Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

mercoledì 10 dicembre 2014

L’Avvento è ...

L’Avvento è riconoscere di avere bisogno

DI COSTANZA MIRIANO
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di Costanza Miriano
L’Avvento è riconoscere di avere bisogno. O meglio, forse non nell’ordine, cercare di imparare a cucinare entro il pranzo di Natale che ormai si è grandi ed è ora, trovare quella bambola mai prodotta che ci è stata chiesta perché tanto Gesù trova tutto, spedire qualche biglietto come se si fosse vere signore almeno qualche secondo prima della messa di mezzanotte, e riconoscere di avere bisogno.
Perché, cosa si aspetta se non si ha bisogno di nulla?
L’Avvento dunque è innanzitutto riconoscere la propria sofferenza o fatica o pesantezza di vivere, o vero e proprio dolore. È dirlo, una buona volta. Io da sola non posso nulla. Non posso neanche fare felici le persone a cui voglio bene, guarda un po’, perché non basto a me stessa figuriamoci se posso bastare a un altro.
Perché ci si prova, ma volere veramente bene è così difficile. Volere il bene dell’altro, saperlo guardare con lo sguardo che lui desidera, capire il suo mistero, rispettare il suo silenzio. Neanche con i figli si riesce, e sì che lo si vuole più di ogni altra cosa!
Ma non basta riconoscere di stare male. Quello può venire anche facile, al limite può anche essere qualcosa a cui ci si affeziona. Una cuccia in cui ci si accomoda. Una scusa, un rifugio, un’abitudine, un alibi. E quindi il passaggio che ci fa fare l’Avvento è distogliere lo sguardo da noi, dal nostro dolore, e posarlo sull’attesa di quello che ci può salvare. Perché Salvatore non è solo quello che ci salva dall’inferno, dalla morte, ma innanzitutto è quello che ci salva qui e ora, oggi, su questa terra. Gesù passa nella nostra tristezza e la rende feconda se noi siamo docili, se siamo disponibili a collaborare con lui, se siamo aperti alla vita (che poi è un po’ il principio dei metodi naturali: se vuoi agire, Dio, noi non ti mettiamo ostacoli).
Come avviene questo concretamente? Alzando lo sguardo dalla nostra sofferenza e guardando quella di qualcun altro. Riconoscere che il nostro è un vuoto strutturale da riempire amando gratis (formula non vissuta, purtroppo, ma imparata a memoria al corso vocazionale ad Assisi da piccola e rimasta scolpita nella zucca, come molte delle cose che spaccio per mie). Cominciare telefonando a quella persona noiosa, facendo la spesa per quell’altra, dando un aiuto economico a quella famiglia, accarezzando una piaga. E farlo con la certezza che è l’unico modo per convertirsi, cioè per essere felici, e che quella croce è misurata per noi, è della grandezza e della pesantezza esatte, al grammo, per le nostre spalle, per guarirci e farci felici.
I santi hanno fatto tutti così, si sono occupati di qualcun altro, e a volte, direi spesso se non sempre, nel momento del buio, del dubbio, della desolazione, della notte oscura. Ma nella notte brilla una luce, o anche solo la promessa di una luce. A volte basta per non lasciarsi morire.

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