Santa Maria,

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venerdì 5 giugno 2015

Etty Hillesum & Dietrich Bonhoeffer


Etty Hillesum
“Quella parte di me,
la più profonda
e la più ricca
in cui riposo,
è ciò che io chiamo Dio”


Nata nel 1914 in Olanda da una famiglia della borghesia intellettuale ebraica, Etty Hillesum muore ad Auschwitz nel novembre del 1943.
Ragazza brillante, intensa, con la passione della letteratura e della filosofia, si laurea in giurisprudenza e si iscrive quindi alla facoltà di lingue slave; quando intraprende lo studio della psicologia, divampa la seconda guerra mondiale e con essa la persecuzione del popolo ebraico.
Durante gli ultimi due anni della sua vita, scrive un diario personale: undici quaderni fittamente ricoperti da una scrittura minuta e quasi indecifrabile, che abbracciano tutto il 1941 e il 1942, anni di guerra e di oppressione per l’Olanda, ma per Etty un periodo di crescita e, paradossalmente, di liberazione individuale.
Sotto l’aspetto vivace e spontaneo, Etty è profondamente infelice: in preda a sfibranti malesseri fisici, scopre a poco a poco che questi sono in relazione con tensioni di ordine spirituale.
Forse anche a seguito di carenze educative e vuoti affettivi dovuti al burrascoso matrimonio dei suoi genitori, in quel periodo Etty vive relazioni sentimentali complicate, che la lasciano “lacerata interiormente e mortalmente infelice”.
Dopo tanti errori, finalmente l’incontro decisivo con uno psicologo ebreo tedesco, Spier, molti anni più anziano di lei, che si rivela ben più di un terapeuta: attraverso le contraddizioni di una relazione complessa, inizialmente anche ambigua, egli la guida in un percorso di realizzazione umana e spirituale. L’aiuta a conoscere e ad amare la Bibbia, le insegna a pregare, le fa conoscere S. Agostino ed altri autori fondamentali della tradizione cristiana: sarà per Etty un mediatore fra lei e Dio.
Seguendo quindi un proprio itinerario, Etty matura una sensibilità religiosa che da’ ai suoi scritti una grande dimensione spirituale.
La parola “Dio” compare anche nelle prime pagine del diario, usata però quasi inconsapevolmente, come spesso accade nel linguaggio quotidiano. A poco a poco però Etty va verso un dialogo molto più intenso con il divino, che percepisce intimo a se stessa: “Quella parte di me, la più profonda e la più ricca in cui riposo, è ciò che io chiamo Dio”.
Ormai libera dagli errori del passato, si avvia sulla strada del dono di sé a Dio ed ai fratelli, nel suo caso il popolo ebraico, la cui sorte sceglie di condividere pienamente.
Nel 1942, lavorando come dattilografa presso una sezione del Consiglio Ebraico, avrebbe la possibilità di aver salva la vita, invece sceglie di non sottrarsi al destino del suo popolo e nella prima grande retata ad Amsterdam si avvia al campo di sterminio con gli altri ebrei prigionieri: è infatti convinta che l’unico modo per render giustizia alla vita sia quello di non abbandonare delle persone in pericolo e di usare la propria forza interiore per portare luce nella vita altrui.
I sopravvissuti del campo hanno confermato che Etty fu fino all’ultimo una persona “luminosa”.
Al momento della sua partenza definitiva per il campo di sterminio Etty, che presagisce la fine, chiede ad un’amica olandese di nascondere i suoi quaderni e di farli avere ad uno scrittore di sua conoscenza, a guerra finita.
I manoscritti, così difficili da decifrare a causa della grafia, passano così per anni da un editore all’altro, senza che nessuno ne intuisca l’importanza, fino a che nel 1981 giungono nelle mani dell’editore De Haan che, pubblicandoli, finalmente riporta alla luce la storia di Etty Hillesum, permettendo così ai lettori di tutto il mondo di conoscere la ricchezza di un’esperienza interiore che, anche di fronte alla sofferenza estrema, sa lodare la vita e viverla con pienezza di senso.

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giovani e missione




Dietrich Bonhoeffer
Nato a Breslavia (Germania) nel 1906 con la sorella gemella Sabine, Dietrich fu il sesto degli otto figli di Karl e Paula Bonhoeffer. Il padre era un importante professore di psichiatria e neurologia; la madre una delle poche donne laureate della sua generazione. 
Bonoheffer sceglie di studiare teologia, una scelta "strana" per la sua famiglia che frequentava sì la Chiesa luterana , ma guardava con ironia la Chiesa e la teologia, gente convinta cioè che la vera cultura moderna sia la cultura laica e la scienza. Laureatosi in teologia a Berlino nel 1927, Bonhoeffer iniziò l'attività di pastore in una chiesa tedesca a Barcellona nel 1928. Nel 1930 andò a studiare a New York presso l'Union Theological Seminary; nel 1931 iniziò ad insegnare alla facoltà teologica di Berlino e fu consacrato pastore. In quel periodo iniziò l'attività nel nascente movimento ecumenico, stabilendo contatti internazionali che in seguito avrebbero avuto grande importanza per il suo impegno nella resistenza. Nel 1931 fu eletto segretario giovanile dell’Unione mondiale per la collaborazione tra le chiese e nel 1933 entrò a far parte del Consiglio cristiano universale “Life and Work” (da cui sarebbe nato in seguito il Consiglio ecumenico delle chiese).
Molto importanti nella sua vita sono stati anche i periodi di residenza all'estero. Passa quasi un anno a Barcellona, in Spagna, e poi parecchi mesi a New York sempre studiando teologia ma cercando di conoscere altre tradizioni, altri aspetti di problemi che venivano messi in evidenza a Berlino, e questo è un aspetto, una dimensione molto importante della sua personalità: l'apertura e la curiosità verso tradizioni diverse. Entra infatti in contatto con il Social Gospel e celebra funzioni religiose nei ghetti neri
Dal '31 al '33 insegna (e quella è la sua vera professione) a Berlino. Nel suo insegnamento mostra una carica innovativa, coinolgendo gli studenti in iniziative non legate solo all-ambito accademico ma anche alla situazione politica esistente.
Con l'ascesa di Hitler al potere alla fine del gennaio 1933, la Chiesa evangelica tedesca, cui Bonhoeffer apparteneva, entrò in una fase difficile e delicata. Molti protestanti tedeschi accolsero favorevolmente l'avvento del nazismo; in particolare il gruppo dei cosiddetti “cristiano-tedeschi” (Deutsche Christen) si fece portavoce dell'ideologia nazista all'interno della chiesa, giungendo perfino a chiedere l'eliminazione dell'Antico Testamento dalla Bibbia. Nell'estate 1933 costoro, ispirandosi alle leggi ariane dello Stato, proposero un “paragrafo ariano” per la chiesa, che impedisse ai “non-ariani” di diventare ministri di culto o insegnanti di religione. La disputa che ne seguì provocò una profonda divisione all'interno della chiesa: l'idea della “missione agli ebrei” era molto diffusa, ma adesso i cristiano-tedeschi sostenevano che gli ebrei fossero una razza separata che non poteva diventare “ariana” neanche tramite il battesimo, negando così la validità del Vangelo. Bonhoeffer si oppose fermamente al "paragrafo ariano", affermando che la sua ratifica avrebbe sottomesso gli insegnamenti cristiani all'ideologia politica: se ai “non-ariani” fosse impedito l'accesso al ministero, allora i pastori avrebbero dovuto dimettersi in segno di solidarietà, anche al costo di fondare una nuova chiesa, libera dall'influenza del regime. Nel saggio dell’aprile 1933, “La chiesa davanti al problema degli ebrei”, Bonhoeffer fu il primo ad affrontare il tema del rapporto tra la chiesa e la dittatura nazista, sostenendo con forza che la chiesa aveva il dovere di opporsi all’ingiustizia politica. Quando, nel settembre 1933, il "paragrafo ariano" fu approvato dal sinodo nazionale della Chiesa evangelica, Bonhoeffer si impegnò per informare e sensibilizzare il movimento ecumenico internazionale sulla gravità della questione. Rifiutò inoltre un posto di pastore a Berlino, per solidarietà con coloro che venivano esclusi dal ministero per ragioni razziali, e decise di trasferirsi in una congregazione di lingua tedesca a Londra.
Nel maggio 1934 nacque la cosiddetta “Chiesa confessante” per opera di una minoranza interna alla Chiesa evangelica tedesca, che adottò la dichiarazione di Barmen in opposizione al nazismo. Nell’aprile 1935 Bonhoeffer tornò in Germania per dirigere, prima a Zingst e poi a Finkenwalde, un seminario clandestino per la formazione dei pastori della Chiesa confessante, che stava subendo crescenti pressioni da parte della Gestapo, culminate nell’agosto 1937 nel decreto di Himmler che dichiarava illegale la formazione di candidati pastori per la Chiesa confessante. In settembre il seminario di Finkenwalde fu chiuso dalla Gestapo, nei due anni seguenti Bonhoeffer continuò l’attività di insegnante in clandestinità; nel gennaio 1938 la Gestapo lo bandì da Berlino e nel settembre 1940 gli vietò di parlare in pubblico.
Nel 1939 Bonhoeffer si avvicinò ad un gruppo di resistenza e cospirazione contro Hitler, costituito tra gli altri dall’avvocato Hans von Dohnanyi (suo cognato), dall’ammiraglio Wilhelm Canaris e dal generale Hans Oster. Il teologo costituì un legame fondamentale tra il movimento ecumenico internazionale e la cospirazione tedesca contro il nazismo.
Nel 39, verso la fine del periodo di pace tra luglio e agosto, poco prima dello scoppio della guerra che avviene in settembre. Emigra in America di nuovo perché la sua posizione era già compromessa, aveva già ricevuto vari provvedimenti di polizia: non poteva spostarsi liberamente, non poteva parlare in pubblico, gli era stato ritirato il permesso di abilitazione alla docenza non poteva scrivere. Quindi era abbastanza chiaro a lui e ai suoi amici che una volta scoppiata la guerra avrebbe corso seri pericoli. Gli viene trovata una sistemazione in vari istituti universitari americani e lui resta in America per circa un mese ma gli scrupoli di coscienza per aver abbandonato il suo popolo nel momento del pericolo sono tali che nel giro di poche settimane ritorna nella sua decisione e a ritorno in patria sapendo benissimo a che cosa andava incontro. Qui c'è un altro aspetto da mettere in evidenza.
Se Bonoheffer è morto come un martire, non è morto perché si è trovato all'interno di un meccanismo infernale che l'ha schiacciato, ma anche perché in qualche modo ha liberamente voluto assumersi la responsabilità di condividere la sorte del suo popolo. Torna in Germania e nel 40 comincia ad avere i primi contatti con gli ambienti della resistenza.
La resistenza tedesca non ha avuto dimensione popolare . La resistenza in Germania non ha avuto una dimensione popolare, non è stata neanche prevalentemente una resistenza di sinistra perché dopo lo scoppio della guerra le organizzazioni clandestine della sinistra erano state quasi tutte e quasi completamente eliminate dalla misura di repressione della polizia e della GESTAPO e quindi stranamente alcuni centri di resistenza più attivi si costituiscono all'interno dell'esercito per vari motivi, qualche volta semplicemente per gelosia tra l'esercito e l'organizzazione nazista; l'esercito si sentiva estraneo all'organizzazione nazista, alle SS. alla GESTAPO e anche il fatto che Hitler fosse divenuto ad un certo punto capo dell'esercito era stato considerato un affronto alla relativa autonomia dell'esercito stesso, la grande tradizione prussiana dietro e per questi motivi e in alcuni casi anche per motivi morali più elevati, per una sorta di rigetto davanti alle barbarie delle misure che venivano attuate durante la guerra, per esempio l'ordine dato, una volta incominciata la campagna di Russia di uccidere i civili che avessero un qualche ruolo all'interno dell'organizzazione del partito comunista, senza processo, anche se non avevano partecipato ad attività belliche, uccidere i civili se era difficile trasportarli, i prigionieri se era difficile trasportarli e via dicendo... Davanti a queste motivazioni c'è una serie di generali incomincia a dire che bisogna fermare quel pazzo, che forse poi tanto pazzo non era (perché non è il caso di semplificare la figura di Hitler in questo senso).
Incominciano a costituirsi dei gruppi e all'interno di uno di questo opera Bonhoeffer, finché nel 43 viene arrestato perché viene scoperta la rete del complotto. Viene internato nel carcere militare di Tegel.
Viene internato in un carcere militare non perché fosse un teologo che in nome della fede combatteva il nazismo ma perché era entrato a far parte di una organizzazione dell'esercito con una motivazione prettamente laica come tanti altri ufficiali e soldati.
Durante i due anni di prigionia che precedettero la sua morte, nelle lettere all'amico Eberhard Bethge, Bonhoeffer esplorò il significato della fede cristiana in un "mondo diventato adulto", chiedendosi: "Chi è Cristo per noi oggi?" Il cristianesimo è troppo spesso fuggito dal mondo, cercando di trovare un ultimo rifugio per Dio in un angolo "religioso", al sicuro dalla scienza e dal pensiero critico. Ma Bonhoeffer affermò che è proprio l'umanità nella sua forza e maturità che Dio reclama e trasforma in Gesù Cristo, "la persona per gli altri". Dopo un fallito attentato contro Hitler il 20 luglio 1944, Bonhoeffer fu trasferito nella prigione di Berlino, poi nel campo di concentramento di Buchenwald e infine in quello di Flossenbürg, dove fu impiccato insieme ad altri cospiratori.
Durante la sua vita, Bonhoeffer pubblicò nel 1930 Sanctorum communio, nel 1931 Atto ed essere, nel 1937 Sequela, nel 1938 La vita comune. Le lettere e gli appunti scritti durante la prigionia e inviati all'amico Eberhard Bethge vennero da questi pubblicati postumi nel 1951, insieme alle lettere ai genitori e ad alcune poesie, sotto il titolo di Resistenza e resa. Postume apparvero le opere che, secondo l'autore, dovevano costituire il suo contributo maggiore: Etica (1949); Tentazione (1953); Il mondo maggiorenne (1955-66) (eva/febbario 2006).
Il 9 aprile 1945 venne impiccato nel campo di concentramento di Flossebürg.
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Se vuoi leggere alcuni suoi brani vai alla pagina testi di Dietrich Bonhoeffer

