Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

domenica 22 settembre 2013

XXV^ domenica del Tempo Ordinario


Perdonando i fratelli, restituiamo il nostro debito con il Padre






Marinus van Reymerswaele. Parabola dell'amministratore disonesto


Tu ti procuri dunque degli amici, 
porti avanti la tua speranza, 
coltivi il desiderio, 
tolleri con pazienza la condizione presente, prospera o avversa, 
perché cosa da tollerare qui è anche la felicità, 
per chi cerca la felicità che sorpassa quella terrena. 
La si tollera infatti perché, fino a quando siamo in cammino, 
va considerato tra i mali tutto ciò che ci trattiene dal nostro Dio. 
Sostiene anzi maggior lotta l'animo che combatte contro la felicità, 
per non lasciarsene corrompere, 
che contro la sfortuna per non lasciarsene abbattere. 
A prezzo di questa pazienza, 
finito il mondo o finita la nostra vita, mèta non lontana, 
al cui termine si va ciascuno avvicinando, 
saremo tranquilli nelle dimore eterne, 
poiché ci siamo fatti degli amici con " le ricchezze inique ".


S. Agostino

Dal Vangelo secondo Luca 16,1-13

In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli: 
«Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”. 
L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”. 
Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”. 
Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. 
Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne.
Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?
Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».

Il commento 


«Che cos'è questo che sento dire di te?». Le voci dei fratelli ci «accusano» di aver «sperperato» e sottratto loro gli «averi» del Signore. Ad essi, infatti, spettava l’amore che Dio ci ha dato in «amministrazione». L’egoismo ci ha chiusi a nostra moglie, e niente, non riusciamo più a percepire i suoi bisogni. Come il figlio prodigo abbiamo “sperperato” l’eredità e ora siamo così aridi da non accorgerci di quello che accade intorno a noi.


