Enzo Bianchi Commento Vangelo Santa Famiglia
Santa Famiglia anno B
28 dicembre 2014
Commento al Vangelo
di ENZO BIANCHI
dal sito del Monastero di Bosedi ENZO BIANCHI
Lc 2, 22-40
Se nel giorno di Natale abbiamo contemplato l’evento puntuale della nascita di Gesù a Betlemme e la sua adorazione da parte dei pastori, i poveri di Israele (cf. Lc 2,1-20), la pagina evangelica odierna attira la nostra attenzione su un altro aspetto del mistero della sua venuta nella carne. L’incarnazione comprende anche la crescita di Gesù, il suo divenire uomo nello spazio di una famiglia precisa e di un ambiente sociale e religioso determinato: è in questo contesto che «il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui».
Gesù ha conosciuto una crescita umana e spirituale, affettiva e psicologica, così come ogni uomo è chiamato a fare nella propria limitatezza, nella propria particolare situazione esistenziale: il Figlio di Dio, divenuto figlio dell’uomo, ha assunto la forma umana (cf. Fil 2,6-7) e ha condiviso in tutto la nostra condizione umana, senza però commettere peccato (cf. Eb 2,15), restando cioè pienamente fedele e obbediente al Padre. È importante sottolineare il quotidiano e faticoso «divenire uomo» da parte di Gesù, che abbraccia tutti gli aspetti della sua umanità, a partire dall’obbedienza ai suoi genitori: da loro, come ogni neonato, egli dipende totalmente nei primi tempi della sua vita. È proprio passando attraverso questo amore accolto su di sé che egli diverrà una persona capace di relazioni e di amore, fino al dono della vita per amore del Padre e degli uomini suoi fratelli.
Ma oltre all’ambiente familiare Gesù ha conosciuto anche un ambiente sociale e religioso in cui è stato inserito fin dalla sua nascita. E così al compimento degli otto giorni egli viene circonciso, con il gesto che lo rende appartenente al popolo dell’alleanza (cf. Lc 2,21); poi al quarantesimo giorno Maria e Giuseppe, in obbedienza alla Legge, lo portano al tempio di Gerusalemme «per presentarlo al Signore». Essi offrono «il sacrificio dei poveri» – cioè una coppia di colombi invece di un agnello (cf. Lv 5,7; 12,8), per loro troppo costoso – e in questo modo adempiono le norme di purificazione previste. Ma questa obbedienza diviene ormai, per la presenza di Gesù, compimento della Legge: presentato al tempio, egli non viene riscattato mediante il pagamento di una somma di denaro, perché è lui stesso il riscatto, «la redenzione di Gerusalemme», colui che è venuto a dare la vita in riscatto per tutti (cf. Mc 10,45); non viene santificato, come esigeva la Legge per ogni primogenito (cf. Es 13,2), ma viene riconosciuto Santo, come già era stato proclamato per bocca dell’angelo (cf. Lc 1,35).
E al tempio il riconoscimento di Gesù avviene ad opera di Simeone e Anna, due anziani credenti che vivono la condizione di «poveri del Signore», quell’umile resto di Israele che confidava solo nel Signore (cf. Sof 3,12-13) e attendeva la venuta del suo Messia. Illuminato dallo Spirito santo, Simeone accoglie tra le sue braccia il bambino e scioglie a Dio il suo canto di benedizione: egli ormai può morire in pace, perché i suoi occhi hanno contemplato in Gesù la salvezza di Dio, colui che è «luce per la rivelazione alle genti e gloria del popolo di Israele». Anna, che da tanti anni si preparava a questo incontro con la salvezza di Dio, «non allontanandosi mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere», ora comprende nella fede che è giunta l’ora del compimento atteso: e così, alla sera della sua vita, loda Dio e annuncia il bambino quale Redentore e Salvatore. I due anziani profeti non «trattengono» per sé Gesù ma si rallegrano di condividere con tutti la rivelazione della salvezza compiutasi in questo bambino, una salvezza a caro prezzo: per questo Gesù è definito da Simeone «segno che sarà contraddetto, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori»…
Sì, fin dai primi giorni terreni di Gesù, un neonato ancora incapace di parlare, si manifesta nella storia il disegno d’amore realizzato da Dio attraverso di lui: la venuta del Figlio di Dio nella carne «ci insegna a vivere» (cf. Tt 2,12), facendo della vita un cammino di obbedienza alla nostra condizione di creature volute e amate da Dio; e ci insegna a morire, facendo liberamente della nostra morte un atto d’amore per Dio e per i fratelli, alla sequela di Gesù.
