Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

venerdì 12 dicembre 2014

Canto e lamento - Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non avete pianto.



Canto e lamento


Mai sazi. Mai contenti. Mai sereni. Mai come questa una generazione perduta. Abbiamo giocattoli che ci trastullano da mattina a sera, e il mondo sotto le impronte digitali, non ci manca quasi nulla, ma della felicità neanche l'ombra. Impegniamo energie e creatività nella ricerca della migliore qualità della vita, mentre la vita scorre senza nessuna qualità. Ma continuiamo a mettere in ridicolo i Profeti che ce lo ricordano; ai nostri occhi appaiono tutti indemoniatimangioni e beoniLe grida di Giovanni - lui di certo aveva un demonio - con tutto quel rigore come una passata di cartavetrata sulla pelle levigata dal vizio, un folle. E la misericordia paziente di Gesù seduta in compagnia dei malvagi? Roba di un ubriacone, un rammollito incapace di cambiare la storia e punire i peccatori. Noi no, nei nostri pensieri nessuna misericordia, sarebbe irragionevole, mentre all'amore che sgorga dalla carne concediamo ogni licenza. Spero che ci ritroviamo tutti nelle parole di Gesù. Facciamo parte di "questa generazione", abbiamo ricevuto la stessa educazione, ne condividiamo le scuole, i telegiornali, gli show e i miti. Guardiamo le stesse partite, ci indigniamo per le stesse ragioni. Nuotiamo nella stessa acqua, e non ci accorgiamo che qualcuno ha avvelenato i pozzi. Qualcosa di molto profondo ci si è attaccato addosso. Molto più di quanto tu possa pensare. Non sono solo schizzi di fango. E' il mondo, con le sue ragioni; è la carne, con le sue concupiscenze; è il demonio, con le sue seduzioni. E' "questa generazione", non diversa da quella che incontrò Gesù. Una generazione dal cuore ostinato e duro, e perciò capriccioso. Una generazione infantile che non vuol crescere, gelosa della propria stoltezza. Una generazione che nuota così bene nell'acqua infetta del peccato, così trasparente che non si riesce a distinguere dal bene; perché è questa l'arte maestra del demonio, confondere, manipolare, travestire la verità, perché quando essa arrivi, annunciata dalla Chiesa con serietà e misericordia, si rimanga sordi e incapaci di riconoscerla per accoglierla. Come i fanciulli della parabola. "Israele se tu mi ascoltassi!" diceva il Signore. Ma non abbiamo ascoltato nessuna Parola. Troppo dure, o troppo buone, tutte al di là dei nostri criteri capricciosi e viziati, moralisti e lassisti nello stesso tempo; siamo troppo lontani dall'equilibrio che solo l'amore può generare. Ma giunge la Croce. Ed è vera la Croce. E' dura e fa male, vero? Perché è la sapienza della croce quella a cui Dio rende giustizia, per giustificarci. Dove sono ora i capricci che mi illudevano di coccolarmi per non provare dolore? Dove sono le tante ragioni che mi spiegavano tutto spingendomi a comportarmi sempre così razionalmente? Ora, davanti al cancro, a tuo marito che è sparito nel nulla, a tuo figlio che, infilato in quella maschera che ti piaceva tanto nella tua insipiente superficialità, ti ha ingannato e giace tra la vita e la morte dopo l'ennesima notte buttata in un rave; ora che ti hanno licenziato, ora che non ce la fai più a tirare la carretta senza un grammo di soddisfazione e gratificazione; ora che sei rimasto solo, che anche quelli che pensavi fossero amici ti hanno voltato le spalle perché non gli servi più; ora che ti sei accorta d'essere anziana davvero, e non solo per gli acciacchi, ma perché sei diventata trasparente; in cucina, in salotto, in giardino, ovunque. Ti sorridono sì, ti coccolano certo, ma sei irrilevante, nessuno ti chiede più nulla, un consiglio, una parola, uno dei tuoi proverbi, neppure quelli. Non conti più nulla, per nessuno. Ora che la storia ti ha preso mani e piedi inchiodandoli all'umiliazione; ora che gli eventi ti si sono conficcati in testa come spine e non ci capisci più nulla. Ora che la relazione più importante della tua vita si è fatta così difficile e incomprensibile da perforarti il cuore come la lama affilata di una lancia. Ora che sei crocifisso, "dov'è il sapiente? Dov'è il dotto? Dove mai il sottile ragionatore di questo mondo?". Non c'è più nessuno che ti spieghi il dolore che nessuno sa spiegare. L'acqua nella qual nuotava non era poi così incolore e insapore. Era veleno, e ora passa il conto. Ma questo dolore che senti è l'avanguardia della sapienza che ti può salvare, perché ad essa "è stata resa giustizia dalle sue opere". Quali "opere"? Proprio quelle nelle quali stai morendo! Ma come? Ma che dici? Questa croce che mi sta uccidendo? Questo cancro? Si, proprio questo cancro, perché inchiodato con te al lettino della chemio c'è Cristo. Perché a fermarti nella corsa pazza verso la condanna e l'inferno, c'era Lui, inchiodato alla croce che ora ti sta umiliando. Come a "questa generazione", il demonio ti aveva iniettato il vaccino contro la conversione, e ormai ne eri immune; non ascoltavi più, non vedevi più, non parlavi più. Come i nostri figli, come i colleghi, come tutti. Per questo solo un virus sconosciuto poteva avere ragione dell'antidoto demoniaco. Il virus della sapienza crocifissa. Con le sue opere essa distrugge la pietra che imprigiona il cuore, per aprire un varco alla Parola della predicazione. Le opere che dimostrano false le sicurezze mondane e illusorie le sue ragioni fanno giustizia all'amore di Dio, l'unico che non si scandalizza mai, che per salvarci è disposto a gettarsi con noi nel fuoco o nel fondo dell'abisso. Coraggio allora, questo Avvento è un'occasione nuova per convertirci: alziamo oggi il nostro sguardo a Colui che abbiamo trafitto, arrendiamoci al suo amore sconsiderato. Non c'è altro da fare che lasciarci amare da Chi, per farci suoi "amici" si è fatto giudicare come "un mangione e un beone". Lui al posto nostro perché ciascuno di noi possa caricarsi con i peccati degli altri: solo così il fiume di male che affligge "questa generazione" può finalmente infrangersi sull'amore più forte della morte. Quello che ci ha raggiunti, con "canto e lamento" nella nostra storia concreta, con la dolcezza e la correzione, l'unica e medesima Parola di misericordia che ci ha rigenerato.




