"Và, tuo figlio vive"
Essendo un allenamento a vivere bene, la Quaresima ci insegna l'atteggiamento adeguato da assumere dinanzi agli eventi che odorano di morte, come quello in cui si è imbattuto il "funzionario del re". In questo padre possiamo incontrarci tutti, protesi verso Cristo, cercando in Lui la salvezza. Anche in noi vibra questo tempo meraviglioso della Quaresima, il grembo dove la Chiesa gesta la gioia della Pasqua. Infatti, abbiamo anche noi un "figlio" che "sta per morire". E' a "Cafarnao", la Patria di Gesù, ma non sa dargli "onore". Non può riconoscerlo come "profeta". Siamo nella Chiesa, eppure proprio la prossimità con Gesù, con la sua Parola, con i sacramenti, con le attività della parrocchia, con le celebrazioni di gruppi e comunità, ci ha fatto scivolare in un rapporto superficiale e scontato con Lui. Siamo diventati professionisti del cristianesimo, pensieri e gesti partono in automatico, ma è pura ipocrisia. Ci siamo abituati al suo amore, non siamo più capaci di stupirci per le Grazie con le quali ci accompagna istante dopo istante. E non ci siamo accorti che il "figlio" di Dio che è in noi è malato. Non abbiamo saputo discernere i sintomi che si andavano manifestando: disattenzioni ai bisogni della moglie, piccoli egoismi nei confronti del marito, insofferenza crescente agli atteggiamenti lunatici dei figli, giudizi che covano da tempo, accidia nella preghiera, attaccamento al denaro, e quel sottile e pernicioso senso di frustrazione accolto e coccolato, sino a farci sentire incompresi dal mondo intero. Il demonio, subdolamente, si è infilato nei pertugi lasciati incustoditi e ci ha chiusi lentamente nella prigione dell'orgoglio. E ora è ira travolgente a ogni inconveniente, parole pesanti in risposta alle incomprensioni del coniuge, chiusura netta a ogni richiesta dei figli, avarizia nevrotica, pregiudizi sottili verso chiunque. Il "figlio" ha perso le sembianze del Padre, incapace di donarsi, di amare salendo sulla Croce che la storia ci presenta. Stiamo morendo. Ma Gesù, in questo tempo di Grazia, torna di nuovo" a "Cana di Galilea, dove aveva cambiato l'acqua in vino", scende ancora nella nostra vita per riaccendere la memoria degli inizi, quando abbiamo ascoltato e accolto la sua Parola e abbiamo sperimentato il suo potere. Torna per guarirci, compiendo in noi "quello che ha fatto a Gerusalemme", viene cioè a purificarci scacciando venditori e cambiavalute dal nostro cuore, per ricostruire in noi il suo Tempio. Viene per fare Pasqua con noi. La Chiesa ci annuncia oggi che Lui è qui, proprio dove lo abbiamo rifiutato. Accorriamo allora, a "chiedergli" di "scendere" nei nostri peccati. E' vero, per "credere" abbiamo ancora bisogno di "vedere segni e prodigi". Ma Gesù ci conosce, e, come già alle nozze, si lascia di nuovo strappare il suo potere, per condurre la nostra debolezza alla fede adulta. Per questo, con misericordia infinita, ci annuncia ancora la sua Parola, offrendoci un "secondo segno", una seconda possibilità di convertirci e credere. La Quaresima ci insegna a non tralasciare alcuna delle Parole che Dio ci dice attraverso i fatti della storia. A non abbassare la guardia e a vigilare su tutto il fronte, perché le malattie si possono prevenire, sottoponendo istante dopo istante cuore e mente alla Parola di Dio. Il demonio ci gira intorno per divorare il bambino appena nato, il figlio di Dio che si accinge ad amare, perdonare, scusare, pazientare. L'unica forma per assumere l'ora che ci è data è ascoltare e obbedire alla sua Parola che la Chiesa ci predica. E incamminarsi, come il "funzionario del re", per andare a sperimentare che è vera e compie esattamente ciò che annuncia. Vi è dunque un cammino in discesa da percorrere, la scala che conduce alle acque del battesimo; una notte da attraversare, e trepidazione, speranza, desiderio, stanchezza, scoramento per incontrare la luce della resurrezione, la vita nuova in Cristo. Un tempo, l'esistenza che ci è data, come quello nel quale Gesù aveva inviato quel padre. Questa giornata che si dischiude dinanzi ai