Se nel giorno di Natale abbiamo contemplato l’evento puntuale della nascita di Gesù a Betlemme e la sua adorazione da parte dei pastori, i poveri di Israele (cf. Lc 2,1-20), la pagina evangelica odierna attira la nostra attenzione su un altro aspetto del mistero della sua venuta nella carne. L’incarnazione comprende anche la crescita di Gesù, il suo divenire uomo nello spazio di una famiglia precisa e di un ambiente sociale e religioso determinato: è in questo contesto che «il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui».
Gesù ha conosciuto una crescita umana e spirituale, affettiva e psicologica, così come ogni uomo è chiamato a fare nella propria limitatezza, nella propria particolare situazione esistenziale: il Figlio di Dio, divenuto figlio dell’uomo, ha assunto la forma umana (cf. Fil 2,6-7) e ha condiviso in tutto la nostra condizione umana, senza però commettere peccato (cf. Eb 2,15), restando cioè pienamente fedele e obbediente al Padre. È importante sottolineare il quotidiano e faticoso «divenire uomo» da parte di Gesù, che abbraccia tutti gli aspetti della sua umanità, a partire dall’obbedienza ai suoi genitori: da loro, come ogni neonato, egli dipende totalmente nei primi tempi della sua vita. È proprio passando attraverso questo amore accolto su di sé che egli diverrà una persona capace di relazioni e di amore, fino al dono della vita per amore del Padre e degli uomini suoi fratelli.
Ma oltre all’ambiente familiare Gesù ha conosciuto anche un ambiente sociale e religioso in cui è stato inserito fin dalla sua nascita. E così al compimento degli otto giorni egli viene circonciso, con il gesto che lo rende appartenente al popolo dell’alleanza (cf. Lc 2,21); poi al quarantesimo giorno Maria e Giuseppe, in obbedienza alla Legge, lo portano al tempio di Gerusalemme «per presentarlo al Signore». Essi offrono «il sacrificio dei poveri» – cioè una coppia di colombi invece di un agnello (cf. Lv 5,7; 12,8), per loro troppo costoso – e in questo modo adempiono le norme di purificazione previste. Ma questa obbedienza diviene ormai, per la presenza di Gesù, compimento della Legge: presentato al tempio, egli non viene riscattato mediante il pagamento di una somma di denaro, perché è lui stesso il riscatto, «la redenzione di Gerusalemme», colui che è venuto a dare la vita in riscatto per tutti (cf. Mc 10,45); non viene santificato, come esigeva la Legge per ogni primogenito (cf. Es 13,2), ma viene riconosciuto Santo, come già era stato proclamato per bocca dell’angelo (cf. Lc 1,35).
E al tempio il riconoscimento di Gesù avviene ad opera di Simeone e Anna, due anziani credenti che vivono la condizione di «poveri del Signore», quell’umile resto di Israele che confidava solo nel Signore (cf. Sof 3,12-13) e attendeva la venuta del suo Messia. Illuminato dallo Spirito santo, Simeone accoglie tra le sue braccia il bambino e scioglie a Dio il suo canto di benedizione: egli ormai può morire in pace, perché i suoi occhi hanno contemplato in Gesù la salvezza di Dio, colui che è «luce per la rivelazione alle genti e gloria del popolo di Israele». Anna, che da tanti anni si preparava a questo incontro con la salvezza di Dio, «non allontanandosi mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere», ora comprende nella fede che è giunta l’ora del compimento atteso: e così, alla sera della sua vita, loda Dio e annuncia il bambino quale Redentore e Salvatore. I due anziani profeti non «trattengono» per sé Gesù ma si rallegrano di condividere con tutti la rivelazione della salvezza compiutasi in questo bambino, una salvezza a caro prezzo: per questo Gesù è definito da Simeone «segno che sarà contraddetto, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori»…
Sì, fin dai primi giorni terreni di Gesù, un neonato ancora incapace di parlare, si manifesta nella storia il disegno d’amore realizzato da Dio attraverso di lui: la venuta del Figlio di Dio nella carne «ci insegna a vivere» (cf. Tt 2,12), facendo della vita un cammino di obbedienza alla nostra condizione di creature volute e amate da Dio; e ci insegna a morire, facendo liberamente della nostra morte un atto d’amore per Dio e per i fratelli, alla sequela di Gesù.
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