Il lavoro ci assorbe ed è diventato così importante che gli sguardi impauriti e affamati dei figli sono solo un’immagine sfocata. Abbiamo dimenticato che il nostro tempo libero dal lavoro è loro ed è per loro. Gli appartiene e invece ce ne siamo appropriati, e non possiamo “restituirglielo”.
E così ci comportiamo con chiunque, egoisti e illusi. Stolti nella presunzione di sapere che cosa sia importante e cosa no, avvelenati dall’inganno di essere diventati come Dio e di conoscere e stabilire cosa sia bene e male, abbiamo tralasciato un milione di “piccole cose” che, invece, erano decisive; e siamo così diventati insensibili e ciechi da essere incapaci di “essere fedeli” in quelle grandi, quelle che chiunque saprebbe riconoscere come importanti.
Non abbiamo ascoltato le “piccole cose” che avevano da dirci marito, moglie, figli e colleghi? Siamo stati “disonesti” rubando l’amore a chi lo chiedeva con piccoli gesti di attenzione e premura? Stiamone certi, quando lanceranno l’SOS perché in pericolo di vita, non ce ne accorgeremo e non potremo far nulla. Saremo “disonesti” chiudendoci egoisticamente nelle questioni decisive: non sapremo aiutare a discernere un figlio nella scelta dell’università o se sposarsi o no; non potremo dare una parola di fede e speranza alla moglie depressa; impauriti, scapperemo dalla nave che affonda della malattia del fratello.
Questo ci accade perché, invece di gestire con generosità i frutti del «giardino» del Padre, abbiamo allungato la mano avidamente cercando di diventare ricchi come il padrone. Così «non possiamo più essere amministratori», «allontanati» da Lui e dai suoi averi come Adamo ed Eva dal Paradiso. Ma imprevedibilmente, proprio quando dovremmo «rendere conto», si schiude per noi la porta della conversione.
È quando ci accorgiamo che senza le «sostanze» di Dio da amministrare siamo nulla, incapaci di qualsiasi cosa. «Non abbiamo forze» per «zappare» un terreno che non darà mai il raccolto d’amore che solo Dio può concedere. Spogliati della nostra identità, ci «vergogniamo di mendicare» la dignità che solo Dio può donarci. Non abbiamo che una possibilità, ripartire da dove abbiamo fallito, dagli «averi» del Signore.
Perché non cadano di nuovo nelle nostre avide tasche ma siano fecondi per tutti, occorre fare come i “figli di questo mondo”, molto più pragmatici dei “figli della luce”, spesso perduti tra sogni e presunte visioni. Usi ai favori illegali e interessati perché «i loro pari» contraccambino nel bisogno, i primi sanno essere generosi con i denari altrui…
Questa è proprio la “politica economica” alla quale Dio chiama le nostre famiglie e le nostre comunità. Sì, il Signore ci chiama a fare dei nostri figli, dei parenti, dei colleghi, anche di chi ci odia, delle lobby che facciano pressione per la nostra salvezza. Li dobbiamo “comprare” con ogni “disonesta ricchezza”, quella di proprietà “altrui” che abbiamo rubato. E' la qualità che il Signore vuol darci, phronimos: "la lucidità di avvertire la gravità della situazione, la prontezza nel cercare una soluzione perché non ci saranno altre opportunità, il coraggio di prendere decisioni" (B. Maggioni). Le qualità dell'amore con il quale siamo stati amati. Di fronte alle nostre infedeltà, al male causato dai nostri peccati Dio ha prontamente trovato e offerto la soluzione: il suo Figlio, Gesù, crocifisso per noi. E' dunque la Croce la scaltrezza autentica, che purifica ogni ricchezza mettendola a servizio della giustizia e della misericordia. Così con il coniuge, con i figli, nella consapevolezza che il coraggio è lo zelo dello Spirito Santo che ci fa allargare le braccia e donarci, incondizionatamente, proprio a chi abbiamo rubato... 
Era, infatti, di Dio quel denaro che non abbiamo dato a nostra moglie per lasciarlo marcire nell’avarizia. Era di Dio e quindi anche di mia moglie… Era di Dio il tempo che abbiamo tenuto per noi, e quindi era anche di mio figlio. E così di ogni aspetto della nostra vita macchiato dalla concupiscenza. Prendere la ricevuta e cambiare la cifra del debito significa allora soltanto ristabilire la verità e la giustizia. Questa è la “scaltrezza” che piace a Dio, perché è quella che sa sintonizzarsi sulla sua misericordia.
L’“amministratore disonesto” secondo l’onestà del mondo era stato invece molto onesto secondo il cuore di Dio: Lui, infatti, dà la stessa paga agli operai della prima come dell’ultima ora; Lui fa scendere la pioggia su buoni e cattivi; Lui fa primi gli ultimi e ultimi i primi. Il Signore ci chiama ad amministrare secondo il suo cuore, perdonando e restituendo a chi ci è accanto quello che gli spetta e che noi, avendolo sottratto a Dio, abbiamo rubato anche a loro. 
Certo, per il mondo giustiziere e perennemente indignato, si tratta di una condotta scandalosa. Sembra mafia, sembra quel lobbysmo clientelare lapidato ogni giorno sui media. Sembra… ma è puro amore, quello rivelato in Cristo Gesù, che “ha dato se stesso in riscatto per tutti”. Secondo la logica mondana potremmo dire che Gesù è un corrotto, venduto alle lobby di assassini, ladri, ingannatori e schiavi di sesso, potere e denaro. Possiamo dirglielo, perché è la pura verità. Sulla Croce Gesù ha pagato ogni spicciolo che abbiamo sottratto; e ci ha “comprato”, cancellando senza condizioni il nostro debito – tutto e non solo una parte – stornandolo dai conti del Padre.
Mentre abbandonavamo la famiglia per servire il lavoro e “mammona” ; mentre ci “affezionavamo” al prestigio e ai denari “disprezzando” Dio e la sua immagine riflessa nella moglie; mentre “amavamo” passionalmente idoli corrotti e “odiavamo” l’unico e vero Dio della Vita, Cristo pagava per noi il debito che si andava accumulando. Guardava il Padre e diceva: “Perdonali, perché non sanno quello che fanno”. Sì, Gesù ha fatto la cresta sugli “averi” del Padre per darci la “ricchezza vera”, quella “nostra”, ovvero l’amore che ci appartiene e che, per l’inganno del demonio, avevamo dimenticato.
Con esso potremo restituire il debito contratto con il Padre; come? amando i fratelli e perdonando i loro debiti come Dio li ha perdonati a ciascuno di noi… Per questo, quando per il mondo “verrà a mancare” la “ricchezza disonesta”, ci “accoglieranno nelle dimore eterne” proprio le persone per le quali avremo perduto tutto, anche le “cose più piccole” - un programma televisivo, la meta di una vacanza o, ancor più insignificante, quel pezzo di dolce rimasto e che avremmo proprio voluto…




Dio vi benedica.
 Giuliano.


   


Anno C

MESSALE
Antifona d'Ingresso
«Io sono la salvezza del popolo»,
dice il Signore,
«in qualunque prova mi invocheranno, li esaudirò,
e sarò il loro Signore per sempre».
 

Colletta

O Dio, che nell'amore verso di te e verso il prossimo hai posto il fondamento di tutta la legge, fa' che osservando i tuoi comandamenti meritiamo di entrare nella vita eterna. Per il nostro Signore...

 
Oppure:
O Padre, che ci chiami ad amarti e servirti come unico Signore, abbi pietà della nostra condizione umana; salvaci dalla cupidigia delle ricchezze, e f
a'che alzando al cielo mani libere e pure, ti rendiamo gloria con tutta la nostra vita. Per il nostro Signore Gesù Cristo... 

LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura  Am 8, 4-7
Contro coloro che comprano con denaro gli indigenti.