Approfondimento
Libertà e disciplina
La spiritualità di Dietrich Bonhoeffer 1
Fulvio Ferrario

Alla vigilia dell'ultima battaglia

Se tu parti alla ricerca della libertà,2 impara soprattutto
la disciplina dei sensi e dell'anima, affinché i desideri
e le tue membra non ti portino ora qui ora là.
Casti siano il tuo spirito e il tuo corpo, a te pienamente sottomessi
ed ubbidienti, nel cercare la meta che è loro assegnata.
Nessuno apprende il segreto della libertà, se non attraverso ladisciplina.3
Così scrive Dietrich Bonhoeffer in una poesia, Stazioni sulla via verso la libertà, inviata dal carcere di Tegel all'amico Eberhard Bethge, il 21 luglio 1944. Il giorno prima, Hitler è uscito quasi illeso dall'attentato dinamitardo compiuto dal conte Claus von Stauffenberg: fallisce così, per un caso che ha dell'incredibile, la cospirazione ordita da un gruppo di militari che ha nell'Abwehr, il servizio segreto militare diretto dall'ammiraglio Canaris, un importante punto di riferimento. Di questo gruppo faceva parte Bonhoeffer stesso, introdottovi dal cognato, Hans von Dohnanyi: l'arresto di Bonhoeffer e von Dohnanyi, il 5 aprile 1943, era stato appunto conseguenza di un'inchiesta riguardante aspetti, in sé secondari, dell'attività dell'Abwein.4 Dal carcere, il prigioniero, che seguiva con trepidazione le sorti di «Klaus»,5 coglie lucidamente la portata della catastrofe e si prepara ad affrontare l'ultima prova: con disciplina, appunto, del corpo e dell'anima, che permetta di chiamare a raccolta tutte le energie, che certamente saranno necessarie. Quando parla di disciplina, Bonhoeffer sa quello che dice: preghiera e lettura biblica quotidiane, abitudine al silenzio, all' organizzazione severa della giornata, ed anche a precise pratiche ascetiche, sono parte integrante, e anzi decisiva, della sua personalità di credente. Tutto ciò, però, non è innato in lui: egli lo ha imparato.

 