nostri occhi, ci accoglie con le parole di Gesù: "Và, tuo figlio vive". Siamo chiamati ad entrarvi custodendo, come Maria, questa profezia, per riconoscere che "proprio nell'istante" in cui ci è stata annunciata e abbiamo obbedito, la Parola aveva giàoperato il prodigio: dove la carne aveva visto la morte, lo Spirito aveva già dischiuso la vita. Così Gesù guarisce il "figlio", insegnandoci, attraverso un serio cammino di fede, a vedere il suo amore operare nell'istante in cui la sua Parola è deposta, come il suo corpo nella tomba, nel matrimonio che credevamo fallito, nel lavoro senza senso, nell'amicizia tradita, in ogni nostro peccato. La fede adulta che vince il mondo e accompagna ad essa anche la nostra "famiglia", è quella che spera contro ogni speranza. Accogliamo questo Vangelo, per guarire il "figlio" che è in noi, ma anche i nostri "figli" nella carne, perché la loro fede dipende dalla nostra conversione, non dai moralismi imbastiti dalle chiacchiere che gli propiniamo ogni giorno. La fede che illumina la ragione, altro che salto nel buio. La fede che si sperimenta empiricamente, orologio alla mano, perché Dio è puntuale, si è fatto carne per dare alla carne "segni" da ascoltare, vedere e toccare, vita autentica nella morte altrettanto vera.
Essendo un allenamento a vivere bene, la Quaresima ci insegna l'atteggiamento adeguato da assumere dinanzi agli eventi che odorano di morte, come quello in cui si è imbattuto il "funzionario del re". In questo padre possiamo incontrarci tutti, protesi verso Cristo, cercando in Lui la salvezza. Anche in noi vibra questo tempo meraviglioso della Quaresima, il grembo dove la Chiesa gesta la gioia della Pasqua. Infatti, abbiamo anche noi un "figlio" che "sta per morire". E' a "Cafarnao", la Patria di Gesù, ma non sa dargli "onore". Non può riconoscerlo come "profeta". Siamo nella Chiesa, eppure proprio la prossimità con Gesù, con la sua Parola, con i sacramenti, con le attività della parrocchia, con le celebrazioni di gruppi e comunità, ci ha fatto scivolare in un rapporto superficiale e scontato con Lui. Siamo diventati professionisti del cristianesimo, pensieri e gesti partono in automatico, ma è pura ipocrisia. Ci siamo abituati al suo amore, non siamo più capaci di stupirci per le Grazie con le quali ci accompagna istante dopo istante. E non ci siamo accorti che il "figlio" di Dio che è in noi è malato. Non abbiamo saputo discernere i sintomi che si andavano manifestando: disattenzioni ai bisogni della moglie, piccoli egoismi nei confronti del marito, insofferenza crescente agli atteggiamenti lunatici dei figli, giudizi che covano da tempo, accidia nella preghiera, attaccamento al denaro, e quel sottile e pernicioso senso di frustrazione accolto e coccolato, sino a farci sentire incompresi dal mondo intero. Il demonio, subdolamente, si è infilato nei pertugi lasciati incustoditi e ci ha chiusi lentamente nella prigione dell'orgoglio. E ora è ira travolgente a ogni inconveniente, parole pesanti in risposta alle incomprensioni del coniuge, chiusura netta a ogni richiesta dei figli, avarizia nevrotica, pregiudizi sottili verso chiunque. Il "figlio" ha perso le sembianze del Padre, incapace di donarsi, di amare salendo sulla Croce che la storia ci presenta. Stiamo morendo. Ma Gesù, in questo tempo di Grazia, torna di nuovo" a "Cana di Galilea, dove aveva cambiato l'acqua in vino", scende ancora nella nostra vita per riaccendere la memoria degli inizi, quando abbiamo ascoltato e accolto la sua Parola e abbiamo sperimentato il suo potere. Torna per guarirci, compiendo in noi "quello che ha fatto a Gerusalemme", viene cioè a purificarci scacciando venditori e cambiavalute dal nostro cuore, per ricostruire in noi il suo Tempio. Viene per fare Pasqua con noi. La Chiesa ci annuncia oggi che Lui è qui, proprio dove lo abbiamo rifiutato. Accorriamo allora, a "chiedergli" di "scendere" nei nostri peccati. E' vero, per "credere" abbiamo ancora bisogno di "vedere segni e prodigi". Ma Gesù ci conosce, e, come già alle nozze, si lascia di nuovo strappare il suo