Dal libro del profeta Amos.
Il Signore mi disse:
«Ascoltate questo,
voi che calpestate il povero
e sterminate gli umili del paese,
voi che dite: “Quando sarà passato il novilunio
e si potrà vendere il grano?
E il sabato, perché si possa smerciare il frumento,
diminuendo l’efa e aumentando il siclo
e usando bilance false,
per comprare con denaro gli indigenti
e il povero per un paio di sandali?
Venderemo anche lo scarto del grano”».
Il Signore lo giura per il vanto di Giacobbe:
«Certo, non dimenticherò mai tutte le loro opere».


Salmo Responsoriale
  Dal Salmo 112
Benedetto il Signore che rialza il povero.
Lodate, servi del Signore,
lodate il nome del Signore.
Sia benedetto il nome del Signore,
da ora e per sempre.

Su tutte le genti eccelso è il Signore,
più alta dei cieli è la sua gloria.
Chi è come il Signore, nostro Dio,
che siede nell’alto
e si china a guardare
sui cieli e sulla terra?

Solleva dalla polvere il debole,
dall’immondizia rialza il povero,
per farlo sedere tra i prìncipi,
tra i prìncipi del suo popolo.
 
Seconda Lettura  1 Tm 2, 1-8
Si facciano preghiere per tutti gli uomini a Dio il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo a Timoteo
Figlio mio, raccomando, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio. Questa è cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità.
Uno solo, infatti, è Dio e uno solo anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti. Questa testimonianza egli l’ha data nei tempi stabiliti, e di essa io sono stato fatto messaggero e apostolo – dico la verità, non mentisco –, maestro dei pagani nella fede e nella verità.
Voglio dunque che in ogni luogo gli uomini preghino, alzando al cielo mani pure, senza collera e senza contese.
 
Canto al Vangelo
  2 Cor 8,9
Alleluia, alleluia.

Gesù Cristo da ricco che era, si è fatto povero per voi,
perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà.

Alleluia.


  
Vangelo   Lc 16, 1-13  Forma breve: Lc 16, 10-13
Non potete servire Dio e la ricchezza.


Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli:
«Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”.
L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”.
Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”.
Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce.
Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne.
[ Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?
Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».
 ]

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Perdonando i fratelli, restituiamo il nostro debito con il Padre