Da teologo a cristiano
Bonhoeffer proviene da una famiglia dell'alta borghesia: il padre, psichiatra di fama, professa un prudente agnosticismo in materia religiosa; la madre è una credente luterana, di formazione pietista: la sua fede semplice ma autentica incontra il rispetto del marito, che le delega la formazione cristiana dei figli. Anche Kate Horn, la governante che si occupa di Dietrich e della sorella gemella Sabine è una convinta pietista, radicata nella tradizione di Herrnhut. A casa Bonhoeffer si prega a tavola, festività come Natale o Capodanno vengono celebrate in un clima in cui la dimensione popolare-familiare si fonde armonicamente con quella propriamente cristiana, tuttavia non si frequenta regolarmente il culto.
Iscrivendosi alla facoltà teologica, Dietrich è mosso soprattutto da interessi di tipo teoretico e culturale; ottiene immediatamente risultati brillantissimi: non ancora ventiduenne conclude gli studi, due anni dopo è libero docente all'università e pare dunque destinato a una folgorante carriera accademica, in linea con le tradizioni familiari. Nel 1930 parte per un soggiorno di studio a New York, nel corso del quale sorprende l'amico Paul Lehmann per la sua libertà in fatto di partecipazione al culto: se, teologicamente, Bonhoeffer risente dell'influenza barthiana, il suo atteggiamento spirituale sembra ancora quello delKulturprotestantismus proprio della grande tradizione borghese prussiana da cui proviene. Due anni dopo, i suoi conoscenti incontrano un uomo profondamente cambiato, in cui l'impegno teologico si fonde con una intensa vita di fede personale, nonché con una forte passione per l' ortodossia dottrinale, intesa come lealtà solidale con la fede della chiesa. Abbiamo alcune testimonianze dirette, benché non dettagliate, su questa sorta di conversione da una fede prevalentemente «pensata» ad una anzitutto «vissuta»,6 che dovrebbe potersi datare tra la fine dell'estate e l' autunno del 1932.7 Anni dopo, Bonhoeffer giudica alquanto spietatamente i suoi inizi accademici, ritenendoli caratterizzati da «smisurata ambizione»:
La Bibbia, e in particolare il Sermone sul monte, mi ha liberato da tutto ciò. In seguito, tutto è cambiato. L'ho avvertito nettamente, ed anche altri intorno a me. Un'immensa liberazione. Ho compreso chiaramente che la vita di un servitore di Cristo deve appartenere alla chiesa; e, passo passo, si è precisata questa esigenza assoluta.8
È interessante osservare che lo stesso stile letterario e teologico di Bonhoeffer è influenzato dal mutato atteggiamento spirituale: libri e saggi sono meno ermetici, l'esegesi 9 occupa uno spazio maggiore, il legame con il contesto ecclesiale (peraltro tutt'altro che assente nelle opere giovanili) si fa più evidente. La preghiera e la meditazione biblica quotidiana diventano l'asse portante della giornata, senza il quale il lavoro teologico, e la stessa vita di fede, gli paiono inconcepibili.10 Il Sermone sul monte lo indirizza verso un pacifismo radicale alquanto estraneo alla tradizione luterana (come, del resto, alla corrente principale dell'insieme del cristianesimo storico): ancora anni dopo, i seminaristi di Finkenwalde ne saranno alquanto stupiti. A partire da questo periodo, la categoria della «semplicità» dell'obbedienza svolge un ruolo essenziale: semplice significa integro, completo, indiviso (nel senso del téleios di Mt. 5,48, e dell' aplós di Giac. 1,5)11; ma significa anche legato alla parola biblica così come essa si offre; in Sequela,12 Bonhoeffer descriverà con sarcasmo corrosivo l'atteggiamento di chi vuole disinnescare l'esigenza della parola di Gesù mediante le finezze dell'ermeneutica; meglio il giovane ricco, che se non altro si assume la responsabilità di rifiutare la chiamata di Gesù, piuttosto che dire di accettarla, svuotandola però di contenuto mediante una pseudoteologia. Naturalmente, il teologo prende in considerazione l'eventualità che la parola di Dio in Gesù non coincida con la sua formulazione letterale, o che addirittura la ribalti: si tratta però «di un'ultima possibilità dell'esistenza cristiana [...]», abusare della quale significherebbe, semplicemente, liquidare l' obbedienza.13
Non c'è dubbio che il soggiorno americano ha contribuito a favorire questo nuovo atteggiamento spirituale: in particolare, il contatto con le chiese nere di Harlem apre a Bonhoeffer un mondo per lui nuovo; importante anche il rapporto, certo assai critico, con le istanze del Social Gospel,14 che anche in seguito verranno sempre tenute presenti, anche se in un quadro sistematico molto diverso. È a New York che Bonhoeffer incontra il pastore francese Jean Lasserre, convinto pacifista, con cui ha una discussione che, anni dopo, ricorderà da Tegel: «C'eravamo posti molto semplicemente la domanda di che cosa volessimo fare della nostra vita. Egli disse: vorrei diventare un santo (e credo possibile che lo sia diventato); la cosa a quel tempo mi fece una forte impressione. Tuttavia lo contrastai, e risposi press'a poco: io vorrei imparare a credere. Per molto tempo non ho capito la profondità di questa contrapposizione».15 In questa fase, il libero docente Bonhoeffer è anche pastore degli studenti, e instaura la consuetudine di trascorrere, con alcuni di loro, dei fine settimana dedicati alla riflessione, alla preghiera, alla meditazione biblica e allo scambio di idee: una prefigurazione, in miniatura, di Finkenwalde.
La lotta ecclesiale di fronte all'eresia dei «cristiani tedeschi» (negli anni 1933 e seguenti) contribuisce a porre in rilievo l'importanza di un impegno diretto nella vita della chiesa, che può essere sostenuto soltanto da una profonda spiritualità personale. La figura di Gandhi lo attrae parecchio, e Bonhoeffer giunge a progettare un viaggio, poi non effettuato, in India, per studiarne le esperienze di vita comunitaria nonché le idee e la prassi pacifiste;16 questo interesse per Gandhi suscita, tra l'altro, la perplessità un po' ironica di Karl Barth.17 Nel corso di un soggiorno in Inghilterra, il giovane teologo visita alcuni monasteri anglicani, presso uno dei quali matura il suo intenso amore per il Salmo 119, al quale dedicherà, durante la guerra, pagine assai belle;18 in questo periodo, egli si chiede se l'aspetto decisivo della formazione dei giovani pastori non debba essere trasferito dall'ambito dell'università a scuole ecclesiastiche di tipo conventuale, in cui «vengano presi sul serio la vera dottrina, il sermone sul monte e il culto: nessuno dei tre lo è all'università, e sarebbe impossibile altrimenti, date le circostanze»;19 il giovane pastore ritiene ormai che una teologia puramente accademica sia del tutto inadeguata alle sfide che la storia propone alla chiesa e ai predicatori della parola. Più in generale, egli si attende la rinascita della chiesa da una sorta di «nuovo monachesimo»,20 in cui la radicalità della vita cristiana al seguito di Gesù venga proposta e testimoniata alla chiesa intera come una possibilità concretamente praticabile, alternativa rispetto a ciò che la società, e con essa un protestantesimo spiritualmente infiacchito, ritengono «ovvio».

 

Finkenwalde
Nel 1935, Bonhoeffer è nominato direttore di un seminario della Chiesa confessante, in cui i giovani candidati al ministero completano, dopo lo studio universitario, la loro formazione. Questo istituto, che dopo le prime settimane di attività a Zingst, sul Baltico, si trasferisce nella non lontana Finkenwalde, sarà il laboratorio in cui le idee del teologo, non ancora trentenne, verranno messe alla prova. Sulla vita del centro siamo assai bene informati, sia grazie alle numerose testimonianze degli allievi,21sia perché Bonhoeffer ha condensato le sue riflessioni su quest'esperienza in una delle sue opere più famose, Vita comune.
La parola di Dio apre la giornata e la conclude: prima della meditazione mattutina e dopo quella serale, si osserva un rigoroso silenzio; la preghiera valorizza ampiamente i Salmi: nel corso della settimana, secondo l'uso monastico, viene recitato l'intero salterio; la lettura biblica comprende un passo dall'Antico Testamento e uno dal Nuovo, di solito seguito da una preghiera spontanea; nelle vigilie delle festività, Bonhoeffer offre una meditazione esegetica sui testi; il canto corale accompagna il culto, concluso con la benedizione. Dopo la colazione, iniziano i corsi. Mezz'ora di canto prima del pranzo, di nuovo studio nel pomeriggio. Spesso i pasti sono accompagnati dalla lettura a voce alta di un testo (ancora un evidente retaggio monastico), ma non necessariamente religioso: in questo modo, Bonhoeffer si propone, tra l'altro, di colmare vistose lacune nella cultura generale dei candidati. Dopo cena, musica e passatempi, prima della preghiera conclusiva della giornata (circa tre quarti d'ora). La meditazione silenziosa, della durata di circa mezz'ora, crea ai candidati particolari difficoltà di concentrazione, che Bonhoeffer suggerisce di superare legando la riflessione a un testo biblico. Quando un dirigente della Chiesa confessante osserva che «ora non abbiamo tempo per la meditazione, i candidati devono imparare a predicare e a fare catechismo», Bonhoeffer reagisce con ira: «considero una cosa del genere come frutto di totale disinformazione su ciò che è oggi un giovane teologo, o di una spaventosa ignoranza del modo in cui nasce una predicazione o una catechesi».22 Il lezionario dei Fratelli Moravi (Losungen), con la sua proposta di versetti per ogni giorno, è particolarmente apprezzato, e, come vedremo, accompagnerà fino alla fine la meditazione di Bonhoeffer;23 tuttavia, egli segnala il rischio che la Scrittura venga ridotta a un'antologia di versetti: essa deve essere letta continuativamente e integralmente, perché solo «negli innumerevoli richiami interni, nel rapporto tra Antico e Nuovo Testamento, promessa e adempimento, sacrificio e legge, legge ed evangelo, croce e risurrezione, fede e ubbidienza, avere e sperare, si può comprendere integralmente la testimonianza del Signore Gesù Cristo».24 Questa intensa vita meditativa e di preghiera non costituisce solo la cornice del lavoro teologico, ma ne pervade l'essenza stessa, come risulta dal materiale dei corsi pubblicato da Bonhoeffer stesso (in particolare il volume Sequela,del 1937), oppure edito postumo sulla base degli appunti degli studenti. Il corso di omiletica 25 e quello di pastorale 26 sono autentiche meditazioni teologiche sul ministro della chiesa di Gesù Cristo. «Il pastore incontra la Bibbia in tre diversi momenti: sul pulpito, sul tavolo da lavoro e in preghiera»27 e queste tre situazioni devono mantenere ad un tempo la loro unità e la loro specificità. Lo studio della Bibbia unicamente finalizzato alla predicazione domenicale impedisce una conoscenza estesa e profonda del testo, riducendolo a oggetto di analisi e strumento di lavoro, sicché il pastore, da testimone di Gesù Cristo, diviene un mestierante; può predicare solo chi percorre personalmente la Bibbia in tutta la sua ampiezza, come Lutero, che leggeva il Nuovo Testamento tre volte all'anno, e l'Antico almeno una volta; sempre Lutero aveva nella sua stanza l' inginocchiatoio, oggi scomparso, secondo Bonhoeffer a torto, dallo studio del pastore. «La maggior distretti per il pastore nasce dalla sua teologia. Sa tutto ciò che l'uomo può sapere sul peccato e sul perdono. Sa che cos'è la vera fede e se lo ripete tante volte fino a non vivere più nella fede, ma nella riflessione sulla fede. Sa persino che la sua incredulità è la forma corretta della fede: "Io credo, Signore, sovvieni alla mia incredulità" (Mc. 9,24)».28 Naturalmente, l'identità del ministero ,della parola dipende dalla grazia di Dio e non dalle disposizioni soggettive del predicatore, e dunque neanche dalla sua spiritualità personale; se però l'oggettività della grazia viene scambiata con la possibilità di separare, anche parzialmente, anche con motivazioni teologiche apparentemente plausibili, predicazione e discepolato, la teologia diventa ideologia.
Contro la superficialità spirituale che pretende di addomesticare Dio stesso mediante gli artifizi della teologia e, in generale, in vista di una vita cristiana consapevole, Bonhoeffer non si stanca di sottolineare l'importanza della confessione individuale:29 solo là dove il mio peccato è chiamato per nome e dove la parola del perdono mi proviene dall'esterno, attraverso un altro essere umano,30 legge ed evangelo sono vissuti fino in fondo sul piano personale. Diversamente, ci si pone sul piano della «grazia a buon mercato», che non viene da Dio, ma che siamo inclini a concedere a noi stessi, senza che la nostra vita possa esserne trasformata. Proprio il ripudio della grazia a buon mercato, in nome di quella autentica, costata il «caro prezzo» del sangue di Cristo, è il tema centrale del primo capitolo di Sequela: laresistenza della Chiesa confessante, con tutte le sue difficoltà, rende ancor più evidente quanto già prima avrebbe dovuto esser chiaro: che la fede cristiana può solo essere, ormai, discepolato; il tempo in cui un cristianesimo sociologico, che non costa nulla, poteva essere teoricamente, benché erroneamente, immaginabile, è ormai finito per sempre.
Il 6 settembre 1935, Bonhoeffer inoltra alla dirigenza della sua chiesa la proposta di istituire, nell'ambito del seminario, una comunità stabile, composta da persone (ex seminaristi) determinate a impegnarsi per un periodo relativamente lungo a vivere in comune, in uno stile di estrema sobrietà;31 per rendere l'idea delle proprie intenzioni, menziona una casa madre di diaconesse evangeliche. Si tratta, ovviamente, della messa in pratica del progetto di rileggere in chiave protestante lo stile di vita monastico; come per il seminario, anche per la comunità fraterna non si tratta di un atteggiamento di fuga dal mondo, tesa a ricercare in una comunità autoreferente l'ideale spirituale che la concretezza e la complessità della storia non permettono di perseguire; al contrario, «lo scopo non è quello di un isolamento claustrale, ma della concentrazione per il servizio all'esterno».32Oltretutto, Bonhoeffer è convinto che la drammatica emergenza in cui si trova la Chiesa confessante, con le difficoltà e i rischi connessi, richieda, almeno ad alcuni tra i pastori, una totale libertà da vincoli familiari: per questo motivo, senza che la cosa sia risaputa, neanche dal gruppo a lui più vicino, egli rinuncia, in questo periodo, a dar seguito a un'amicizia con una donna, che avrebbe potuto diventare amore.33
L'esperienza di Finkenwalde viene considerata con perplessità da più d'uno 34 e ancor oggi non manca chi la sospetta di essere poco protestante e tendenzialmente introversa. Per coglierne la natura e lo specifico, può essere d'aiuto un confronto con il movimento di Berneuchen, che dagli anni Venti era impegnato in un tentativo di rivitalizzazione della chiesa, partendo dalla spiritualità.35 In questo movimento, c'è un tipo di interesse liturgico e un'enfasi sull'aspetto emotivo dell'esperienza di fede alquanto problematici per circoli comunque legati a una teologia della parola;36 peraltro, disciplina nella preghiera quotidiana e passione per i Salmi, attenzione alla «vita sacramentale», accentuato interesse per la vita comunitaria e per la sua espressione visibile, valorizzazione della confessione individuale, sono caratteristiche anche dei Berneuchener; Bonhoeffer è però scettico nei confronti dell'elaborazione di uno «stile» di vita spirituale, che vede come una indebita aggiunta rispetto all'opera dello Spirito santo, che agisce nella verità della parola biblica;37vede nella ricerca liturgica e nell'eccessivo interesse per i simboli il rischio di relativizzare la centralità della parola predicata, ma soprattutto, dal suo punto di vista, l'autenticità cristiana di ogni tipo di praxis pietatis si verifica in base al legame con la testimonianza della chiesa nell'ora della prova e, concretamente, nel Kirchenkampf e nella solidarietà con i perseguitati: il famoso detto di Bonhoeffer: «Chi non alza la voce per gli ebrei, non può neppure cantare il gregoriano»38 ha certo una valenza autocritica nei confronti della Chiesa confessante, ma colpisce anche il distacco dei Berneuchener dalla situazione politica e dalle sue sfide. La portata drammatica del contrasto si evidenzia in un episodio della settimana santa 1944,39 in seguito al quale Dietrich riprende la critica allo «stile» Berneuchener, e tra le righe accusa il movimento di coprire le vere alternative poste dalla storia con altre fittizi.40 Già a Finkenwalde, anche se con accenti diversi rispetto alle riflessioni di Tegel, il problema di Bonhoeffer non è di sviluppare un ideale di santità, ma di preparare lo spirito e il corpo alle dure sfide imposte dal discepolato cristiano, in una fase storica crudele. Hellmut Traub, che lo sostituirà alla guida dei vicariati collettivi, testimonia che già nel 1937 o 1938 Bonhoeffer è convinto che la situazione politica esiga un'azione conseguente, che non rimanga sul piano della testimonianza, ma si assuma, mondanamente (welthaft), le proprie responsabilità.41

