Il missionario è l'uomo delle Beatitudini.
Gesù istruisce i Dodici prima di mandarli ad evangelizzare,
indicando loro le vie della missione:
povertà, mitezza, accettazione delle sofferenze e persecuzioni,
desiderio di giustizia e di pace, carità,
cioè proprio le Beatitudini, attuate nella vita apostolica.
Vivendo le Beatitudini, il missionario sperimenta e dimostra concretamente
che il Regno di Dio è già venuto ed egli lo ha accolto.
La caratteristica di ogni vita missionaria autentica
è la gioia interiore che viene dalla fede.
In un mondo angosciato e oppresso da tanti problemi,
che tende al pessimismo,
l'annunciatore della buona novella
deve essere una persona che ha trovato in Cristo la vera speranza.
Giovanni Paolo II, Redemptoris Missio, n. 91
Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 6,20-26.
Alzati gli occhi verso i suoi discepoli, Gesù diceva: «Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio.
Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi che ora piangete, perché riderete.
Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e v'insulteranno e respingeranno il vostro nome come scellerato, a causa del Figlio dell'uomo.
Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i profeti.
Ma guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione.
Guai a voi che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi che ora ridete, perché sarete afflitti e piangerete.
Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i falsi profeti.
Il commento
Può darsi che qualcuno si sia svegliato con un peso allo stomaco. E, forse, le lacrime abbiano attraversato il viso impregnandolo di un’amara malinconia. Può darsi che per qualcuno, oggi, sia un altro giorno triste, pieno di angoscia, fallimento, paura. E una totale povertà, l’aridità di chi ne ha provate tante, probabilmente si è anche impegnato, e non ha tratto un ragno dal buco. Il nulla nelle mani, e una serie di rimpianti da serrare gli occhi su qualsiasi presente. Poveri, pitocchi, nullatenenti. Relazioni disastrose, un cuore esanime dopo l’infruttuosa rincorsa a un po’ d’affetto. Marziani in una società travestita, che per il solo fatto di varcare la soglia di una Chiesa ti impacchetta in una vetrina d’antiquariato. Una vita tentata, ma poi, quanta fatica ad andare controcorrente, lusinghe, tentazioni, pensieri, tutto a congiurare contro il brandello di vita cristiana che è questa nostra vita.
E fame d’affetto, di abbracci, di qualcuno che ti accolga così come sei; fame di pace, di gioia, di un sorriso pieno che non scivoli dentro una lacrima di delusione. Fame di eterno tra le sabbie mobili di un veleno che corrompe anche i momenti più belli. Un pellegrinaggio, un incontro, una catechesi, e tutto sembra risorgere; ma poi la “solita vita” che incalza e sembra fagocitare voracemente ogni speranza di cambiamento.
E lacrime, quasi sempre nascoste, timide, incerte, gocce e fiumi, chiuse in un grido di tristezza strozzato negli obblighi di tutti i giorni. Lacrime impresentabili, cucite sulla fodera dei sorrisi di circostanza dinanzi ai genitori, ai mariti, alle mogli, agli amici, ai colleghi.
E l’odio di tutto il mondo. Perché? Perché la sola nostra esistenza è oggetto di ripulsa, di veleni, di invidie, di odio? Perché? Perché siamo suoi, siamo di Gesù. Le parole pronunciate quel giorno, il Signore le annuncia oggi a ciascuno di noi. E che cosa ci dicono? Ci svelano finalmente chi siamo davvero. Illuminano quello che abbiamo voluto nascondere, noi e i nostri figli. Gesù ci dice oggi che siamo suoi al punto di essere una sola carne e un solo spirito con Lui. Ci dice la verità, perché sia finalmente scartata come un regalo e messa in evidenza davanti al mondo. Siamo i "suoi discepoli", figli del suo Regno, e per questo siamo "beati"!
Basta con la lotta che ci ha stremati: basta cercare di convincere noi stessi e gli altri che non siamo "poveri", che non abbiamo nulla da "piangere", e che grazie, davvero, ma non abbiamo bisogno di nulla, non "abbiamo fame".... Basta far finta che nessuno "ci odi" e ci "metta al bando", che, per carità, noi amici di tutti, nessuno "ci insulta"; il "nostro nome"? Onoratissimo e stimato ovunque, mai che qualcuno ci abbia dato degli "scellerati". Basta nasconderci e occultare la nostra identità; basta ipocrisie e sforzi sovrumani per camuffarci, e parlare le parole di tutti, e cercare goffamente di fare quello che fanno tutti; anche i peccati, tra le nostre mani, sanno di caricatura e ci fanno ridicoli ancor prima che poveri peccatori. Basta allora, perché tutto quello che ci accade, ma proprio tutto, è "a causa del Figlio dell'uomo" che ci ha amati infinitamente, ci ha riscattati e ci ha scelti per essere "suoi discepoli". Quanto tempo sprecato nella nostra vita, cercando ragioni e senso ai giorni e agli eventi. Quante parole spese inutilmente per convincere i nostri figli di chissà quale menzogna per spiegare quello che la carne non può capire. Il matrimonio non può che essere quello che è oggi! I figli non possono essere diversi da quello che sono! Il lavoro? La scuola? Il fidanzato o la fidanzata? La salute? Il conto in banca? Il marito? La moglie? La suocera? Tu? Nulla può essere altro da quello che è oggi, perché è così "a causa di Gesù". Certo, qualcuno di noi potrebbe dire: Ah beh, se è così, allora chiudiamo tutto e basta... Dicevo bene io che questa sfortuna mi perseguita "a causa di Dio", che o non esiste o se esiste si è dimenticato di me....
