E' NATALE :
"e il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi" (Gv.1,14)
Omelie della Domenica della Santa Famiglia,
della Notte di Natale, etc – Anno B
"La luce che rifulge in questa notte è la luce dell'Amore di Dio per l'uomo"
25 dicembre
Natale 2014, annata B
Commento al Vangelo di ENZO BIANCHI
Carissimi,
in questa notte, che è la notte del mondo, la notte del peccato, la notte della menzogna e della morte, noi diciamo la nostra fede e la nostra speranza nella luce: una luce – ne siamo certi – che vince la notte (cf. Gv 1,5); una luce che non viene da noi né dalla terra, ma spunta dall’alto (cf. Lc 1,78), viene da Dio; una luce che vuole rischiararci e darci vita. È laluce, “la luce vera” (Gv 1,9), è colui che ha detto nella sua gloria: “Io sono la luce del mondo” (Gv 8,12).
Il vangelo che abbiamo ascoltato vuole testimoniare come questa luce è venuta nel mondo. È venuta in un modo che in realtà non era né atteso né profetizzato, è venuta nel mondo senza imporsi, è venuta nel mondo senza ricorrere a una manifestazione gloriosa, a una teofania. È venuta nel mondo senza essere riconosciuta da coloro che avevano il compito di indicare la luce (cf. Gv 1,11) e non è stata riconosciuta da tutti quelli che avevano un potere in questo mondo. Che questo potere fosse politico, religioso, o fosse un potere esercitato quotidianamente sugli altri, in realtà poco importa. Luca legge questo evento ricordando la profezia di Michea, che abbiamo ascoltato, riguardo a un parto (cf. Mi 5,1-4a). La figlia di Sion, questa immagine, questa figura che designava per i profeti il piccolo resto, i poveri, i curvati, quelli che in ebraico vengono chiamati ‘anawim (cf. Sof 3,12-14), questa donna partorisce un bambino e lo partorisce non a Gerusalemme, non nella città santa, ma in una piccola borgata, a Betlemme; una borgata da cui David come pastore proveniva (cf. 1Sam 16,1), ma una borgata che non ha avuto alcun coinvolgimento in quello che è stato il suo regno.
Questo bambino – dice il profeta Michea – è il Signore, il discendente di David, e certamente per quelli che ascoltavano la profezia di tutti i profeti dell’Antico Testamento, doveva essere un re, un forte, un potente: così era atteso dal suo popolo. Ma ecco che Dio contraddice questa attesa degli uomini religiosi, questa attesa di quelli che erano sicuri della loro interpretazione delle Scritture, di quelli che continuavano a proclamare la venuta del Messia ma obbedendo ai loro desideri e alle loro immagini, piuttosto che attendere da Dio un’azione che poteva sempre essere nuova, inattesa, inedita.
E infatti – ci dice il vangelo – il Messia nasce ma è nient’altro che un piccolo infante, nato da una donna non conosciuta da nessuno. Nasce nella debolezza, nella povertà, in una condizione che è estranea a ogni regalità, divina o degli uomini. E proprio per questo nessuno lo riconosce come Messia e tanto meno nessuno sa vedere in lui un Dio che si è spogliato delle sue prerogative, che ha messo tra parentesi i suoi privilegi divini (cf. Fil 2,6-7), privilegi, appunto, rispetto alla condizione umana. Ecco perché solo una rivelazione, un messaggio di Dio può proclamare la vera identità di quel bambino. Ma è una rivelazione che può essere accolta solo dai poveri, i pastori. È a loro che viene detto che quel bambino è il Salvatore, che è il Cristo, il Messia, ma anche che è il Kýrios, il Signore. E proprio il segno che racconta questa identità è la fragilità estrema, la debolezza estrema, quella più radicale, quella di un neonato in una mangiatoia.