«Che cos'è questo che sento dire di te?». Le voci dei fratelli ci «accusano» di aver «sperperato» e sottratto loro gli «averi» del Signore. Ad essi, infatti, spettava l’amore che Dio ci ha dato in «amministrazione». L’egoismo ci ha chiusi a nostra moglie, e niente, non riusciamo più a percepire i suoi bisogni. Come il figlio prodigo abbiamo “sperperato” l’eredità e ora siamo così aridi da non accorgerci di quello che accade intorno a noi.
Il lavoro ci assorbe ed è diventato così importante che gli sguardi impauriti e affamati dei figli sono solo un’immagine sfocata. Abbiamo dimenticato che il nostro tempo libero dal lavoro è loro ed è per loro. Gli appartiene e invece ce ne siamo appropriati, e non possiamo “restituirglielo”.
E così ci comportiamo con chiunque, egoisti e illusi. Stolti nella presunzione di sapere che cosa sia importante e cosa no, avvelenati dall’inganno di essere diventati come Dio e di conoscere e stabilire cosa sia bene e male, abbiamo tralasciato un milione di “piccole cose” che, invece, erano decisive; e siamo così diventati insensibili e ciechi da essere incapaci di “essere fedeli” in quelle grandi, quelle che chiunque saprebbe riconoscere come importanti.
Non abbiamo ascoltato le “piccole cose” che avevano da dirci marito, moglie, figli e colleghi? Siamo stati “disonesti” rubando l’amore a chi lo chiedeva con piccoli gesti di attenzione e premura? Stiamone certi, quando lanceranno l’SOS perché in pericolo di vita, non ce ne accorgeremo e non potremo far nulla. Saremo “disonesti” chiudendoci egoisticamente nelle questioni decisive: non sapremo aiutare a discernere un figlio nella scelta dell’università o se sposarsi o no; non potremo dare una parola di fede e speranza alla moglie depressa; impauriti, scapperemo dalla nave che affonda della malattia del fratello.
Questo ci accade perché, invece di gestire con generosità i frutti del «giardino» del Padre, abbiamo allungato la mano avidamente cercando di diventare ricchi come il padrone. Così «non possiamo più essere amministratori», «allontanati» da Lui e dai suoi averi come Adamo ed Eva dal Paradiso. Ma imprevedibilmente, proprio quando dovremmo «rendere conto», si schiude per noi la porta della conversione.
È quando ci accorgiamo che senza le «sostanze» di Dio da amministrare siamo nulla, incapaci di qualsiasi cosa. «Non abbiamo forze» per «zappare» un terreno che non darà mai il raccolto d’amore che solo Dio può concedere. Spogliati della nostra identità, ci «vergogniamo di mendicare» la dignità che solo Dio può donarci. Non abbiamo che una possibilità, ripartire da dove abbiamo fallito, dagli «averi» del Signore.
Perché non cadano di nuovo nelle nostre avide tasche ma siano fecondi per tutti, occorre fare come i “figli di questo mondo”, molto più pragmatici dei “figli della luce”, spesso perduti tra sogni e presunte visioni. Usi ai favori illegali e interessati perché «i loro pari» contraccambino nel bisogno, i primi sanno essere generosi con i denari altrui…
Questa è proprio la “politica economica” alla quale Dio chiama le nostre famiglie e le nostre comunità. Sì, il Signore ci chiama a fare dei nostri figli, dei parenti, dei colleghi, anche di chi ci odia, delle lobby che facciano pressione per la nostra salvezza. Li dobbiamo “comprare” con ogni “disonesta ricchezza”, quella di proprietà “altrui” che abbiamo rubato.
Era, infatti, di Dio quel denaro che non abbiamo dato a nostra moglie per lasciarlo marcire nell’avarizia. Era di Dio e quindi anche di mia moglie…  Era di Dio il tempo che abbiamo tenuto per noi, e quindi era anche di mio figlio. E così di ogni aspetto della nostra vita macchiato dalla concupiscenza. Prendere la ricevuta e cambiare la cifra del debito significa allora soltanto ristabilire la verità e la giustizia. Questa è la “scaltrezza” che piace a Dio, perché è quella che sa sintonizzarsi sulla sua misericordia.
L’“amministratore disonesto” secondo l’onestà del mondo era stato invece molto onesto secondo il cuore di Dio: Lui, infatti, dà la stessa paga agli operai della prima come dell’ultima ora, che fa scendere la pioggia su buoni e cattivi, che fa primi gli ultimi e ultimi i primi. Il Signore ci chiama ad amministrare secondo il suo cuore, perdonando e restituendo a chi ci è accanto quello che gli spetta e che noi, avendolo sottratto a Dio, abbiamo rubatoanche a loro.  
Certo, per il mondo giustiziere e perennemente indignato, si tratta di una condotta scandalosa. Sembra mafia, sembra quel lobbysmo clientelare lapidato ogni giorno sui media. Sembra… ma è puro amore, quello rivelato in Cristo Gesù, che “ha dato se stesso in riscatto per tutti”. Secondo la logica mondana potremmo dire che Gesù è un corrotto, venduto alle lobby di assassini, ladri, ingannatori e schiavi di sesso, potere e denaro.Possiamo dirglielo, perché è la pura verità. Sulla Croce Gesù ha pagato ogni spicciolo che abbiamo sottratto; e ci ha “comprato”, cancellando senza condizioni il nostro debito – tutto e non solo una parte – stornandolo dai conti del Padre.
Mentre abbandonavamo la famiglia per servire il lavoro e “mammona” ; mentre ci “affezionavamo” al prestigio e ai denari “disprezzando” Dio e la sua immagine riflessa nella moglie; mentre “amavamo” passionalmente idoli corrotti e “odiavamo” l’unico e vero Dio della Vita, Cristo pagava per noi il debito che si andava accumulando. Guardava il Padre e diceva: “Perdonali, perché non sanno quello che fanno”. Sì, Gesù ha fatto la cresta sugli “averi” del Padre per darci la “ricchezza vera”, quella “nostra”,  ovvero l’amore che ci appartiene e che, per l’inganno del demonio, avevamo dimenticato.
Con esso potremo restituire il debito contratto con il Padre; come? amando i fratelli e perdonando i loro debiti come  Dio li ha perdonati a ciascuno di noi… Per questo, quando per il mondo “verrà a mancare” la “ricchezza disonesta”, ci “accoglieranno nelle dimore eterne” proprio le persone per le quali avremo perduto tutto, anche le “cose più piccole” - un programma televisivo, la meta di una vacanza o, ancor più insignificante, quel pezzo di dolce rimasto e che avremmo proprio voluto…