potere, per condurre la nostra debolezza alla fede adulta. Per questo, con misericordia infinita, ci annuncia ancora la sua Parola, offrendoci un "secondo segno", una seconda possibilità di convertirci e credere. La Quaresima ci insegna a non tralasciare alcuna delle Parole che Dio ci dice attraverso i fatti della storia. A non abbassare la guardia e a vigilare su tutto il fronte, perché le malattie si possono prevenire, sottoponendo istante dopo istante cuore e mente alla Parola di Dio. Il demonio ci gira intorno per divorare il bambino appena nato, il figlio di Dio che si accinge ad amare, perdonare, scusare, pazientare. L'unica forma per assumere l'ora che ci è data è ascoltare e obbedire alla sua Parola che la Chiesa ci predica. E incamminarsi, come il "funzionario del re", per andare a sperimentare che è vera e compie esattamente ciò che annuncia. Vi è dunque un cammino in discesa da percorrere, la scala che conduce alle acque del battesimo; una notte da attraversare, e trepidazione, speranza, desiderio, stanchezza, scoramento per incontrare la luce della resurrezione, la vita nuova in Cristo. Un tempo, l'esistenza che ci è data, come quello nel quale Gesù aveva inviato quel padre. Questa giornata che si dischiude dinanzi ai nostri occhi, ci accoglie con le parole di Gesù: "Và, tuo figlio vive". Siamo chiamati ad entrarvi custodendo, come Maria, questa profezia, per riconoscere che "proprio nell'istante" in cui ci è stata annunciata e abbiamo obbedito, la Parola aveva giàoperato il prodigio: dove la carne aveva visto la morte, lo Spirito aveva già dischiuso la vita. Così Gesù guarisce il "figlio", insegnandoci, attraverso un serio cammino di fede, a vedere il suo amore operare nell'istante in cui la sua Parola è deposta, come il suo corpo nella tomba, nel matrimonio che credevamo fallito, nel lavoro senza senso, nell'amicizia tradita, in ogni nostro peccato. La fede adulta che vince il mondo e accompagna ad essa anche la nostra "famiglia", è quella che spera contro ogni speranza. Accogliamo questo Vangelo, per guarire il "figlio" che è in noi, ma anche i nostri "figli" nella carne, perché la loro fede dipende dalla nostra conversione, non dai moralismi imbastiti dalle chiacchiere che gli propiniamo ogni giorno. La fede che illumina la ragione, altro che salto nel buio. La fede che si sperimenta empiricamente, orologio alla mano, perché Dio è puntuale, si è fatto carne per dare alla carne "segni" da ascoltare, vedere e toccare, vita autentica nella morte altrettanto vera.
Lunedì della IV settimana del Tempo di Quaresima
La Parola di Dio ci spinge a cambiare
il nostro concetto di realismo:
realista è chi riconosce nel Verbo di Dio
Benedetto XVI
Dal Vangelo secondo Giovanni, 4,43-54
In quel tempo, Gesù partì dalla Samaria per andare in Galilea. Ma egli stesso aveva dichiarato che un profeta non riceve onore nella sua patria. Quando però giunse in Galilea, i Galilei lo accolsero con gioia, poiché avevano visto tutto quello che aveva fatto a Gerusalemme durante la festa; anch’essi infatti erano andati alla festa.
Andò dunque di nuovo a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l’acqua in vino. Vi era un funzionario del re, che aveva un figlio malato a Cafarnao. Costui, udito che Gesù era venuto dalla Giudea in Galilea, si recò da lui e lo pregò di scendere a guarire suo figlio poiché stava per morire. Gesù gli disse: “Se non vedete segni e prodigi, voi non credete”. Ma il funzionario del re insistette: “Signore, scendi prima che il mio bambino muoia”. Gesù gli risponde: “Va’, tuo figlio vive”. Quell’uomo credette alla parola che gli aveva detto Gesù e si mise in cammino. Proprio mentre scendeva, gli vennero incontro i servi a dirgli: “Tuo figlio vive!”. S’informò poi a che ora avesse cominciato a star meglio. Gli dissero: “Ieri, un’ora dopo mezzogiorno la febbre lo ha lasciato”. Il padre riconobbe che proprio in quell’ora Gesù gli aveva detto: “Tuo figlio vive”, e credette lui con tutta la sua famiglia.
Questo fu il secondo miracolo che Gesù fece tornando dalla Giudea in Galilea.