L'ANNUNCIO
Ma a chi paragonerò io questa generazione? Essa è simile a quei fanciulli seduti sulle piazze che si rivolgono agli altri compagni e dicono:
Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non avete pianto.
E' venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e hanno detto: Ha un demonio.
E' venuto il Figlio dell'uomo, che mangia e beve, e dicono: Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori. Ma alla sapienza è stata resa giustizia dalle sue opere».
 (Dal Vangelo secondo Matteo 11,16-19)


Mai sazi. Mai contenti. Mai sereni. Mai come questa una generazione perduta. Gadget d'ogni foggia, accessori sempre più miniaturizzati. Il mondo a portata di chat. Non manca praticamente nulla. Ma della felicità neanche l'ombra. L'impermeabilità ad ogni difficoltà, il rifiuto categorico di qualsiasi sofferenza. Energie e creatività profuse nella ricerca della migliore qualità della vita, mentre la vita scorre senza nessuna qualità.  Imbottiti di cose, siamo una generazione seduta sull'anima. E con le orecchie tappate. I Profeti sono messi in ridicolo. Tacitati, d'ogni loro parola se ne distillano le poche convenienti. Cerchiamo sempre e solo il nostro puro guadagno. In casa, in ufficio, a scuola, siamo il permanente centro di gravità, e che tutto vi giri intorno alla perfezione.

Ma sopraggiunge la Croce. E allora tutto è perduto, e sprofondiamo in depressioni galattiche, il senso del fare e del pensare si dissolve. E i Profeti, oggi come sempre nella storia, ai nostri occhi sono tutti indemoniati, o mangioni e beoni. Non erano e non sono proprio credibili. Era un pazzo Noè, costruiva un'arca nel bel mezzo d'una pianura. E splendeva il sole e si lavorava, si metteva su famiglia, ci si godeva la vita. E quel pazzo continuava a costruire un'arca. E vi metteva dentro coppie d'animali, e addirittura la sua famiglia. Poi chiuse la porta. All'improvviso un tuono, un diluvio d'acqua e tutto perduto. Matrimoni, lavori, locande, tutto spazzato via. E l'arca era lì, riparo e salvezza d'un pugno di pazzi.