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CONGREGAZIONE PER IL CLERO




La odierna liturgia della parola ci invita a riflettere su questa domanda: chi è il vero discepolo? In particolare oggi possiamo chiederci: che tipo di rapporto deve intercorrere tra il discepolo e i beni terreni? Il racconto parabolico ci presenta un amministratore infedele che sperpera i beni che gli sono stati dati da amministrare. Il padrone, affidando i propri averi all’amministratore, gli dà fiducia e chiede fedeltà. Lo stesso padrone, rendendosi conto che la sua fiducia non è stata ripagata con la fedeltà, chiede all’amministratore di rendere conto della sua amministrazione. L’amministratore, messo alle strette, agisce in modo scaltro e disonesto. Ancora una volta usa beni non suoi per i propri scopi. L’evangelista Luca sembra enfatizzare il comportamento scandaloso dell’amministratore, addirittura lodato dal padrone stesso, nonostante sia stato defraudato ancora. Lo stupore aumenta quando leggiamo che Gesù in persona loda l’amministratore per la sua scaltrezza, per la sua rapidità nel preservare il suo futuro, non di certo per la disonestà.
Pensiamo ora a noi credenti: siamo scaltri nella nostra vita spirituale? Abbiamo una strategia dello spirito? Ognuno di noi vive il suo tempo ultimo, l’esistenza, la vita: siamo noi scaltri, utilizzando il nostro tempo per progredire – sotto l’influsso della grazia – nella fede, speranza e carità? Anche noi saremo chiamati a rendere conto della nostra amministrazione, di come avremo amato, di come avremo usato i nostri doni, di come abbiamo seguito il Signore: sentiamo l’urgenza di preservare il nostro futuro? È probabile, invece, che non abbiamo affatto una strategia dello spirito che ci permetta di crescere cooperando con la grazia divina, ma cadiamo nella tentazione di rapportarci alla vita di fede intendendola piuttosto come una permanente improvvisazione, senza punti fermi, senza carattere, senza un’identità. Cadiamo nella tentazione di vivere la nostra fede senza un’ossatura spirituale robusta e, quando saremo chiamati a rendere conto, non sapremo cosa fare, perché il rendere conto non si associa facilmente con l’improvvisazione. Dobbiamo invece, con l’aiuto di Dio, progredire nello spirito e le ricchezze possono ostacolarci ma anche aiutarci ad attuare questo movimento. La condivisione delle ricchezze, la capacità di non legare il proprio cuore ai beni terreni, deve far parte della nostra strategia dello spirito. Il vero discepolo è uno stratega dello spirito e quindi comprende che deve essere slegato dal peso delle ricchezze, non può essere appesantito dai beni terreni, ma deve essere libero per poter seguire Gesù e poter affrontare l’esame della sua amministrazione terrena: la sequela!
I figli delle tenebre, i figli mondani sono più scaltri, progettano e agiscono, per poter raggiungere il loro ideale, di benessere, di gioia. E i figli della luce? I discepoli, figli della luce, coloro che sono chiamati a risplendere come astri e a dare sapore al mondo, cosa fanno? progettano e agiscono, per la salvezza vera, autentica, che solo la via del Vangelo può donare? I figli delle tenebre, i figli mondani, non hanno un cuore diviso, non vivono tentennamenti, ma sono determinati nei loro scopi malvagi. L’amministratore infedele ne è un esempio: fraudolento e ladro, non si scoraggia, ma persevera per salvarsi; non dispera, ma usa tutto il suo ingegno per preservare il suo futuro. A volte i figli della luce hanno invece il cuore diviso, un cuore che tentenna tra il bene e il male. Questo succede anche perché il bene trova spazio in loro e per questo sono poi sottoposti alla prova della tentazione; ma troppo spesso i figli della luce accolgono il compromesso. Accogliendo il compromesso tra Gesù e la ricchezza, i figli della luce si mostrano sguarniti, strateghi improvvisati e perdono la loro battaglia per una sequela più vera, più autentica.

Oggi il Maestro invita i discepoli ad avere un cuore indiviso, che sappia amare con determinazione, che sappia amare non semplicemente con l’improvvisazione del sentimentalismo, ma che sappia amare con profitto e frutto l’unico Signore



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Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi, offre  la seguente riflessione sulle letture liturgiche per la XXV.ma domenica del Tempo Ordinario – Anno C.
Di consueto, il presule propone anche una lettura patristica.
***
LECTIO DIVINA
Amministratori del Bene e non solo dei beni
Rito romano
XXV Domenica del Tempo Ordinario – Anno C – 22 settembre 2013.
Am. 8, 4-7; 1Tim 2, 1-8; Lc. 16, 1-13
Come essere amministratori integri e saggi