Il commento
Il miracolo è già compiuto nella Parola. L'annuncio del Vangelo dice di un fatto che si compie nello stesso istante in cui è annunciato. Come fu per la notte della creazione. Come fu per Abramo, per Mosè ed il popolo in Egitto. Come fu per la Vergine Maria quando udì le parole dell'angelo. Come per i discepoli sulle rive di Cafarnao e del Giordano. Come per il figlio del centurione: “Accade un fatto imprevedibile e incredibile, eppure reale: nello spessore della vita, in cui l’impotenza e la rassegnazione sembrano inevitabili, c’è una presenza che cambia i termini della questione. Li cambia oggettivamente per una pretesa che pone” (L. Negri, Essere prete oggi). La pretesa di essere vera. Reale. La pretesa di avere un’autenticità e un potere unici. Una pretesa che si può “verificare”. La fede è questa verifica, un cammino nella storia reale dove si realizza la Parola, ed in essa tutto ciò che "pretende". La fede è un cammino al vero appoggiato a una parola, spesso assurda e in contrasto con l'evidenza. L'annuncio svela sempre un impossibile che si fa possibile, un figlio nato da una carne sterile, il concepimento in un seno vergine, la guarigione di chi è ormai senza speranza, il perdono dei peccati e la possibilità reale d’una vita nuova nella sequela del Signore. Nell'annuncio del Vangelo appare sempre la vita trionfante sulla morte. Ascoltare e credere è andare a vedere il prodigio operato dalla Parola. Verificarlo. Abramo esce dalla sua terra e spera contro ogni speranza. Mosè lancia il popolo nel mare, Maria corre da Elisabetta, i discepoli lasciano tutto e seguono il Signore, il centurione va abbrancato ad una Parola, e "scende" da suo figlio. Vi è dunque un cammino in discesa da percorrere, la scala che conduce alle acque del battesimo; una notte da attraversare, e trepidazione, speranza, desiderio, stanchezza, scoramento per incontrare la luce della resurrezione, la vita nuova in Cristo. E un tempo, l'esistenza che ci è data, come quello nel quale Gesù aveva inviato il centurione. Un tempo, questa giornata che si dischiude dinanzi ai nostri occhi. E le sue orme, le parole che ci dice nella Sua Parola, proclamata, ascoltata, meditata, pregata.
Un crinale che lambisce li morte si spalanca ogni giorno davanti a noi, la reale situazione di preoccupazione, di precarietà, di solitudine, di angoscia: quel letto d’ospedale, quelle analisi, quel fidanzato che se n’è andato, quel figlio che sembra perduto, quel lavoro stressante, il combattimento per difendere la castità nel fidanzamento prima e nel matrimonio poi, il timore nell'aprirsi alla vita dopo cinque parti cesarei, le angherie sul lavoro, la fatica dei pomeriggi sui libri mentre fuori sboccia la primavera. E l'unica forma per assumere l'ora che ci è data, scendere nella realtà, che è obbedire e ascoltare, che è libertà sciolta dalla sua Parola che scende con noi. Anche quando essa non si ode più: "È senza parola la Parola del Padre, che ha fatto ogni creatura che parla; senza vita sono gli occhi spenti di colui alla cui parola e al cui cenno si muove tutto ciò che ha vita" (Massimo il Confessore, La vita di Maria, n.89). È quando il Signore ci chiama ad entrare nella notte oscura della vita come Gesù è entrato nel Sabato santo, per sperimentare il potere straordinario della Parola che si è fatta silenzio per dare una Parola di vita al silenzio delle speranze umane: "Il mistero più oscuro della fede è nello stesso tempo il segno più chiaro di una speranza che non ha confini. Solo attraverso il silenzio di morte del Sabato santo, i discepoli poterono essere portati alla comprensione di ciò che era veramente Gesù. Dio doveva morire per essi perché potesse realmente vivere in essi. Noi abbiamo bisogno del silenzio di Dio per sperimentare nuovamente l’abisso della sua grandezza e l’abisso del nostro nulla che verrebbe a spalancarsi se non ci fosse lui... C’è un’angoscia che non può essere superata mediante la ragione, ma solo con la presenza di una persona che ci ama. La solitudine insuperabile dell’uomo è stata superata dal momento che Egli si è trovato in essa. A partire dal momento in cui nello spazio della morte si dà la presenza dell’amore, allora nella morte penetra la vita"" (J. Ratzinger, Meditazione sul sabato santo). Sì, l'odore di morte, la sofferenza, le delusioni, non ci sono estranee. Questa nostra vita scorre in una "valle di lacrime", ed è inutile ogni alienazione. Eppure a ogni lacrima è data una Parola. Tutte sono raccolte nelle sue mani, e in ciascuna vi è deposto un seme di vita. Anche laddove sembra impossibile. Siamo chiamati a scendere oggi e ogni