Ecco, noi celebriamo il Natale, ma dobbiamo chiederci se siamo capaci di stupirci di questo racconto della nascita di Gesù, così come se siamo capaci di stupirci di quella che sarà la sua fine, una morte in croce nel rigetto e nell’abbandono da parte di tutti. Perché in verità non riusciamo a credere un Dio così, un Dio che è un uomo debole e così piccolo come un neonato, un Dio che ha preso un volto ma – attenzione – il volto di Gesù, il corpo di Gesù. Ed è una grazia che nessuno l’abbia mai dipinto e che noi non lo conosciamo, perché è in realtà il corpo di milioni di uomini nella storia, affamati, nudi, poveri, stranieri, malati, emarginati dagli altri. Proprio questo più che mai siamo chiamati a vedere questa sera, vedendo Dio nel volto di un uomo. L’invito è dunque a vedere Dio nel volto di tutti quelli che incontriamo, soprattutto se sono piccoli e bisognosi. Questa sera guardando Gesù, il vero Gesù di Betlemme, non quello che risponde alle nostre fantasie, dovremmo sentirci dire le parole: “Ciò che avete fatto a uno così, l’avete fatto a me; ciò che avete fatto a chi è nel bisogno, l’avete fatto a me” (cf. Mt 25,31-46). A Natale la gloria di Dio – ci dice il vangelo – ha avvolto i poveri e si è fatta riconoscere nel povero, nel bisognoso, nel debole. Gesù è certamente Dio, e noi lo confessiamo, ma è innanzitutto ognuno dei nostri fratelli, ognuno degli uomini che noi incontriamo. Sappiamo vedere Dio nella quotidianità, nel volto dei fratelli, di cui Gesù è solo quell’immagine che tutti riassume, i cui tratti sono i tratti di tutti gli uomini nel bisogno e nella sofferenza?
Natale 2014, annata B
Commento al Vangelo di ENZO BIANCHI
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Omelia del cardinale Carlo Caffarra nella Messa della notte di Natale 2014
Di seguito il testo integrale dell’omelia tenuta dal cardinale Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna, nella Messa della notte di Natale 2014.
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Carissimi fratelli e sorelle, il diacono ha proclamato il Mistero che stiamo celebrando: «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi».
1. Ascoltiamo bene questo annuncio. Esso evidenzia l’accostamento fra due realtà – una persona divina e la carne umana – che sono per loro natura separati da un abisso. Oggi noi celebriamo il fatto che una persona divina, il Verbo, «Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero», ha unito a Sé la nostra natura e condizione umana, condividendone la debolezza e la corruttibilità, il limite e la morte.
Che cosa spinse la divina persona del Verbo ad umiliare Se stesso assumendo la nostra condizione umana? Fra poco, nel prefazio alla preghiera eucaristica proclamerò la risposta: «perché conoscendo Dio visibilmente, per mezzo suo siamo rapiti all’amore della realtà invisibile».
Quanto oggi è accaduto e ricordiamo, ha messo Dio a misura delle nostre capacità conoscitive. «Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato». Uomini degni di fede, gli apostoli, hanno vissuto questa incredibile esperienza: hanno veduto coi loro occhi; hanno udito colle loro orecchie; hanno toccato con le loro mani il Verbo-Dio fattosi uomo. E da questa esperienza è entrata nel mondo, attraverso la predicazione della Chiesa, «la luce vera, quella che illumina ogni uomo» che non vuole fermarsi alle questioni penultime della vita, ma ascolta il desiderio del suo cuore di cercare una risposta definitiva all’inesausta ricerca di beatitudine.
Dio si è fatto uomo per percorrere con noi la strada della vita, impedendo che questo percorso continui ad essere un vagabondaggio senza meta, ma volendo che sia un pellegrinaggio verso il possesso della vita.
E’ la fede che conoscendo Dio visibilmente, ci conduce nel mondo delle realtà invisibili. La persona umana mediante la fede può venire in possesso di una luce che gli dona la vera vita.
Cari fratelli e sorelle, molti vogliono farci pensare che la luce della fede in realtà fosse il frutto del sonno della ragione. Ma ora che questa – molti pensano - è stata risvegliata dalla scienza, la luce della fede è diventata inutile o comunque una mera convinzione soggettiva. E si è visto a quale mondo il celebrato “trionfo della ragione” ci ha portato: ad un mondo dal quale la speranza è esiliata, e l’uomo sottoposto ad ogni sorta di manipolazioni.