      1) Un’affermazione sconcertante, ma non troppo.
             Nel brano evangelico di oggi c’è un’affermazione di Gesù che, a un primo impatto, è per lo meno sconcertante. Come conclusione della parabola del fattore sleale che è stato licenziato in tronco da un proprietario terriero, Gesù afferma: “Il padrone lodò quell'amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza[1] (con saggezza). Infatti i figli di questo mondo verso i loro pari sono più scaltri (saggi) dei figli della luce” (Lc16. 8).
            Con saggia anche se disonesta determinazione quel fattore, che doveva lasciare il posto perché era stata scoperta la sua disonestà, chiamò a uno a uno i debitori della fattoria e a tutti cancellò una parte del debito. In questo modo, quando fu licenziato, quell’imbroglione si era fatto qua e là tanti amici che non lo lasciarono morir di fame.
            Aveva fatto un bene a sé e agli altri ingannando e derubando il padrone. Era un ladro ma un giudizioso ladro. Se gli uomini usassero per la salvezza dell’anima l'astuzia, che costui usò per il mantenimento del suo corpo, quanti più sarebbero i convertiti alla fede del Regno.
            Dunque questo racconto di Cristo non si conclude con un’approvazione e un incoraggiamento alla corruzione. Ciò che il Messia loda è la saggezza, la decisione e la lungimiranza dell’amministratore disonesto: non ne approva la disonestà.
            Davanti ad una situazione d'emergenza, in cui era in gioco tutto il suo avvenire, quell'uomo ha dato prova di tre cose: di rapida decisione, di grande astuzia e di acuta capacità di programma circa il futuro divenuto insicuro. Ha agito prontamente e intelligentemente (anche se non onestamente), perché voleva mettersi al sicuro per il futuro.
            Questo - viene a dire Gesù ai suoi discepoli- è ciò che dovete fare anche voi, per mettere al sicuro, non l'avvenire terreno che dura qualche anno, ma l'avvenire eterno. Come dire: fate come quell'amministratore; fatevi amici coloro che un giorno, quando vi troverete nella necessità, possono accogliervi. Questi amici potenti, si sa, sono i poveri, dal momento che Cristo considera dato a lui in persona quello che si dà al povero. Diceva sant'Agostino: “I poveri sono, se lo vogliamo, i nostri corrieri e i nostri facchini: ci permettono di trasferire, fin da ora, i nostri beni nella casa che si sta costruendo per noi nell'aldilà”. Un insegnamento che la Chiesa ricorda a tutti gli sposi quando, nella benedizione durante il rito del Matrimonio, fa dire al prete: “Sappiate riconoscere Dio nei poveri e nei sofferenti, perché essi vi accolgano un giorno nella casa del Padre”. Gli amici di cui tener conto sono i poveri perché saranno essi, nel giudizio finale, a suggerire gli invitati da ammettere al banchetto celeste.
            2) Anche noi siamo chiamati ad essere amministratori.
            Attraverso la parabola dell’amministratore “saggio”, il Signore non solo ci invita ad essere previdenti, ma ci ricorda anche  noi siamo “amministratori” ai quali Lui, il Signore, ha affidato i beni di quel grande campo che è la Terra.
            Dei beni che ci sono stati affidati da Dio non siamo proprietari, ne siamo “amministratori”. La “disonestà” consiste nell'appropriarcene indebitamente, usandoli senza tener conto della volontà del “Padrone”, che li ha posti nelle nostre mani perché li condividessimo.
            La bramosia smodata, l'utilizzo egoistico finiscono con l'inquinare lo stesso dono, rendendolo a sua volta “disonesto”. Proprio così. Ciò che siamo e ciò che abbiamo viene da Dio e non può essere che un bene. È il nostro modo di rapportarci con esso che lo contamina fino a sconfinare nel “peccato”. E di questa adulterazione, prima o poi, saremo chiamati a rendere conto: “amministratori infedeli” dinanzi al giudizio inappellabile del “Padrone”.
            Ma ecco un'insospettata via d'uscita: quelle stesse ricchezze, da noi rese “disoneste”, possono essere riscattate e restituite alla loro primitiva e connaturale bontà se condivise nel segno della gratuità e dell'amore. È la santa “scaltrezza” che Gesù suggerisce a quanti, riconoscendosi umilmente “amministratori disonesti”, intendono spalancarsi all'azione risanante e redentrice di Dio, divenendone la mano provvida e benefica. 