Le grida di Giovanni, era un pazzo anche lui, indemoniato di certo. La legge, i tabù, le Dieci Parole, paccottiglia per soggiogare. E la misericordia paziente di Gesù seduta in compagnia dei malvagi. Un ubriacone, un rammollito. Ha rinunciato alla vita e predica vane utopie. Ed io, come Cartesio, penso e dunque sono. Nei miei pensieri niente misericordia, l'amore è solo di carne, il resto sono fandonie, non esiste nulla al di fuori dei miei schemi pensati. Pura alienazione, oppio dei popoli.

E giunge la Croce. E' vera la Croce. E' dura la Croce. Fa male. I chiodi solcano la carne e la straziano, il dolore si fa lancinante. Le spine assopiscono la mente. Dove sono i pensieri che mi hanno fatto essere? Dove sono le tante cose che hanno riempito tempo e pancia?

"Israele se tu mi ascoltassi!". Ma non abbiamo ascoltato. Nessuna Parola. Troppo dure. Troppo buone. Non facevano per noi le Parole di Dio. Ed ora ci ritroviamo soli di fronte alla Croce.

Ma alla Sapienza è stata resa giustizia dalle sue opere. La sapienza della Croce ha svelato l'inganno. Le opere nascoste d'un cuore infinito. L'amore cocciuto di Dio che cerca senza riposo la pecora smarrita. "Non hanno ascoltato nessuno, avranno pietà di mio Figlio". E invece no, nessuna pietà. Deriso, insultato, condannato, crocifisso. Ed era lì l'unica vera Sapienza, nella sua morte la nostra vita. Non c'era altro da fare, il Signore doveva morire così. Muto, come pecora di fronte ai tosatori. Non ne avevamo alcuna stima, eppure stava portando i nostri peccati. La nostra vita balorda, ingannata, ubriaca di cose e di idee, era lì, sulle sue spalle, le nostre ore perdute trafiggevano le sue membra.

E il seme caduto in terra moriva. E dalla sua morte dentro la nostra morte, sbocciava la vita. Sapienza d'un miracolo. La Giustizia della Croce ha giustiziato il nemico. La verità risplende nella sua risurrezione. Abbiamo perso tanto della nostra vita, illusi abbiamo chiuso orecchie e cuore ai tanti Profeti che il Padre ci aveva inviato. E ci siamo perduti. Ma no, non tutto è finito. Non siamo nati per morire così. Alziamo oggi il nostro sguardo a Colui che abbiamo trafitto, arrendiamoci al suo amore sconsiderato. Ha dato la vita per dei cialtroni come noi. Non induriamo oggi il nostro cuore. Viene il Signore a salvare ciò che era perduto.

Accogliamolo oggi in questo nostro Avvento. Come Maria fermiamoci ai suoi piedi. In ginocchio, piegata nella sua estrema debolezza, Maria riconosce la propria poverissima realtà. Umile, inginocchiata sull' "humus", la terra che senza lo Spirito non cessa d'esser nulla destinata al nulla. "Chi non piange su ciò di cui bisogna piangere, non potrà mai gioire" (S. Fausti, Una comunità legge il Vangelo di Matteo). Maria ai piedi di Gesù, nuda e indifesa dinanzi alla predicazione del Battista, alla chiamata alla conversione, la sola capace di aprire il cuore alla gioia della misericordia. Maria nella verità. Ai piedi di Gesù, nella sua intimità, contemplando quei piedi benedetti che hanno aperto il cammino alla sua libertà, alla felicità. Ai piedi di Gesù, pronta all'obbedienza, abbandonata alla volontà di Dio.