«Veniva» oggi «nel mondo la luce vera, che illumina ogni uomo», poiché solo nel mistero che oggi celebriamo, «nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo». E’ questo messaggio di speranza che oggi la Chiesa annuncia. «Il Signore ha snudato il suo santo braccio davanti a tutti i popoli; tutti i confini della terra vedranno la salvezza del nostro Dio».
2. Cari fedeli, forse ascoltando queste parole, sarete tentati di pensare: “ma tutto questo, che cosa ha a che fare colla mia vita di ogni giorno?” Penso ai tanti giovani senza lavoro; a chi è colpito da gravi malattie. A chi ritorna a casa proprio questa sera di Natale, così suggestiva, e si trova nella propria solitudine, perché il suo matrimonio è fallito. O la morte lo ha colpito nei suoi affetti più cari.
Caro fratello e sorella, il messaggio natalizio, se lo accogli, fa luce in queste notti dell’esistenza, perché ti dice che non le stai attraversando da solo: c’è Dio stesso che le attraversa con te. Facendosi uomo, Dio è diventato Colui che conosce la via che passa anche attraverso la morte; che passa con te attraverso solitudini immense.
La certezza che il nostro Dio è un Dio che accompagna l’uomo anche nella morte, anche attraverso le rovine di un’esistenza crollata e lo fa «con il suo bastone ed il suo vincastro mi da’ sicurezza»: questo è il messaggio di Natale.
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Corriere della Sera
In una intervista a Rai Uno, il cardinale Angelo Bagnasco ha detto di intravvedere il rischio di «una sfiducia radicale». L’invito è: riscoprire il «patrimonio di valori condivisi» -- L’augurio del cardinale Angelo Bagnasco agli italiani è di «non deprimersi davanti agli episodi gravi di malcostume». (...)
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Corriere della Sera
(Gian Guido Vecchi) «Quanto bisogno di tenerezza ha oggi il mondo!». Il secondo Natale di Francesco è accompagnato dalle note dell’«Et Incarnatus est», dalla Messa in Do minore di Mozart, un canto che per Bergoglio «è insuperabile: ti porta a Dio!». E nella Basilica Vaticana, davanti al Bambinello che il Papa porta di persona nel presepe in fondo alla basilica di San Pietro, l’omelia di Francesco è un richiamo a quella «rivoluzione della tenerezza» (...)
Natale, «Dio innamorato della nostra piccolezza» (Andrea Tornielli, Vatican Insider)
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AsiaNews
( Bernardo Cervellera) Col Natale Dio mostra che non si è stancato di noi. Pur fra tante guerre, ingiustizie, torture, persecuzioni, Dio non ha smesso di sperare nel cambiamento dell'uomo e viene ad aiutarlo. Il mondo vive di immobilismo sterile e di terrore apocalittico. (...)