giorno dove Lui è già sceso, per sperimentare che il sepolcro invece della morte ci consegna la vita: "Cristo ha oltrepassato la porta della solitudine, è disceso nel fondo irraggiungibile e insuperabile della nostra condizione di solitudine. Nella notte estrema nella quale non penetra alcuna parola, nella quale noi tutti siamo come bambini cacciati via, piangenti, si dà una voce che ci chiama, una mano che ci prende e ci conduce" (J. Ratzinger,ibid.). Scendere e riconoscere che "proprio nell'istante" in cui ci era stato annunciata la parola e avevamo ascoltato l'invito a scendere nella storia di dolore e morte che ci attendeva, in quel momento la Parola aveva già operato il prodigio: dove la carne aveva visto la morte, lo Spirito aveva dischiuso la vita. Il matrimonio che credevamo fallito, il lavoro senza senso, l'amicizia tradita, la malattia gravida di morte, in tutto ci è dato di verificare il potere della Parola predicata dalla Chiesa.
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Silvano Fausti. VA', IL TUO FIGLIO VIVE!
Dal Vangelo secondo Giovanni, 4,43-54
In quel tempo, Gesù partì dalla Samaria per andare in Galilea. Ma egli stesso aveva dichiarato che un profeta non riceve onore nella sua patria. Quando però giunse in Galilea, i Galilei lo accolsero con gioia, poiché avevano visto tutto quello che aveva fatto a Gerusalemme durante la festa; anch’essi infatti erano andati alla festa.
Andò dunque di nuovo a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l’acqua in vino. Vi era un funzionario del re, che aveva un figlio malato a Cafarnao. Costui, udito che Gesù era venuto dalla Giudea in Galilea, si recò da lui e lo pregò di scendere a guarire suo figlio poiché stava per morire. Gesù gli disse: “Se non vedete segni e prodigi, voi non credete”. Ma il funzionario del re insistette: “Signore, scendi prima che il mio bambino muoia”. Gesù gli risponde: “Va’, tuo figlio vive”. Quell’uomo credette alla parola che gli aveva detto Gesù e si mise in cammino. Proprio mentre scendeva, gli vennero incontro i servi a dirgli: “Tuo figlio vive!”. S’informò poi a che ora avesse cominciato a star meglio. Gli dissero: “Ieri, un’ora dopo mezzogiorno la febbre lo ha lasciato”. Il padre riconobbe che proprio in quell’ora Gesù gli aveva detto: “Tuo figlio vive”, e credette lui con tutta la sua famiglia.
Questo fu il secondo miracolo che Gesù fece tornando dalla Giudea in Galilea.
Il commento
Il miracolo è già compiuto nella Parola. L'annuncio del Vangelo dice di un fatto che si compie nello stesso istante in cui è annunciato. Come fu per la notte della creazione. Come fu per Abramo, per Mosè ed il popolo in Egitto. Come fu per la Vergine Maria quando udì le parole dell'angelo. Come per i discepoli sulle rive di Cafarnao e del Giordano. Come per il figlio del centurione: “Accade un fatto imprevedibile e incredibile, eppure reale: nello spessore della vita, in cui l’impotenza e la rassegnazione sembrano inevitabili, c’è una presenza che cambia i termini della questione. Li cambia oggettivamente per una pretesa che pone” (L. Negri, Essere prete oggi). La pretesa di essere vera. Reale. La pretesa di avere un’autenticità e un potere unici. Una pretesa che si può “verificare”. La fede è questa verifica, un cammino nella storia reale dove si realizza la Parola, ed in essa tutto ciò che "pretende". La fede è un cammino al vero appoggiato a una parola, spesso assurda e in contrasto con l'evidenza. L'annuncio svela sempre un impossibile che si fa possibile, un figlio nato da una carne sterile, il concepimento in un seno vergine, la guarigione di chi è ormai senza speranza, il perdono dei peccati e la possibilità reale d’una vita nuova nella sequela del Signore. Nell'annuncio del Vangelo appare sempre la vita trionfante sulla morte. Ascoltare e credere è andare a vedere il prodigio operato dalla Parola. Verificarlo. Abramo esce dalla sua terra e spera contro ogni speranza. Mosè lancia il popolo nel mare, Maria corre da Elisabetta, i discepoli lasciano tutto e seguono il Signore, il centurione va abbrancato ad una Parola, e "scende" da suo figlio. Vi è dunque un cammino in discesa da percorrere, la scala che conduce alle acque del battesimo; una notte da attraversare, e trepidazione, speranza, desiderio, stanchezza, scoramento per incontrare la luce della resurrezione, la vita nuova in Cristo. E un tempo, l'esistenza che ci è data, come quello nel quale Gesù aveva inviato il centurione. Un tempo, questa giornata che si dischiude dinanzi ai nostri occhi. E le sue orme, le parole che ci dice nella Sua Parola, proclamata, ascoltata, meditata, pregata.