E invece no, tutto, eccetto il peccato, è "a causa del Figlio dell'uomo", tutto viene da Lui perché il suo amore sia annunciato in ogni angolo della terra. Siamo poveri, affamati, piangiamo ogni giorno lacrime abbondanti tra insulti e rifiuti, perché in noi vive Cristo. Siamo i discepoli che Egli ha scelto per inoltrarsi negli abissi di dolore di questa generazione, dove il demonio ha fatto una carneficina. La nostra fame, la nostra povertà, le nostre lacrime sono quelle di ogni uomo schiavo del peccato e della menzogna. La nostra vita con quello che Dio ci dà ogni giorno sono la carne che Lui ha scelto per tornare ad incarnarsi ed entrare in rapporto con gli uomini di questo tempo. E per questo non c'è altro cammino che quello percorso da Gesù. Dio ama tutti di un amore infinito e freme di compassione vedendoli perduti nel peccato. Chi potrà loro annunciare che la morte è vinta se non chi della loro stessa morte porta le stigmate gloriose perché passate dalla morte alla resurrezione. Per salvare le persone occorre parlare la loro stessa lingua di "povertà, fame e lacrime", altrimenti sarebbe tutto un teatro.
"Beati" noi perché Gesù si è fatto ricchezza, pane e letizia per noi: oggi è nostro il Regno di Dio, capite?? Il Regno, il Cielo, ogni ricchezza! Non un sogno o un ideale, ma un regno reale che possiamo sperimentare. La povertà comune ad ogni uomo è in noi trasformata in ricchezza perché gli altri possano iniziare a sperare anche per loro qualcosa di vero; così con la fame saziata dall'amore infinito di Dio, e dalle lacrime consolate dalla sua misericordia e dalla sua Parola. Il mondo, i nostri figli, chi ci è accanto ogni giorno o un solo istante, tutti hanno bisogno di vederci e, attraverso di noi, avere qualcosa e Qualcuno da sperare: non possono fare a meno di vederci gustare delle primizie della " grande ricompensa" che ci attende "nei cieli": reali, concrete, che potrebbero assaporare anche loro se solo accogliessero la predicazione. Per salvarsi però, devono poter vedere chi vive pensando alle cose di lassù, non perché alienati ma perché ben piantati in terra: avendole pregustate vive tutto con libertà e per questo seriamente. Ma per i cristiani niente è assoluto e definitivo, sia un successo che un fallimento. Per tutto c'è speranza, basta avere pazienza e fiducia nella Provvidenza. I "discepoli di Gesù" vivono così, nell'anticipo della beatitudine celeste. Il mondo vicino a noi deve vedere il Cielo per non naufragare nell'inganno di pensare "mangiamo e beviamo che domani moriremo".
Per questo ogni rifiuto è una benedizione! Significa che la nostra vita è cosi autenticamente celeste da scatenare l'ira del nemico di Dio; attraverso di noi, come già fu con Gesù, i demoni sono stanati e "rovinati prima del tempo"! Chiaro che si soffre; a chi piace essere insultati, rifiutati e derisi? A nessuno, nemmeno a Gesù. Eppure, a volte il demonio si può vincere solo così. Si mimetizza così bene che, per scoprirlo e cacciarlo via, è necessaria la presenza di Cristo in noi, il suo profumo di Cielo spandersi dai suoi discepoli crocifissi. Per questo, siamo chiamati ogni giorno ad annunciare con la nostra "beatitudine" il "guai" che può salvare il prossimo. Solo un "guai" ben detto, autentico e credibile come un secchio d'acqua fredda in faccia, può destare chi dorme nel sonno della menzogna. Solo un "beato" sulla Croce può testimoniare che "guai" a chi invece scappa dalla sofferenza. Solo chi, dentro alla fame, al pianto e alla povertà assoluta, sta sperimentando la "beatitudine" che non si corrompe, l'alimento che sazia, la consolazione e la ricchezza autentiche, può scuotere il torpore di chi ha creduto che Dio non esiste e il suo amore una utopia. Solo chi è "beato" nella storia anche dolorosa di ogni giorno può dire, con i fatti e le parole, che "guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione. Guai a voi che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi che ora ridete, perché sarete afflitti e piangerete".