 

America
Il seminario di Finkenwalde viene chiuso dal regime nel 1937, il che segna la fine dell'esperimento di vita comunitaria «stabile»; gli ex allievi (un buon numero dei quali viene anche imprigionato per un certo tempo) rimangono in contatto, grazie anche alle circolari che Bonhoeffer spedirà finché gli sarà possibile. Il teologo inizia a occuparsi dei cosiddetti «vicariati collettivi», mediante i quali la Chiesa confessante prosegue la formazione dei propri ministri: più tardi, verranno anch'essi chiusi dalla Gestapo. Alla fine della primavera 1939 Bonhoeffer, nel frattempo entrato in contatto con alcuni esponenti del futuro gruppo di cospiratori, decide di recarsi negli Stati Uniti, dove potrebbe scegliere tra diverse offerte di lavoro, nell'ambito della teologia accademica e dell'attività pastorale: egli intende gettare ponti tra la sua chiesa e la realtà americana; inoltre, la prevedibile chiamata alle armi, cui egli pensa di rispondere con l'obiezione di coscienza, creerebbe un caso alquanto scomodo per la Chiesa confessante, che dunque accetta la partenza di un esponente così prezioso. Il diario di quelle settimane 42 tradisce però una profonda insicurezza circa la reale volontà di Dio: giunto in America, Dietrich non riesce più a scorgere il suo compito in quella situazione; si aggiunge la nostalgia di casa, che è soprattutto nostalgia della preghiera comune, del culto domenicale; giunto a New York il 12 giugno, il 20, dopo un aspro conflitto interiore, ha già deciso di rientrare in Germania, lasciando una certa perplessità, e anche un po' d'irritazione, in chi l'aveva invitato. Il 3 luglio scrive nel diario: «devo stare attento a non diventare trascurato nella lettura della Bibbia e nella preghiera»:43 le sue riflessioni sono però un continuo dialogo con la Scrittura, in particolare con le Losungen, che egli riferisce direttamente alla propria situazione; il 26 giugno, si imbatte casualmente in II Tim. 4,21: «fa’ di tutto per tornare prima dell'inverno», e ne rimane molto colpito: «Non è un abuso della Scrittura, se io lo prendo come diretto a me. Se Dio mi dà la grazia per questo».44 Bonhoeffer si rende conto di aver preso una decisione di portata decisiva per la propria vita; in patria, assieme ai fratelli e alle sorelle della Chiesa confessante, non possono che attenderlo difficoltà gravissime: quando a Tegel, tuttavia, ripenserà a quella scelta, non la rimpiangerà;45 si fa, è vero, diversi scrupoli sulle motivazioni: per quanto una simile decisione possa sembrare coraggiosa, essa nasconde, secondo Dietrich, anche paure e giudizi personali, e quanti vorrebbero che si fermasse in America se ne rendono conto,46 ma «Dio non agisce solo per mezzo di stimoli religiosi, ma anche vitali».47 Il 20 giugno, dopo la grande decisione, così conclude il resoconto nel diario: «Alla fine della giornata posso solo pregare che Dio voglia dare un giudizio misericordioso su questo giorno e su tutte le decisioni. Tutto è ora nelle sue mani».48 Alle 0,30 dell'8 luglio, la nave con a bordo Bonhoeffer si stacca dalla banchina: convinto che solo la partecipazione alla tragedia del suo popolo gli darà il diritto di partecipare all' avventura della ricostruzione, il giovane teologo va incontro alla vocazione del suo Dio, ascoltata nel tumulto del cuore, nei versetti biblici, nella battaglia della preghiera, nella nostalgia per i compagni di lotta rimasti a casa; quello che parte per la Germania è un uomo non privo di turbamenti, ma fondamentalmente lieto, consapevole di avere un compito da svolgere, e determinato ad assumerlo.49

 