Un crinale che lambisce li morte si spalanca ogni giorno davanti a noi, la reale situazione di preoccupazione, di precarietà, di solitudine, di angoscia: quel letto d’ospedale, quelle analisi, quel fidanzato che se n’è andato, quel figlio che sembra perduto, quel lavoro stressante, il combattimento per difendere la castità nel fidanzamento prima e nel matrimonio poi, il timore nell'aprirsi alla vita dopo cinque parti cesarei, le angherie sul lavoro, la fatica dei pomeriggi sui libri mentre fuori sboccia la primavera. E l'unica forma per assumere l'ora che ci è data, scendere nella realtà, che è obbedire e ascoltare, che è libertà sciolta dalla sua Parola che scende con noi. Anche quando essa non si ode più: "È senza parola la Parola del Padre, che ha fatto ogni creatura che parla; senza vita sono gli occhi spenti di colui alla cui parola e al cui cenno si muove tutto ciò che ha vita" (Massimo il Confessore, La vita di Maria, n.89). È quando il Signore ci chiama ad entrare nella notte oscura della vita come Gesù è entrato nel Sabato santo, per sperimentare il potere straordinario della Parola che si è fatta silenzio per dare una Parola di vita al silenzio delle speranze umane: "Il mistero più oscuro della fede è nello stesso tempo il segno più chiaro di una speranza che non ha confini. Solo attraverso il silenzio di morte del Sabato santo, i discepoli poterono essere portati alla comprensione di ciò che era veramente Gesù. Dio doveva morire per essi perché potesse realmente vivere in essi. Noi abbiamo bisogno del silenzio di Dio per sperimentare nuovamente l’abisso della sua grandezza e l’abisso del nostro nulla che verrebbe a spalancarsi se non ci fosse lui... C’è un’angoscia che non può essere superata mediante la ragione, ma solo con la presenza di una persona che ci ama. La solitudine insuperabile dell’uomo è stata superata dal momento che Egli si è trovato in essa. A partire dal momento in cui nello spazio della morte si dà la presenza dell’amore, allora nella morte penetra la vita"" (J. Ratzinger, Meditazione sul sabato santo). Sì, l'odore di morte, la sofferenza, le delusioni, non ci sono estranee. Questa nostra vita scorre in una "valle di lacrime", ed è inutile ogni alienazione. Eppure a ogni lacrima è data una Parola. Tutte sono raccolte nelle sue mani, e in ciascuna vi è deposto un seme di vita. Anche laddove sembra impossibile. Siamo chiamati a scendere oggi e ogni giorno dove Lui è già sceso, per sperimentare che il sepolcro invece della morte ci consegna la vita: "Cristo ha oltrepassato la porta della solitudine, è disceso nel fondo irraggiungibile e insuperabile della nostra condizione di solitudine. Nella notte estrema nella quale non penetra alcuna parola, nella quale noi tutti siamo come bambini cacciati via, piangenti, si dà una voce che ci chiama, una mano che ci prende e ci conduce" (J. Ratzinger,ibid.). Scendere e riconoscere che "proprio nell'istante" in cui ci era stato annunciata la parola e avevamo ascoltato l'invito a scendere nella storia di dolore e morte che ci attendeva, in quel momento la Parola aveva già operato il prodigio: dove la carne aveva visto la morte, lo Spirito aveva dischiuso la vita. Il matrimonio che credevamo fallito, il lavoro senza senso, l'amicizia tradita, la malattia gravida di morte, in tutto ci è dato di verificare il potere della Parola predicata dalla Chiesa.
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