            Chiediamo a Dio, Padre buono, che ci dia la grazie di usare santamente dei beni della Terra, perché possiamo sperimentare la gioia della condivisione. Ci liberi da ogni forma di egoistico possesso e renda strumenti del suo amore. Insomma si tratta di essere sapienti perché avendo ben chiaro il senso cristiano della vita, riusciamo con la luce del suo Spirito a “valutare con saggezza i beni della terra nella continua ricerca dei beni del cielo” (Preghiera dopo la comunione della Messa del martedì della prima settimana di Avvento).           
            3) Amministratori dei beni del Cielo.
            Non dimentichiamo che il tesoro che Gesù ha affidato ai suoi discepoli e amici è il Regno di Dio, che è Lui stesso, vivo e presente in mezzo a noi. E donandoci se stesso ci ha dato, oltre alle qualità naturali, queste ricchezze da far fruttificare: la sua Parola, depositata nel santo Vangelo; il Battesimo, che ci rinnova nello Spirito Santo; la preghiera – il “Padre nostro” – che eleviamo a Dio come figli uniti nel Figlio; il suo perdono, che ha comandato di portare a tutti; il sacramento del suo Corpo immolato e del suo Sangue versato.
            Le Vergini consacrate ci danno un esempio di come essere prudenti (φρόνιμοι cfr nota 1) puntando tutto, assolutamente tutto, sull’intelligenza, e a misurare su di essa le nostre parole e le nostre scelte. L’intelligenza che egli esige non è quella di una migliore conoscenza delle cose, del sapere, del “know-how”. Consiste piuttosto nel prendere le proprie decisioni alla luce della meta prefissata; è “la prua della conoscenza” (Paul Claudel[2]) della nave della nostra vita che si dirige verso l’eternità. L’intelligenza ci insegna a non fermarci all’immediato e a guardare, invece, alla meta ultima. Infatti “lo Spirito Santo, suscita in mezzo al suo Popolo uomini e donne coscienti della grandezza e della santità del matrimonio e tuttavia capaci si rinunciare a questo stato per attaccarsi fin da ora alla realtà che esso prefigura: l’unione di cristo e della Chiesa. Felici quelli e quelle che consacrano la loro vita a Cristo e lo riconoscono come sorgente e ragione di essere della verginità. Hanno scelto di amare colui che è lo sposo della Chiesa e il Figlio della Vergine Madre” (Rituale della Consacrazione delle Vergini, le ultime due frasi del n. 24).
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LETTURA PATRISTICA 
Sant’Agostino di Ippona
Discorso 359/A
SULLA PARABOLA EVANGELICA DELL'AMMINISTRATORE INFEDELE
(Il discorso è ampio quindi cito solo una parte. Il testo integrale è reperibile su:
http://www.augustinus.it/italiano/discorsi/discorso_524_testo.htm)
        “Se sei straniero sei in terra altrui. E se sei in terra altrui quando il Signore lo comanda devi partire. Ed è inevitabile che il Signore a un certo punto ti comandi di partire. E non ti fissa il tempo della permanenza. Non ha preso infatti un impegno scritto con te. Dal momento che la tua permanenza è gratuita, essa scade al suo comando. Anche queste sono cose che si devono sopportare e per cui è necessaria la pazienza.
Il fattore scaltro e il tempo futuro.
9. Capiva ciò il servo [della parabola] a cui il padrone stava per comandare di uscire dall'amministrazione. Egli pensò al futuro e disse fra sé: Il mio padrone mi toglie l'amministrazione. Che cosa farò? A zappare non sono valido, mendicare mi vergogno. Di là lo respinge la fatica, di qua la vergogna, ma a lui che era perplesso non mancò una decisione: Ho trovato - disse fra sé - quello che devo fare. Chiamò i debitori del suo padrone, presentò [loro] le ricevute: Tu, dimmi, qual è il tuo debito? E quello: Cento barili d'olio. Siedi, presto, scrivi: cinquanta, prendi la tua ricevuta. Poi disse ad un altro: Tu quanto devi? Rispose: Cento misure di grano. Siedi, presto, scrivi ottanta. Prendi la tua ricevuta. Diceva tra sé: " Quando il padrone mi avrà allontanato dall'amministrazione, essi mi accoglieranno presso di loro e il bisogno non mi costringerà né a zappare né a mendicare ".
10. Perché mai il Signore Gesù Cristo raccontò questa parabola? Non certo perché gli piacesse il servo ingannatore: egli frodava il suo padrone e disponeva di beni non suoi. Per di più fece un furto sottile: portò danno al suo padrone, per assicurarsi, dopo l'amministrazione, un rifugio di tranquillità e di sicurezza. Perché il Signore ci pose davanti agli occhi questo esempio? Non perché il servo frodò, ma perché pensò al futuro; perché il cristiano che non ha accortezza si vergogni, dal momento che il progetto ingegnoso è lodato anche nell'ingannatore. Infatti il brano così si conclude: I figli di questo mondo sono più scaltri dei figli della luce. Compiono frodi per provvedere al loro futuro. A quale vita pensò di provvedere quel fattore? A quella a cui sarebbe giunto, dopo aver lasciato la condizione precedente per ordine del suo padrone. Egli provvedeva a una vita che deve finire e tu non vuoi provvedere a quella eterna? Dunque non amate la frode, ma, dice: Procuratevi amici con la iniqua mammona, procuratevi amici.
Le elemosine. La verifica del proprio compito.