Resistenza e prigionia
Nei mesi e negli anni seguenti, fino al suo arresto, Bonhoeffer vive una tripla esistenza: teologo, agente segreto, congiurato. Per il convinto pacifista, disposto a opporre obiezione di coscienza alla chiamata alle armi, e a pagarne il prezzo, non dev'essere facile entrare nell'ordine di idee della partecipazione ad un complotto: per Bonhoeffer, tuttavia, la concretezza del comandamento di Dio nell'oggi prevale sul principio fondamentale della non violenza, poiché il servizio del cristiano non può limitarsi al piano della testimonianza, ma deve osare «mettere i bastoni tra le ruote» della macchina infernale; a maggior ragione, tale concretezza prevale sugli scrupoli di chi vorrebbe che non ci fossero controindicazioni all'azione 50 e sulle eterne riserve ed esitazioni tipiche, secondo Dietrich, dei ceti aristocratici e alto-borghesi 51 e che, a suo parere, la nuova generazione sarà in grado di superare;52 la riflessione bonhoefferiana sulla necessità e le caratteristiche dell'azione ha trovato, com'è noto, espressione lirica nella seconda delle Stazioni sulla via verso la libertà.53
Negli anni convulsi dell'attività clandestina, Bonhoeffer attraversa periodi in cui la frequentazione biblica diminuisce, cosa che gli provoca scrupoli, che egli tuttavia ritiene di poter affidare alla stessa parola di Dio; l'eventualità di trasformare l'abitudine alla disciplina in una spiritualità della costrizione, anche se in un primo tempo non viene direttamente esclusa, lo lascia perplesso:54 egli sente crescere in sé una «resistenza nei confronti di tutto ciò che è "religioso". [...] Non sono un essere religioso. Ma devo ininterrottamente pensare a Dio, a Cristo, e autenticità, vita, libertà e misericordia mi premono molto. Solo, i rivestimenti religiosi mi mettono così a disagio. Capisci? Non si tratta affatto di nuovi pensieri e punti di vista, ma, poiché credo che ora qui dovrà sciogliersi un nodo per me, lascio che le cose seguano il loro corso e non mi oppongo. In questo senso, intendo anche la mia attività attuale nel settore profano».55 Questi pensieri verranno tumultuosamente, ma lucidamente, sviluppati a Tegel: essi mostrano con tutta evidenza che le riflessioni sul cristianesimo non religioso non vanno in alcun modo separate dalla praxis pietatis bonhoefferiana, e men che meno ne costituiscono un «superamento»;56 piuttosto, l'esistenza plasmata dalla disciplina sperimenta, in particolare nel vivo della lotta, che l' animo umano ha una molteplicità di registri, ai quali va riconosciuto un proprio, relativo diritto: in quest'ultimo riconoscimento c'è un'evoluzione nel pensiero e prima ancora nel sentire bonhoefferiano, che riscopre uno spazio per la spontaneità, non selvaggia, ma educata.57
Continuità e sviluppo nella spiritualità di Bonhoeffer si riscontrano anche nel periodo della detenzione.58 Egli stabilisce un programma rigoroso per la giornata,59 aperta e chiusa dalla preghiera;60 appena gliela restituiscono, inizia a leggere assiduamente (pur con le pause di cui s'è detto) la Bibbia, e ripete a memoria strofe degli inni di Paul Gerhardt,61 autore che si dimostra «di una validità insospettata»62 e che in effetti è tra i più citati dell'intero epistolario; le Losungen costituiscono una compagnia quotidiana:63 per la Pentecoste 1944 invia a Bethge alcune meditazioni sui versetti di quei giorni 64 e, com'è noto, ancora il giorno precedente la sua esecuzione, predicherà ai compagni di prigionia le letture del giorno; avverte dolorosamente la mancanza del culto (che a volte, «come Giovanni a Patmos», celebra da solo),65 della confessione e della consolatio fratrum;66l'anno liturgico è la cornice spirituale della vita del prigioniero, non soltanto ne scandisce il tempo, ma ne orienta la meditazione e la preghiera,67 e spesso le lettere scritte di domenica sono datate con il nome liturgico di quel giorno.68 Una volta di più, si ricava l'impressione di una spiritualità altamente strutturata: la creatività di Bonhoeffer si dispiega nel quadro della tradizione della chiesa e da essa trae alimento; come esponente della teologia della parola, che per lui costituisce comunque un punto di non ritorno, e già prima, come erede.critico della tradizione liberale, egli si esprime criticamente nei confronti del pietismo,69 ma non sono pochi, nella sua spiritualità, i tratti di matrice pietista, certo completamente ricontestualizzati, nel quadro di diffidenza nei confronti del «religioso», che già abbiamo visto delinearsi e che in carcere si radicalizza. Indicativo di questa dialettica è quanto egli scrive a Bethge il 21 novembre 1943: «Ho trovato con naturalezza un aiuto nel suggerimento di Lutero di "segnarsi col segno della croce durante la preghiera del mattino e della sera". C'è in questo qualcosa di oggettivo, di cui qui si ha un bisogno particolare. Non spaventarti! Non esco di sicuro di qui comehomo Al contrario, la mia diffidenza e la mia paura nei confronti della "religiosità" son diventate qui più grandi che mai».70 Non si tratta affatto, dunque, di «secolarizzare» la vita, liquidando lapraxis pietatis, e nemmeno, semplicemente, di aggiornarne le forme, adeguandole a un mondo che mostra di non capire più quelle antiche. Assai più radicalmente, Bonhoeffer pensa la vita di fede e l'esperienza spirituale non come un ambito particolare all' interno della totalità del reale, ma come una dimensione che permea tutta la realtà, qualificandola, ma non colonizzandola, bensì salvaguardandone l'autonomia, che essa ha ricevuto da Dio stesso. Il testo più significativo per indicare la novità di accenti che ora si presenta, all'interno dell'indubbia continuità, è senz' altro la lettera del 21 luglio 1944. Ricordando il colloquio con Jean Lasserre, Bonhoeffer afferma di aver percepito solo in seguito la portata del suo rifiuto del progetto di diventare «santo», a cui egli opponeva quello di «imparare a credere»: «Pensavo di poter imparare a credere tentando di condurre io stesso qualcosa di simile a una vita santa. Come conclusione di questa strada scrissi Nachfolge (Sequela). Oggi vedo chiaramente i pericoli di questo libro, che sottoscrivo come un tempo».71 Sequela intende presentare il discepolato come coinvolgente, in radice, la totalità dell'esistenza, a partire dal «cuore indiviso»,72 contro un cristianesimo imborghesito, che pone lo spazio per Dio accanto al resto della vita, di fatto sottratta alla signoria di Cristo, e dunque «autonoma» in senso empio. Senza relativizzare, neanche parzialmente, questa esigenza, Bonhoeffer si rende ora conto che tale progetto, «pensando ad una santità integrale 'dell'esistenza, rischia di tramutarsi [...] in frattura tra l'esistenza (apparentemente) indivisa del cristiano e il resto del mondo, i pagani».73 Il problema che Bonhoeffer si pone in carcere consiste nell'eliminare la «parzialità» che caratterizza la religione, senza liquidare la solidarietà del cristiano con il mondo; la fede è possibile solo a partire dal cuore indiviso, ma la sua maturità non consiste nel realizzare un ideale di umanità religiosa: non, e questo è sempre stato chiaro, attraverso modelli di tipo intimistico, liturgico, pietistico, ma nemmeno attraverso la rigorosa disciplina spirituale, coniugata con l'adesione a una teologia della parola; la disciplina spirituale, per essere realmente feconda, deve accompagnare e sostanziare un'ulteriore metanoia:«Quando si è completamente rinunciato a fare qualcosa di noi stessi – un santo, un peccatore pentito o un uomo di chiesa (una cosiddetta figura sacerdotale!), un giusto o un ingiusto, un malato o un sano –, e questo io chiamo essere-aldiquà, cioè vivere nella pienezza degli impegni, dei problemi, dei successi e degli insuccessi, delle esperienze, delle perplessità, allora ci si getta completamente nelle braccia di Dio, allora non si prendono più sul serio le proprie sofferenze, ma le sofferenze di Dio nel mondo, allora si veglia con Cristo nel Getsemani, e, io credo, questa è fede, questa è metanoia, e così si diventa uomini, si diventa cristiani».74 Le ultime parole sono emblematiche: diventare uomini può essere equivalente a diventare cristiani, perché «Gesù non chiama a una nuova religione, ma alla vita»;75 «il cristiano non è un homo religiosus, ma un uomo semplicemente, così come Gesù, a differenza certo di Giovanni Battista – era uomo. Intendo non il piatto e banale essere aldiquà degli illuminati, degli indaffarati, degli indolenti o dei lascivi, ma il profondo essere aldiquà, che è pieno di disciplina e nel quale è sempre presente la conoscenza della morte e della risurrezione. Io credo che Lutero 76 sia vissuto in siffatto essere-aldiquà».77Ritorna il tema di un'azione al tempo stesso responsabile e non lacerata dagli eventi e dalla contraddizione tra i princìpi, un'azione semplice e «perfetta», nel senso di coinvolgente la totalità esistenziale dell'essere umano: in questo senso, esegeticamente ben fondato, Bonhoeffer legge l'invito alla «perfezione» in Mt. 5,48: il caso opposto è l'uomo «diviso» (dípsychos) di Giac. 1,8.78 «Diventare uomo», nell'esistere responsabilmente «aldiquà», significa dunque ancora e sempre seguire Gesù: non però nella forma della separazione religiosa, ma nella «nuova vita nell'"esserci-per-altri", nel partecipare all'essere di Gesù»79 nel mondo e nelle sue sofferenze; la fede cristiana rinuncia a chiamare in causa la potenza di Dio per «violentare religiosamente»80 il mondo diventato adulto; piuttosto, essa condivide le sofferenze di Dio nel mondo senza Dio: qui risiede, in ultima analisi, la differenza tra cristiani e non.81 Del Dio di Gesù, alternativo al «tappabuchi» della religione, si deve parlare «al centro» e non ai margini, ai limiti, della vita,82 anzitutto attraverso una prassi che non sia minata alla base dalle riserve e dalle remore religiose. Il fallimento della chiesa (non solo deiBerneuchener, ma anche dei confessanti) di fronte al nazismo è legato al rifiuto di questa conseguente obbedienza «mondana» e pone ora in termini nuovi il problema della testimonianza e dell'azione del credente nel mondo; non solo le strutture e i modelli di comunità, ma anche le grandi parole della fede e i suoi modelli cultuali di espressione sono posti in crisi da questo fallimento, contribuendo a evidenziarne la natura «religiosa», cioè parziale, strutturalmente incapace di incidere nella realtà, perché ad essa non aderente. La chiesa si trova dunque, letteralmente, senza parole: «La nostra chiesa, che in questi anni ha lottato solo per la propria sopravvivenza, come fosse fine a se stessa, è incapace di essere portatrice per gli uomini e per il mondo della parola che riconcilia e redime. Perciò le parole d'un tempo devono perdere la loro forza e ammutolire, e il nostro essere cristiani oggi consisterà solo in due cose: nel pregare e nell' operare ciò che è giusto tra gli uomini. Il pensare, il parlare e l'organizzare, per ciò che riguarda le realtà del cristianesimo, devono ricominciare da questo pregare e da questo operare».83La «disciplina dell' arcano»,84 cioè proteggere i misteri della fede dalla profanazione, attraverso un silenzio qualificato, è funzionale all'attesa del giorno in cui un nuovo linguaggio, «forse completamente non religioso»,85 sarà nuovamente «capace di liberare e di redimere, come il linguaggio di Gesù».86 La domanda sul significato della spiritualità in un contesto non religioso 87 trova in Bonhoeffer una risposta pratica, vissuta, che non riesce ancora a esprimersi compiutamente in forma teologica.
L'esperienza di un discepolato «mondano» riceve importanti impulsi chiarificatori dall'Antico Testamento, che Bonhoeffer, nel giro di sette mesi, legge due volte e mezza,88 imparando a considerarlo una chiave interpretativa a partire dalla quale comprendere il Nuovo,89 ponendo nel giusto ordine il terreno e penultimo e il celeste ed escatologico, senza rifugiarsi troppo presto nella seconda dimensione: solo così la fede cristiana è preservata dal divenire una religione della redenzione metastorica.90 L'Antico Testamento richiama alla concretezza dell'esistenza terrena e alle sue conseguenze, sia teologiche sia pratiche. Lo stare di fronte a Dio non impedisce, ma anzi determina, l'immersione nella realtà, corposa e contraddittoria, l'assunzione di responsabilità, il rischio delle scelte.
Tra le realtà terrene che, nella prospettiva veterotestamentaria, vedono riconosciuta e insieme orientata la loro autonomia, un posto particolare compete all' amore umano. Evidentemente, la storia d' amore, profonda e tragica, con Maria von Wedemeyer, influenza in profondità le riflessioni di Dietrich. Le lettere dal carcere ce lo presentano come uomo assetato di pienezza di vita terrena, ansioso di poter gridare, il suo «sì alla terra di Dio»,91convinto che «i cristiani che osano stare sulla terra con un piede solo, staranno con un piede solo anche in cielo»92 e che pensare che «un uomo nelle braccia di sua moglie debba avere nostalgia dell' aldilà, è a dir poco una mancanza di gusto, e comunque non la volontà di Dio»;93 l'amore umano è uno dei temi contrappuntistici che, nella loro autonomia, accompagnano ilcantus firmus dell'amore di Dio: a questo proposito, Bonhoeffer si rallegra che il Cantico dei Cantici appartenga alla Bibbia, con tutto il calore della sua passione, poiché proprio là dove «ilcantus firmus è chiaro e distinto, il contrappunto può dispiegarsi col massimo vigore».94