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Perché stiamo con Francesco
il Fatto Quotidiano
(Antonio Padellaro) Non occorre essere credenti per avere un senso religioso della vita e per saper distinguere ciò che è bene da ciò che non lo è. Per esempio, basta assistere a una messa domenicale e anche chi ritiene che l’ostia consacrata sia soltanto un frammento di pane azzimo non potrà non riflettere sul raccoglimento delle persone che si avvicinano all’altare; su quel preciso momento in cui in esse sembra dileguarsi ogni fatica, ogni dispiacere del mondo quotidiano. Perfino l’ateo più incallito non potrà non riconoscere che quei fedeli abbiano trovato un benessere interiore che, magari per un solo istante, li renderà per così dire migliori. Lì certamente batte il cuore di una comunità unita nella fede, lì c’è la Chiesa che aiuta e che consola. Ma ne esiste un’altra di chiesa, purtroppo, ed è sufficiente leggere le quindici malattie della Curia romana secondo papa Bergoglio per comprendere come la descrizione puntuale di quei mali non riguardi soltanto le porpore vaticane smarrite nei propri vizi e affette da “Alzheimer spirituale”. Perché è così che Francesco continua a parlarci della battaglia finale tra forze opposte che convivono sotto la stessa croce. Senza scomodare gli angeli e i demoni di Dan Brown, non è uno scontro di potere: è in gioco l’affermazione o la sconfitta dei valori universali di pace, di uguaglianza, di tolleranza e di giustizia sociale, dentro ma anche oltre i confini della dottrina cattolica. Solo che, sembra avvertirci Bergoglio, la coesistenza (tante volte descritta su queste pagine da Marco Politi) tra la Chiesa della carità e la chiesa del carrierismo, tra quella altezzosamente dottrinaria e quella che preferisce stare tra la gente, è sempre più difficile e impone ormai una scelta di campo. Che non riguarda solo i cattolici, ma anche il mondo laico che non può fare finta di non vedere. Perché, se perde Francesco, con lui si consumerà una speranza formidabile di dialogo e di rinnovamento, mentre la restaurazione svuoterà di nuovo piazza San Pietro e il cuore di milioni di persone. Per questo Francesco combatte per tutti gli uomini di buona volontà. Per questo bisogna stargli accanto. PS. Al cospetto di questa affascinante e drammatica rivoluzione, fanno sorridere coloro, che solo per aver cambiato (spesso in peggio) alcune leggi, annunciano continue mirabolanti “rivoluzioni” e si sentono profeti del cambiamento. Anche a loro auguriamo buon Natale.
il Fatto Quotidiano
(Antonio Padellaro) Non occorre essere credenti per avere un senso religioso della vita e per saper distinguere ciò che è bene da ciò che non lo è. Per esempio, basta assistere a una messa domenicale e anche chi ritiene che l’ostia consacrata sia soltanto un frammento di pane azzimo non potrà non riflettere sul raccoglimento delle persone che si avvicinano all’altare; su quel preciso momento in cui in esse sembra dileguarsi ogni fatica, ogni dispiacere del mondo quotidiano. Perfino l’ateo più incallito non potrà non riconoscere che quei fedeli abbiano trovato un benessere interiore che, magari per un solo istante, li renderà per così dire migliori. Lì certamente batte il cuore di una comunità unita nella fede, lì c’è la Chiesa che aiuta e che consola. Ma ne esiste un’altra di chiesa, purtroppo, ed è sufficiente leggere le quindici malattie della Curia romana secondo papa Bergoglio per comprendere come la descrizione puntuale di quei mali non riguardi soltanto le porpore vaticane smarrite nei propri vizi e affette da “Alzheimer spirituale”. Perché è così che Francesco continua a parlarci della battaglia finale tra forze opposte che convivono sotto la stessa croce. Senza scomodare gli angeli e i demoni di Dan Brown, non è uno scontro di potere: è in gioco l’affermazione o la sconfitta dei valori universali di pace, di uguaglianza, di tolleranza e di giustizia sociale, dentro ma anche oltre i confini della dottrina cattolica. Solo che, sembra avvertirci Bergoglio, la coesistenza (tante volte descritta su queste pagine da Marco Politi) tra la Chiesa della carità e la chiesa del carrierismo, tra quella altezzosamente dottrinaria e quella che preferisce stare tra la gente, è sempre più difficile e impone ormai una scelta di campo. Che non riguarda solo i cattolici, ma anche il mondo laico che non può fare finta di non vedere. Perché, se perde Francesco, con lui si consumerà una speranza formidabile di dialogo e di rinnovamento, mentre la restaurazione svuoterà di nuovo piazza San Pietro e il cuore di milioni di persone. Per questo Francesco combatte per tutti gli uomini di buona volontà. Per questo bisogna stargli accanto. PS. Al cospetto di questa affascinante e drammatica rivoluzione, fanno sorridere coloro, che solo per aver cambiato (spesso in peggio) alcune leggi, annunciano continue mirabolanti “rivoluzioni” e si sentono profeti del cambiamento. Anche a loro auguriamo buon Natale.
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