mormorazione, l'attesa di una ricompensa, un'esigenza? Il cuore nostro è oggi colmo di gratitudine o no? Gesù è oggi la nostra ricompensa, quella che sazia di beni e di felicità la nostra vita oppure stiamo cercando qualcosa d'altro? Comunque stiano le cose accogliamo oggi le parole di Gesù come una Buona Notizia, come una parola capace di compiersi nella nostra vita, spezzando le catene che ancora ci fanno schiavi: la reputazione, l'onore, il denaro, la concupiscenza, i nostri progetti, i nostri criteri, i nostri ideali, e ciò che Papa Francesco chiama "il fascino del provvisorio": "Noi, ha osservato, siamo “innamorati del provvisorio”. Le “proposte definitive” che ci fa Gesù, “non ci piacciono”. Il provvisorio invece ci piace, perché “abbiamo paura del tempo di Dio” che è definitivo: Lui è il Signore del tempo, noi siamo i signori del momento. Perché? Perché nel momento siamo padroni: fino qui io seguo il Signore, poi vedrò…Ho sentito di uno che voleva diventare prete, ma per dieci anni, non di più… Quante coppie, quante coppie si sposano, senza dirlo, ma nel cuore: ‘fin che dura l’amore e poi vediamo…’ Il fascino del provvisorio: questa è una ricchezza. Mentre io penso a tanti, tanti uomini e donne che hanno lasciato la propria terra per andare come missionari per tutta la vita: quello è il definitivo!” (Papa Francesco, Omelia a Santa Marta, lunedì 27 maggio 2013). Siamo dunque chiamati a vivere l'unico "definitivo", l'amore incorruttibile di Dio rivelato in Cristo Gesù e paradossalmente incastonato come un diadema nella precarietà, nella debolezza, nell'autentica povertà di chi ha consegnato la propria volontà e tutti i suoi beni nelle mani di Colui che ne può fare una benedizione per il mondo intero. Abbandoniamoci all'amore di Dio, l'unico definitivo che, anche oggi, può colmare la nostra vita donandoci una famiglia meravigliosa, quella dei santi figli di Dio.
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