 

La festa suprema della libertà
Questa passione per la vita e la terra (la terra di Dio), sembra crescere, anziché scemare, nella durissima esperienza carceraria, nell'alternarsi, dapprima, di speranza e delusione, e poi nel precipitare della situazione verso la tragedia. L'amata disciplina impedisce a Dietrich di lasciarsi andare: l'espressione dei sentimenti e dei desideri è sempre trattenuta, composta, il che non fa che esaltarne l'efficacia: si ha la sensazione di essere di fronte a una carica di vitalità spirituale, intellettuale, emozionale e fisica, che aspetta solo di poter esplodere. Ancora nelle galere dell'Ufficio Centrale per la sicurezza del Reich, alla Prinz Albrecht Strasse (un «inferno», secondo l'ammiraglio Canaris), il prigioniero si sa «circondato fedelmente e tacitamente da potenze benigne».95 È in tale compagnia che egli compie l'ultimo viaggio, incontro a quella che chiama la «festa suprema della libertà», cercata nella disciplina, nell'azione e nella sofferenza, e che ora lo attende, al termine del cammino:
Vieni ora, festa suprema della libertà,
morte, rompi le gravose catene e le mura
del nostro effimero corpo e della nostra anima accecata,
perché finalmente vediamo ciò che qui non c'è concesso
vedere. Libertà, a lungo ti cercammo nella disciplina, nell'azione e nella sofferenza.
Morendo, te riconosciamo ora nel volto di Dio.96
 
(“Vorrei imparare a credere”. Dietrich Bonhoeffer (1906-1945), a cura di Fulvio Ferrario, Claudiana 1996, pp.123-147)
 