Noi abbiamo sperimentato che davvero sono stati "guai" quando abbiamo riso senza la gioia di Cristo, con droghe di ogni tipo. Quando siamo stati ricchi di affetti e denari rubati e usati con egoismo e concupiscenza. Quando ci siamo saziati di un alimento che non era Gesù, vanagloria e successo, prestigio e illusioni. E che "guai" hanno ferito la nostra vita quando abbiamo cercato in tutti i modi di piacere, prostituendoci e facendo mille compromessi peché "tutti gli uomini dicessero bene di noi". Che schiavitù, che pressione e che angosce per essere sempre in tiro e non smentire il falso bene che gli altri pensavano; quando lo pensavano.... Per poi vedere in un baleno il bene pensato trasformarsi in male che giudica senza pietà: alla prima caduta, al primo errore, abbandonati da tutti, scherniti e rifiutati. Forse anche dai genitori, dagli amici, dal fidanzato... Tutto fallito, e lacrime amare, e fame insaziabile e povertà come quella del figlio che aveva dilapidato ogni sostanza. Proprio per essere stati raggiunti e amati in queste tristi situazioni; per aver sperimentato che, nella misericordia, Dio le ha trasformate in gioia, ricchezza e consolazione, possiamo oggi gridare al mondo la "beatitudine" conquistata per tutti da Gesù.
Questa vita è l'unica autenticamente "beata", come fu per San Paolo che scriveva: "Sono lieto delle sofferenze che sopporto per la Chiesa, e completo nella mia carne quello che manca alla Passione di Gesù". E che cosa manca alla Passione di Gesù? Nulla, solo di essere vista e contemplata come una buona notizia in ogni generazione. Alla Passione di Gesù mancavano Paolo, e Pietro, e i martiri; mancano oggi i cristiani, manchi tu, i tuoi figli, il tuo matrimonio. E' questa la "letizia" che nessuno potrà toglierci, la gioia di Cristo risorto, aurora che non conosce tramonto; anch'essa è "a causa del Figlio dell'uomo", perché in noi raggiunga il mondo intero, sino ai confini della terra. "Beato" tuo figlio, povero e affamato, deriso e rifiutato in una classe che non conosce l'amore di Dio, e tutti i suoi compagni sono figli di genitori divorziati: brillerà della luce di Cristo; "beata" tua figlia, affamata e povera, perseguitata dalla carne e vincitrice in Cristo nel martirio quotidiano per difendere un fidanzamento casto: sarà un segno del Cielo; "beata" tua madre che soffre ormai da anni con un'artrosi che l'ha crocifissa su quel letto: dirà a tutti che basta poco per perdere l'effimero su cui fondano l'esistenza; "beato" tuo figlio ammalatosi così giovane, poverissimo in mezzo agli amici con cui non può fare sport: li chiamerà a interrogarsi sulla vita, e annuncerà Cristo, unica gioia; "beato" tu, povero senza risorse umane per aiutare nessuno, ma con le chiavi del Regno di Dio per aprirlo a tutti. "Beati" perché Cristo è vivo, è risorto e ci colma di pace e di speranza, di amore e gioia anche in queste situazioni, come un segno, il più bello e autentico, del Signore che ci ha fatti suoi per sempre.
In ebraico, infatti, la parola "Ashrei", felice, che traduce “beato” non richiama sentimenti, sensazioni o stati d’animo. E neanche quiete, tranquillità e appagamento. Ma dinamismo, relazioni dinamiche, in un senso un po’ più esteso, la parola beato, felice, significa “cammino rinnovato in ogni momento” (M. Vidal, Un ebreo chiamato Gesù). "Beato" è l’uomo che cammina nella volontà di Dio, che è una storia impregnata di Grazia. C’è un’altra vita e brilla vittoriosa nella carne perseguitata e ferita dei cristiani. Essi sono beati, cioè veri. Beati, cioè ben dentro la storia. Beato, infatti, è chi ha i sentimenti e il pensiero di Cristo. Uno con Lui, vivo perché in Lui. La vita beata sarà la vita eternamente immersa nel suo amore, senza ostacoli e inciampi, senza lo scandalo della carne. Ma la vita beata inizia tra gli sconvolgimenti di questo mondo, nei limiti angusti d’una carne corruttibile; s’anticipa qui ed ora nella realissima e comunissima vita nostra d’ogni giorno. Casa, ufficio, scuola, affetti, ansie, dolori, gioie, sofferenze, minuti, istanti, giorni, mesi, anni, queste le beatitudini, i cammini che ci sono donati perché brilli in noi la Vita che non muore. L’istante vissuto è la beatitudine d’un cuore consegnato al Signore. Mitezza, purezza, pace e misericordia sono i battiti del suo cuore in noi, i bagliori della Sua grazia nei crogiuoli delle nostre esistenze. Beati dunque perché siamo, esattamente come e dove siamo, in Lui, con Lui, per Lui.
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