11. " Mammona " è il termine ebraico per indicare " ricchezza ", e anche qui, in punico, il lucro è detto mamon. Che cosa dobbiamo fare allora? Che cosa ha comandato il Signore?Procuratevi amici con l'iniqua mammona, perché, quando verrete a mancare vi accolgano nelle dimore eterne. E` facile dedurne che bisogna fare elemosine, elargire ai bisognosi, perché in essi è Cristo che riceve. L'ha detto lui: Ogni volta che avete fatto [queste cose] a uno solo dei miei fratelli più piccoli, le avete fatte a me. E dice anche, altrove: Chiunque avrà dato anche un solo bicchiere d'acqua fresca a uno dei miei discepoli, in quanto mio discepolo, in verità vi dico, non perderà la sua ricompensa. Abbiamo capito che bisogna fare elemosina senza stare lì molto a scegliere a chi farla, perché non si può arrivare a un giudizio delle coscienze. Se la fai a tutti giungerai anche a quei pochi che la meritano. Tu, pensiamo, vuoi praticare l'ospitalità e prepari la casa per i forestieri. Ebbene, sia ammesso anche chi non ne è degno perché non sia escluso chi ne è degno. Tu non puoi essere giudice ed esaminatore delle coscienze. D'altra parte, anche se tu potessi discriminare: " Costui è cattivo, costui non è buono ", io aggiungerei: " Potrebbe perfino essere un tuo nemico ". Se il tuo nemico ha fame dagli da mangiare. Se bisogna fare del bene anche al nemico, quanto più a uno sconosciuto che, anche se cattivo, non arriva tuttavia ad essere nemico. Noi comprendiamo queste cose, cioè sappiamo che chi agisce così si procura gli amici che accoglieranno nelle dimore eterne, quando si sarà esonerati da questa " amministrazione ". Siamo tutti come dei fattori infatti e ci è stato affidato qualcosa da fare in questa vita: di questo dobbiamo rendere conto al grande padre di famiglia. E colui a cui è stato affidato di più dovrà rendere un conto maggiore. La prima lettura che è stata fatta è di spavento a tutti, e specie a coloro che hanno preminenza sui popoli, siano i ricchi o siano i re, siano principi, siano giudici, siano anche vescovi o prelati nelle chiese. Ciascuno renderà conto della sua amministrazione al Padre di famiglia. L'amministrazione che si compie qui è temporanea, la ricompensa che ti dà l'economo è eterna. Se noi condurremo questa amministrazione così da renderne conto in modo soddisfacente, possiamo essere sicuri che a incarichi minori faranno seguito incarichi maggiori. Al servo che gli diede un buon resoconto della ricchezza che aveva ricevuto da distribuire, il padrone disse: Ora presiederai a cinque fondi. Se ci saremo comportati bene saremo chiamati a incarichi maggiori. Ma poiché è difficile, in una vasta amministrazione, essere esenti da svariate mancanze, così non bisogna cessare di fare elemosine, in modo che al momento del rendiconto, non ci troviamo davanti a un giudice severo ma a un padre misericordioso. Se infatti comincerà a esaminare una per una le cose, molte ne troverebbe da condannare. Bisogna su questa terra essere di aiuto ai miseri perché avvenga in noi quello che è stato scritto: Beati i misericordiosi, poiché di essi Dio avrà misericordia. E in un altro luogo: Ci sarà un giudizio senza misericordia per chi non ha avuto misericordia.
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NOTE
[1] La traduzione liturgica italiana usa “con scaltrezza” o “scaltramente”, nel testo greco di Luca c’è “φρoνίμως” che letteralmente vuol dire “saggiamente”. La Vulgata latina traduce con “prudenter” possiamo tradurre “prudentemente, con prudenza”. Nella traduzione liturgica francese usa “habile” e la Bible de Jérusalem mette come titolo della parabola “L’administrateur avisé” ed usa “avisé” anche nel testo, perché φρoνιμώτεροι (fronimòteroi) è l’aggettivo comparativo di φρόνιμος (frònimos) che vuol dire “ragionevole, sensato, saggio”. La traduzione inglese usa l’avverbio wisely =saggiamente e/o shrewdly= astutamente. La traduzione liturgica aiuta a non cadere nell’equivoco di pensare che Gesù loda la disonestà, il testo letterale aiuta a capire il perché dell’elogio e l’invito ad essere saggi, intelligenti e prudenti.
[2] Paul Claudel (Villeneuve-sur-Fère, 6 agosto 1868 – Parigi, 23 febbraio 1955) è stato un poeta, drammaturgo e diplomatico francese. Secondo il racconto dello stesso Claudel, la sua conversione al cattolicesimo avvenne nella Cattedrale di Notre Dame di Parigi, ascoltando il Magnificat durante la Messa di Natale del 1886: “Allora accadde in me l'avvenimento straordinario e misterioso che avrebbe dominato tutta la mia vita. A un tratto, mi sentii toccare il cuore, ed io credei. Credei con una tal forza di adesione, con tale un sollevamento di tutto il mio essere, con si profonda convinzione, con una certezza così esente da ogni dubbio possibile che, dopo, tutti i libri, tutti i ragionamenti, tutte le peripezie di una vita agitatissima, non furono capaci di scuotere la mia fede e nemmeno d'intaccarla. Fu: una rivelazione improvvisa e ineffabile; fu la sensazione netta e tagliente dell'innocenza purissima e dell'eterna infanzia di Dio. ... Felici quelli che credono! Se fosse vero! — Si, è vero! — Dio esiste, è là, è qualcuno, un essere personale come me! — Egli mi ama e mi chiama” (La mia conversione, Torino 1958, p. 56).



Il motivo ispiratore della poetica di questo grande scrittore cattolico credo che sia la “vocazione” di verità, di bontà, di gioia in mezzo agli uomini. Per questo il poeta è chiamato a scoprire e mostrare ai fratelli e “tutta la santa realtà che ci è stata data e in mezzo alla quale siamo posti”.

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