1 Nel breve spazio di un articolo, è giocoforza limitarsi a uno schizzo della pro­blematica; per una presentazione delle fonti (con l'eccezione di C92 allora non di­sponibile), cfr. H.R. PELIKAN, Die Freimmigkeit Dietrich Bonhoeffers. Doku­mentation, Grundlinien, Entwicklung, Herder, Wien - Freiburg - Basel, 1982; re­lativamente al tema della preghiera, abbiamo la stimolante monografia di A. ALTENAHR, Dietrich Bonhoeffer - Lehrer des Gebets. Grundlinien far eine Theologie des Gebets bei Dietrich Bonhoeffer, Echter Verlag, Wtirzburg, 1976.
2 Ted.: Freiheit: RR, 448, ha «verità», ma si tratta di una svista.
3 RR, 448.
4 Sul ruolo di Bonhoeffer nell'Abwehr, cfr. DB, 658 ss.; 712 ss. e i capitoli fi­nali, 12, 13, 14 (723-1006), nonché il contributo di S. Bologna, nel presente volu­me.
5 Così chiama, in codice, il putsch, nella lettera a Bethge del 16 luglio 1994, RR, 438: Klaus è il nome di un fratello di Bonhoeffer, anch'egli attivissimo nella cospirazione, arrestato il 1 ottobre 1944, con ogni probabilità torturato nel corso degli interrogatori, condannato a morte il 2 febbraio 1945 e fucilato il 23 aprile, in­sieme, tra gli altri, a Rtidiger Schleicher, cognato di Bonhoeffer e suocero di E. Bethge, e al giurista della Chiesa confessante, Friedrich Justus Perels; le ultime lettere di K. Bonhoeffer e R. Schleicher (nonché di H. von Dohnanyi, J. Delbrtick e dello stesso D. Bonhoeffer), insieme a testimonianze su di loro, sono pubblicate in E. u. R. BETHOE (a cura di), Letzte Briefe aus Wiederstand. Aus dem Kreis der Familie Bonhoeffer, Kaiser, München, 1984.
6 Da teologo a cristiano, dice Bethge, DB, 201 ss. con riferimento alla lettera a una conoscente, gennaio 1936, Scritti,489 s., qui 489: «Avevo già predicato spesso, avevo già visto molto della chiesa, e di questo avevo parlato e scritto, ep­pure non ero ancora divenuto cristiano, ma selvaggio e ribelle continuavo ad es­sere l'unico padrone di me stesso».
7 Cfr. l'argomentazione di A. GALLAS, Non santi ma uomini: l'idea dell'esser­ci-per-altri in Dietrich Bonhoeffer, "Studia Patavina", 37 (1990), 273-294, qui 286 ss.
8 Lettera a una conoscente, gennaio 1936, Scritti, 489 s., qui 489 (ho legger­mente modificato la traduzione italiana per maggiore fedeltà all'originale; d'ora in avanti, i ritocchi non saranno segnalati).
9 Che egli definisce «teologica»: il relativo diritto della critica biblica è rico­nosciuto, ma l'essenziale risiede altrove: su questo approccio esegetico, cfr. CC e il relativo apparato critico.
10 Lettera a Rtidiger Schleicher, 8 aprile 1936, Scritti, 490-493, qui 492.
11 Diverse versioni italiane (CEI, Riveduta 1994) traducono l'avverbio «con generosità»; la TOB ha invece, «con semplicità», il che pare corretto, data la con­trapposizione con l'anèrdtpsychos, l'uomo d'animo doppio, di 1,8. Così rende an­che Bonhoeffer, ad es. EN, 280 s.
12 S, 60 ss.
13 S, 63: «L'interpretazione paradossale del comandamento ha una sua ragio­ne cristiana, ma non deve mai indurre ad annullare la semplice interpretazione let­terale dei comandamenti. Essa ha piuttosto il suo diritto e la sua possibilità solo per chi, in uno dei momenti della sua vita, ha già preso sul serio l'interpretazione sem­plice e letterale [...]. la possibilità infinitamente più difficile, anzi, umanamente parlando, impossibile, di comprendere in modo paradossale la chiamata di Gesù; e proprio come tale rischia di rovesciarsi e di diventare una comoda scappatoia, una fuga davanti all'obbedienza concreta». Quando sviluppa questi pensieri, a Finkenwalde, Bonhoeffer è probabilmente già consapevole che il suo destino fu­turo potrebbe legarsi appunto a un'obbedienza «paradossale» per cui lui, il pacifi­sta, sarà chiamato all'uso della violenza, per amore delle vittime della barbarie.
14 II Social Gospel. Abbozzo (1932), Scritti, 106-113.
15 Lettera a Bethge, 21 luglio 1944, RR, 445-447, qui 445 s. La «contrapposi­zione» a cui Bonhoeffer fa riferimento può in effetti costituire una chiave inter­pretativa della sua evoluzione: cfr., in proposito, A. GALLAS, Non santi ma uomi­ni, cit. Sulla figura di Lasserre, cfr. DB, 153-155.
16 Lettera a Erwin Sutz, 28 aprile 1934 (Bonhoeffer è in questo periodo pasto­re presso la comunità di lingua tedesca a Londra - Sydenham), Scritti, 386-388, qui 388; lettera a R. Niebhur, 13 luglio 1934, Scritti, 390-392, qui 391 s. Cfr. A. CONCI, Dietrich Bonhoeffer. La responsabilità della pace, Dehoniane, Bologna, 1995, pp. 171-180.
17 Lettera di Barth a Bonhoeffer, 14 ottobre 1936, Scritti, 504-507, qui 504 s.
18 Scritti, 593-618.
19 Lettera a Erwin Sutz, 11 settembre 1934, Scritti, 388 s.
20 Lettera al fratello Karl Friedrich, 14 gennaio 1935, Scritti, 392 s.: «La ri­presa della chiesa viene sicuramente da una specie di nuovo monachesimo, che ab­bia in comune con l'antico solo l'assenza di compromessi di una vita secondo il discorso della montagna, nella sequela di Cristo. Credo che sia arrivato il tempo di raccogliere gli uomini per questo». In ogni caso, la valutazione bonhoefferiana del monachesimo è dialettica, e non mancano testi in cui viene ripresa la critica pro­testante tradizionale: si veda, per una rassegna dei passi su questo tema, VC, 154 s., nota 83, nonché: L. SCHLUMBEROER,Dietrich Bonhoeffer et le monachisme, "Etudes théologiques et religieuses" 48 (1973), 465-490.
21 Cfr. l'ampia presentazione in DB, 431-615.
22 Lettera a K. Barth, 19 settembre 1936, Scritti, 501-504, qui 503.
23 Per una panoramica globale del rapporto di Bonhoeffer con le Losungen, cfr. W. GONTHER, Dietrich Bonhoeffer und die Briidergenteinde, in Unitas Fratrurn. Zeitschrift fur Geschichte und Gegenwartsfragen der Bradergenteinde, H. 7, a cu­ra di von W. ERBE - D. MEYER - H.B. MOTEL, Hamburg, 1980, 62-70; H.R. PELBCAN, Frommigkeit, 68-83.
24 VC, 40; cfr., in generale, 39-45.
25 PP.
26 PE.
27 PP, 41.
28 PE, 90. Tra i libri citati da Bonhoeffer in PE v'è l'Imitazione di Cristo, che Bonhoeffer rileggerà, in latino, anche a Tegel (RR, 239, 244).
29 VC, 84-92; PE, 80-87; cfr. DB, 482 s., sulle reazioni dei seminaristi. L'appassionata difesa bonhoefferiana della confessione è direttamente influenza­ta da Lutero, in particolare dalla «Breve esortazione alla confessione» che con­clude ilGrande Catechismo, Bekenntnisschriften der evangelisch-lutherischen Kirche, Vandenhoeck & Ruprecht, Geottingen, 19522, 725-733 (trad. it. di immi­nente pubblicazione presso la Claudiana, Torino).
30 VC, 19: «Il Cristo nel mio cuore è più debole del Cristo nella parola del fra­tello; il primo è incerto, il secondo è certo».
31 Scritti, 485-488.
32 Ibid., 486.
33 DB, 485.
34 Anche un osservatore acuto e ben disposto come K. Barth si mostra un po' preoccupato da un certo «eros e pathosclaustrale»: lettera a Bonhoeffer, 14 otto­bre 1936, cit., qui 506; Barth mostra però di cogliere bene le preoccupazioni soggiacenti al tentativo di Finkenwalde e, anche in seguito, darà un giudizio alquanto positivo su Sequela: cfr. Kirchliche Dogmatik, IV/2, TVZ, Ztlrich, 1955, 604; 612 s. Da parte sua, Bonhoeffer afferma: «L'accusa di legalismo non mi colpisce real­mente. Dov'è, in effetti, il legalismo, se un cristiano si impegna ad imparare che cosa è la preghiera, e dedica a ciò buona parte del suo tempo?»: lettera a K. Barth, 19 settembre 1936, Scritti, 501-504, qui 503.
35 Cfr., per una rapida presentazione del movimento, H. HENCHE, voce «Michaelsbruderschaft», Theologische Realenzyklop&Iie, 22, De Gruyter, Berlin, 1992, 714-717, e la bibliografia ivi indicata; in italiano, si veda la nota di R.A. VON BISMARCK in appendice a C92, 234 s.
36 Cfr. l'osservazione nella lettera a Bethge dell'8 giugno 1944, RR, 397-402, qui 421: «Quelli che a questo punto avvertono – come ad esempio P. Schtitz, gli oxfordiani o i Berneuchener – la mancanza del "movimento" e della "vita", sono pericolosi, retrogradi reazionari, perché tornano indietro rispetto alla teologia del­la rivelazione e cercano un rinnovamento "religioso"».
37 Cfr. le parole rivolte da Bonhoeffer al direttore deiBerneuchener in Pomerania, F. Schauer, DB, 688: «Trovo che in Lei lo Spirito santo non è solo la realtà legata alla vera, unanime parola della Scrittura, ma il principio informatore di un ideale cristiano di vita [...]. La Chiesa confessante abbandonerebbe la pro­messa a lei data se, accanto all'obbedienza verso la verità operata dallo Spirito san­to, si introducesse qualche altra grandezza per dare nuova vita alla chiesa».
38 DB, 639.
39 Si tratta di questo. La fidanzata di Bonhoeffer, Maria von Wedemeyer, par­tecipa a Bundorf, dove si trova presso una parente, alle celebrazioni dei Berneuchener, guidate dal prof. Wilhelm Stàhlin, un leader del movimento, a cui il padre di Maria, caduto in guerra, aderiva; i suoi sentimenti sono contrastanti: da un lato è affascinata dal coinvolgimento della totalità della persona, compresi il corpo e l'emotività; dall'altro, le emozioni provate la turbano (lettera a Bonhoeffer, 11 aprile 1944, C92, 164-166). In questa circostanza, Stùhlin si oppo­ne alla presenza di Maria, rilevando che l'incompatibilità tra l'atteggiamento spi­rituale dei Berneuchener e quello di Dietrich l'avrebbe messa in condizione di «dover scegliere tra suo padre e il suo fidanzato» (lettera di Maria von Wedemeyer a Bonhoeffer, 26 aprile 1944, C92, 170-172, qui 171); Maria commenta: «Quando Hesi [la parente che la ospitava] me lo ha raccontato, molto tempo dopo Pasqua, mi sono accorta improvvisamente che lo avevo pensato anch'io e che avrei volu­to che la settimana santa non fosse mai esistita. Ma nello stesso momento ho capi­to che questo non è affatto vero. Così farei un torto a tutti e due, a te e a papà. [...] Pensa, non voglio né una tessera rosa [Chiesa confessante] né un biglietto bianco[Michaelsbruderschaft?]. Sicuramente queste cose sono necessarie e indispensa­bili. Ma io vorrei andare in chiesa senza averne bisogno» (ibid., 172 s.). Non stu­pisce che Bonhoeffer, che non può intervenire direttamente, reagisca con ira al tur­bamento che l'osservazione di Stahlin provoca nella fidanzata. Sull'episodio, e più in generale sul rapporto tra Bonhoeffer e la Chiesa confessante da una parte, e i Berneuchener dall'altra, cfr. R. MAYER, Brautbriefe aus der Zelle. Maria von Wedemeyer und Dietrich Bonhoeffers Verbindungen zu den Gutbesitzer-Familien in Pommern, in R. MAYER - P. ZuvimERuNo (a cura di), Dietrich Bonhoeffer - Mensch hintern Mauern, Theologie und Spiritualittit in den Gefangnisjahren,Brunnen, Giessen-Basel, 1993, 69-98, qui 76-85.
40 Lettera a Maria von Wedemeyer, senza data [l'ipotesi dei curatori di C92, che la collocano alla fine di aprile 1944, è poco verosimile, in quanto essa si ricol­lega alla missiva di Maria del 26 aprile, che non può essere arrivata così in breve: la datazione dovrebbe essere posticipata alle prime settimane di maggio], C92, 173-176, qui 173 s.: «Io sono certamente molto favorevole alle scelte chiare, quan­do siano necessarie, ma di questi tempi non si deve – per l'amor di Dio – costrin­gere la gente a fare scelte non autentiche e non necessarie. [...] Le questioni di stile sono estranee alla fede. La mia principale riserva nei confronti deiBerneuch­ener riguarda il fatto che essi caricano la fede cristiana di uno stile, e così non per­mettono alle persone di arrivare alla loro piena libertà nella parola di Dio. Lo ca­pisci? [...] Non voglio essere cristiano e Berneuchener, ma cristiano e uomo libe­ro, e su questo vorrei che fossimo d'accordo».