Maria accolta da Gesù, nel suo banchetto di perdono e di pace. Ecco l'atteggiamento più puro, più vero, l'unico che si addice al cristiano. Ai piedi di Gesù, la parte buona che non sarà mai tolta, la presenza dolce del Signore in ogni istante della giornata. Gesù che colma le nostre vita. Il timore capace di discernere il tempo favorevole, il Kairos nel quale il Suo amore viene a visitarci. Ai piedi di Gesù, questa è l'unico modo sensato e sapiente di vivere, nel timore di Dio, il principio della Sapienza, la porta che apre il cammino al Cielo.
Ma sopraggiunge la Croce. E allora tutto è perduto, e sprofondiamo in depressioni galattiche, il senso del fare e del pensare si dissolve. E i Profeti, oggi come sempre nella storia, ai nostri occhi sono tutti indemoniati, o mangioni e beoni. Non erano e non sono proprio credibili. Era un pazzo Noè, costruiva un'arca nel bel mezzo d'una pianura. E splendeva il sole e si lavorava, si metteva su famiglia, ci si godeva la vita. E quel pazzo continuava a costruire un'arca. E vi metteva dentro coppie d'animali, e addirittura la sua famiglia. Poi chiuse la porta. All'improvviso un tuono, un diluvio d'acqua e tutto perduto. Matrimoni, lavori, locande, tutto spazzato via. E l'arca era lì, riparo e salvezza d'un pugno di pazzi.
Le grida di Giovanni, era un pazzo anche lui, indemoniato di certo. La legge, i tabù, le Dieci Parole, paccottiglia per soggiogare. E la misericordia paziente di Gesù seduta in compagnia dei malvagi. Un ubriacone, un rammollito. Ha rinunciato alla vita e predica vane utopie. Ed io, come Cartesio, penso e dunque sono. Nei miei pensieri niente misericordia, l'amore è solo di carne, il resto sono fandonie, non esiste nulla al di fuori dei miei schemi pensati. Pura alienazione, oppio dei popoli.
E giunge la Croce. E' vera la Croce. E' dura la Croce. Fa male. I chiodi solcano la carne e la straziano, il dolore si fa lancinante. Le spine assopiscono la mente. Dove sono i pensieri che mi hanno fatto essere? Dove sono le tante cose che hanno riempito tempo e pancia?
"Israele se tu mi ascoltassi!". Ma non abbiamo ascoltato. Nessuna Parola. Troppo dure. Troppo buone. Non facevano per noi le Parole di Dio. Ed ora ci ritroviamo soli di fronte alla Croce.
Ma alla Sapienza è stata resa giustizia dalle sue opere. La sapienza della Croce ha svelato l'inganno. Le opere nascoste d'un cuore infinito. L'amore cocciuto di Dio che cerca senza riposo la pecora smarrita. "Non hanno ascoltato nessuno, avranno pietà di mio Figlio". E invece no, nessuna pietà. Deriso, insultato, condannato, crocifisso. Ed era lì l'unica vera Sapienza, nella sua morte la nostra vita. Non c'era altro da fare, il Signore doveva morire così. Muto, come pecora di fronte ai tosatori. Non ne avevamo alcuna stima, eppure stava portando i nostri peccati. La nostra vita balorda, ingannata, ubriaca di cose e di idee, era lì, sulle sue spalle, le nostre ore perdute trafiggevano le sue membra.
E il seme caduto in terra moriva. E dalla sua morte dentro la nostra morte, sbocciava la vita. Sapienza d'un miracolo. La Giustizia della Croce ha giustiziato il nemico. La verità risplende nella sua risurrezione. Abbiamo perso tanto della nostra vita, illusi abbiamo chiuso orecchie e cuore ai tanti Profeti che il Padre ci aveva inviato. E ci siamo perduti. Ma no, non tutto è finito. Non siamo nati per morire così. Alziamo oggi il nostro sguardo a Colui che abbiamo trafitto, arrendiamoci al suo amore sconsiderato. Ha dato la vita per dei cialtroni come noi. Non induriamo oggi il nostro cuore. Viene il Signore a salvare ciò che era perduto.
Accogliamolo oggi in questo nostro Avvento. Come Maria fermiamoci ai suoi piedi. In ginocchio, piegata nella sua estrema debolezza, Maria riconosce la propria poverissima realtà. Umile, inginocchiata sull' "humus", la terra che senza lo Spirito non cessa d'esser nulla destinata al nulla. "Chi non piange su ciò di cui bisogna piangere, non potrà mai gioire" (S. Fausti, Una comunità legge il Vangelo di Matteo). Maria ai piedi di Gesù, nuda e indifesa dinanzi alla predicazione del Battista, alla chiamata alla conversione, la sola capace di aprire il cuore alla gioia della misericordia. Maria nella verità. Ai piedi di Gesù, nella sua intimità, contemplando quei piedi benedetti che hanno aperto il cammino alla sua libertà, alla felicità. Ai piedi di Gesù, pronta all'obbedienza, abbandonata alla volontà di Dio.
Maria accolta da Gesù, nel suo banchetto di perdono e di pace. Ecco l'atteggiamento più puro, più vero, l'unico che si addice al cristiano. Ai piedi di Gesù, la parte buona che non sarà mai tolta, la presenza dolce del Signore in ogni istante della giornata. Gesù che colma le nostre vita. Il timore capace di discernere il tempo favorevole, il Kairos nel quale il Suo amore viene a visitarci. Ai piedi di Gesù, questa è l'unico modo sensato e sapiente di vivere, nel timore di Dio, il principio della Sapienza, la porta che apre il cammino al Cielo.

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