41 Zwei Erinnerungen, in W.D. ZIMMERMANN (a cura di),Begegnungen mit Dietrich Bonhoeffer. Ein Almanach, Kaiser, Mtinchen, 1964, 123-128, qui 124 s. [Trad. it.: Ho conosciuto Dietrich Bonhoeffer, Queriniana, Brescia, 1970].
42 Scritti, 619-637.
43 Scritti, 635.
44 Scritti, 632. Dal contesto non sembra, contrariamente a quanto afferma DB, 694, che II Tim. 4,21 fosse uno dei versetti del giorno.
45 Lettera a Bethge, 22 dicembre 1943, RR, 242-244, qui 244.
46 Scritti, 628.
47 Scritti, 632.
48 Scritti, 628.
49 Scritti, 636: «Manhattan di notte, la luna è in alto sopra gli skyscrapers . molto caldo. Il viaggio si conclude.
Sono contento di essere stato laggiù, e sono contento di essere di nuovo sulla via del ritorno. Forse ho imparato di più in questo mese che nel corso di un anno, da nove anni a questa parte; almeno sono giunto a comprendere qualcosa di im­portante per tutte le future decisioni personali. Probabilmente questo viaggio avrà su di me un notevole influsso».
50 Lettera a Bethge dell'8 giugno 1944, RR, 397-402, qui 398: «Ci sono sem­pre motivi per non fare qualche cosa; la questione è solo se farla, nonostante ciò. Se uno volesse fare solo quelle cose che hanno tutti i motivi a favore, non si arri­verebbe mai all'azione».
51 Lettera a Maria von Wedemeyer (senza data, cfr. nota 40), C92, 173-176, qui 175: «Credo che la debolezza del nostro ceto dipenda fondamentalmente dalle sue riserve, giustificate e ingiustificate. La gente semplice in questo senso è di­versa, fa più errori, ma anche più cose buone, perché la via verso l'agire non pas­sa attraverso tante riserve».
52 Pensieri per il giorno del battesimo di Dietrich Wilhelm Rüdiger Bethge, RR, 364-370, qui 368: «Per voi [uomini di domani] pensare e agire entreranno in un nuovo rapporto. Voi penserete solo ciò di cui dovrete assumervi la responsabi­lità agendo. Per noi il pensare era molte volte il lusso dello spettatore, per voi sarà completamente al servizio del fare». Questo nuovo rapporto tra pensare e agire è per Bonhoeffer già presente nella giovane fidanzata: lettera a Maria von Wedemeyer, 16 aprile 1944, C92, 166-168, qui 167: «Tu fortunatamente non scri­vi libri, ma fai, sai, scopri, riempi con la vita vera ciò di cui io ho solo sognato. Conoscere, volere, fare, sentire, in te non sono divisi, ma formano un grande tut­to, e una cosa viene rafforzata e completata dall'altra». Queste riflessioni sull'a­zione vanno viste in relazione alla concezione della fede come actus directus, che accompagna Bonhoeffer fin dalle opere giovanili, attraversoSequela e l'Etica, per sfociare nell'idea del «cristianesimo inconsapevole» delle lettere dal carcere: cfr. le osservazioni e i riferimenti di H.R. REUTER, nella postfazione ad AE, in parti­colare 169 s.
53 RR, 448: «Fare ed osare non una cosa qualsiasi, ma il giusto/ non ondeg­giare nelle possibilità, ma afferrare coraggiosamente il reale/ non nella fuga dei pensieri, solo nell'azione è la libertà.
Lascia il pavido esitare ed entra nella tempesta degli eventi/ sostenuto solo dal comandamento di Dio e dalla tua fede/ e la libertà accoglierà giubilando il tuo spi­rito». Cfr. anche L'amico,RR470-473, qui 471: «quando poi dallo spirito nasce l'azione –1 davanti alla quale da soli noi stiamo o cadiamo – quando dall'azione/ forte e sana/ nasce l'opera/ che alla vita dell'uomo/ dà contenuto e senso,/ allora gli uomini che agiscono, che fanno, che son soli/ hanno desiderio di uno spirito amico capace di capire».
54 Lettera a Bethge, 31 gennaio 1940, GS II, 397: «Ci sono a volte settimane, in cui leggo molto poco la Bibbia. Qualcosa me lo impedisce. Poi, un giorno, ri­comincio, e di colpo è tutto così più forte [...]. In questo, non ho del tutto una buo­na coscienza [...]. Ma poi mi chiedo, se forse anche questa umanità non sia e non venga anch'essa sostenuta [mitgetragen] dalla parola di Dio. O pensi – propriamente lo penso anch'io! – che bisognerebbe costringersi? O forse ciò non è sem­pre bene?».
55 Lettera a Bethge, 25 giugno 1942, Scritti, 589 s., qui 590: il «settore profa­no» è, naturalmente, l' Abwehr e la sua attività cospirativa.
56 Maria von Wedemeyer racconta che, durante la detenzione di Dietrich, fece un tentativo di leggere i suoi libri, cominciando da SC, e che fu poi costretta a con­fessare al fidanzato la propria frustrazione, il che lo divertì molto: «Affermò che a suo giudizio l'unico importante era Vita comune, e preferiva che per leggerlo aspettassi fino a quando egli non fosse tornato in libertà»: Le altre lettere dal car­cere, appendice a RR, 505-514, qui 510.
57 Cfr., due anni dopo, la lettera a Bethge, domenica «Laetare»(19 marzo 1944), RR, 306-308, qui 308: «Sto trascorrendo di nuovo settimane in cui leggo poco la Bibbia; non ho la sensazione che si tratti di una colpa, e del resto so che tra qualche tempo tornerò a buttarmici sopra avidamente. Si può accettare la cosa co­me un processo spirituale del tutto "naturale"? Sarei incline a farlo. Sai, questo succedeva anche al tempo della nostra vita communis. Naturalmente, il rischio di lasciarsi andare è sempre presente; non bisogna però neppure diventare ansiosi su questo punto, ma confidare che, dopo qualche incertezza, la bussola tornerà ad in­dicare la giusta direzione».
58 Cfr. P. ZIMMERLING, Die Spiritualität Bonhoeffers in den GefängnisjahrenBeten, das Gerechte tun und auf Gottes Zeit warten, in R. MAYER - P. ZIMMERLING (a cura di), Dietrich Bonhoeffer, Mensch hinter Mauern, cit.35-68.
59 RR, 83.
60 RR, 89.
61 RR, 78, 85 e passim.
62 Lettera a Bethge, 18-22 novembre 1943, cit. 193.
63 RR, 92, 93,159; 245; 248; 260; 272; 282; 308; 322; 360; 378; 386; 445; 469; 474; C92, 108; 169; 201.
64 Scritti, 712-717.
65 Lettera ai genitori, 14 giugno 1943, Pentecoste, RR, 114-116, qui 114.
66 Lettera a Bethge, 18-22 novembre 1943, cit., qui 193.
67 Ad esempio, in RR, 1943: Ascensione, 111; Pentecoste, 114; Avvento, 200, 211, 213, 214, 220 (C92, 89, 96); Natale, 235 (C92, 100 ss.); 1944: Pasqua, 314, tempo tra Pasqua e l'Ascensione, 321, 340; Pentecoste, 328 s. (C92, 183). Sovente, il tempo liturgico detta riflessioni di grande efficacia: ad es., nella lettera a Bethge, 21-23 novembre 1943, RR, 200-203, qui 200: «una cella di prigione co­me questa rappresenta un'ottima similitudine per le condizioni proprie dell'Avvento: uno aspetta, spera, fa questo, fa quello – cose senza importanza, al­la fine –, la porta è chiusa e può essere aperta solo dall'esterno» (lo stesso pensie­ro nella lettera a Maria, scritta nello stesso giorno, C92, 89-91, qui 89).
68 Ad es.: RR, 82; 110; 114; 306; 356.
69 Progetto per uno studio, dirà, RR, 461: «Pietismo come estremo tenta­tivo di conservare il cristianesimo evangelico in quanto religione».
70 RR, 201
71 RR, 446.
72 S, 201.
73 Così A. GALLAS, Santità non è separazione. La concezione sapienziale dell' "esempio" in Dietrich Bonhoeffer, "Servitium" 28 (1994), 582-592, qui 585; dello stesso autore cfr. anche, più ampiamente, Non santi ma uomini, cit.
74 Lettera a Bethge, 21 luglio 1944, cit., 446.
75 Lettera a Bethge, 16-18 luglio 1944, 437-442, qui 442.
76 A. GALLAS, Santità non è separazione, cit., qui 87, ritiene di individuare nel­l'ultimo Bonhoeffer una presa di distanza da Lutero (rilettura del rapporto tra Cristo come dono e Cristo come esempio; diversa valutazione della parenesi pao­linica e deuteropaolinica, nonché della lettera di Giacomo, e dunque rifiuto bonhoefferiano del «canone nel canone», principio ermeneutico accolto invece da Lutero. Naturalmente, il problema del rapporto tra le due impostazioni esiste; nel­l'impostarlo, tuttavia, è utile evitare di schematizzare eccessivamente la posizio­ne di Lutero, al quale non è affatto estranea la dimensione parenetica ed esortati­va della Scrittura (basti pensare al Grande Catechismo, un testo che Bonhoeffer non cita spesso, ma che costituisce, a mio avviso, una presenza silenziosa lungo tutta la sua opera); in secondo luogo è indicativo che Bonhoeffer consideri ap­punto Lutero un esempio di «essere-aldiquà».
77 Lettera a Bethge, 21 luglio 1944, cit., qui 445.
78 Lettera a Bethge, 29-30 gennaio 1944, RR, 269-272, qui 271. Come esem­pio di dnthropos téleios, di uomo «perfetto», nel senso di indiviso, completo, to­tale, deciso a «fare il tutto», cioè a non lasciarsi lacerare dal carattere contraddit­torio della realtà, Bonhoeffer cita Witiko, il personaggio di Stifter, da lui profon­damente amato.
79 Progetto per uno studio, cit., 462.
80 Lettera a Bethge, 30 aprile 1944, RR, 349.
81 Cfr. Cristiani e pagani, RR, 427.
82 Lettera a Bethge del 30 aprile 1944, RR, 347-351, qui 350.
83 Pensieri nel giorno del battesimo..., cit., 370.
84 RR, 350, 355. Cfr., su questo punto, A. PANGRITZ, Dietrich Bonhoeffers Forderung einer Arkandisziplin. Eine Unerledigte Frage an Kirche und Theologie, Pahl-Rugenstein, Bonn, 1988.
85 Pensieri per il giorno del battesimo, cit., 370.
86 Ibid.
87 Lettera a Bethge del 30 aprile 1944, cit., qui 350. .
88 Lettera a Bethge, 18-22 novembre 1943, RR, 192-203, qui 194.
89 Lettera a Bethge, 5 dicembre 1943, 224-227, qui 225.
90 Lettera a Bethge del 27 giugno 1944, RR, 411 s., qui 411.
91 Lettera a Maria von Wedemeyer, 12 agosto 1943, C92, 48 s., qui 48.
92 Ibid.
93 Lettera a Bethge, 18-19 dicembre 1943, RR, 235-242, qui 237.
94 Lettera a Bethge, 20 maggio 1944, RR, 372-374, qui 372.
95 Potenze benigne, RR, 486.
96 Stazioni sulla via verso la libertà, cit., RR, 449. La stesura di questo contri­buto, presentato al convegno di Genova, si concludeva con la citazione della no­tissima testimonianza di R. Fischer Hüllstrung, medico del lager di Flossenbtirg, sugli ultimi istanti della vita di Bonhoeffer: «Attraverso la porta semiaperta di una stanza delle baracche, vidi che il pastore Bonhoeffer, prima di svestire gli abiti da prigioniero, si inginocchiò in profonda preghiera con il suo Signore. La preghiera così devota e fiduciosa di quell'uomo straordinariamente simpatico mi ha scosso profondamente. Anche al luogo del supplizio, egli fece una breve preghiera, quin­di salì coraggioso e rassegnato il patibolo. La morte giunse dopo pochi secondi. Nella mia attività medica di quasi cinquant'anni, non ho mai visto un uomo mori­re con tanta fiducia in Dio». Solo in seguito ho preso visione dell'articolo di J. GLENTHØJ, Zwei neue Zeugnisse von der Ermordung Dietrich Bonhoeffers, in R. MAYER, P. ZIMMERLING, Dietrich Bonhoeffer - Mensch hinter Mauern, cit., 99-111, che pubblica la testimonianza di J.L.F. Mogensen, all'epoca prigioniero a Flossenbürg: in base ad essa, la descrizione di Fischer si rivela, semplicemente, in­ventata; la procedura dell'esecuzione non consentiva pause richieste dal detenuto, né per preghiere, né per altro; non esisteva un luogo da cui l'esecuzione potesse essere sbirciata nei termini descritti da Fischer; non c'era patibolo, né scala per sa­lirlo, ma un gancio nel muro, a cui il detenuto Veniva appeso; è infine tutt'altro che certo che la morte sia sopravvenuta in breve, appunto perché le modalità dell'ese­cuzione portavano piuttosto a un lento strangolamento; in ogni caso, l'esecuzione del gruppo di condannati durò, secondo Mogensen, particolarmente a lungo, circa sei ore. Sulla carriera di Fischer, cfr. CH. SCHMINK-GUSTAVUS, Der Prozeß gegen Dietrich Bonhoeffer und die Freilassung seiner Mürder, Dietz, Bonn, 1995, 29‑34.

fonte:
www.notedipastoralegiovanile.it liberta-e-disciplina-la-spiritualita-di-dietrich-bonhoeffer


Dietrich Bonhoeffer    www.giovaniemissione.it/testimoni/bonhoeff.htm

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