Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

lunedì 9 settembre 2013

C’era là un uomo che aveva la mano destra paralizzata. Gli scribi e i farisei lo osservavano per vedere se lo guariva in giorno di sabato, per trovare di che accusarlo.








O uomo, perché hai di te un concetto così basso, 
quando sei tanto prezioso per Dio? 
Perché mai, tu che sei così onorato da Dio, 
ti spogli irragionevolmente del tuo onore? 
Perché indaghi da che cosa sei stato tratto 
e non ricerchi per qual fine sei stato creato? 
Tutto questo edificio del mondo, che i tuoi occhi contemplano, 
non è stato forse fatto per te?…


San Piero Crisologo

Dal Vangelo secondo Luca 6,6-11

Un sabato Gesù entrò nella sinagoga e si mise a insegnare. C’era là un uomo che aveva la mano destra paralizzata. Gli scribi e i farisei lo osservavano per vedere se lo guariva in giorno di sabato, per trovare di che accusarlo. 
Ma Gesù conosceva i loro pensieri e disse all’uomo che aveva la mano paralizzata: «Àlzati e mettiti qui in mezzo!». Si alzò e si mise in mezzo. 
Poi Gesù disse loro: «Domando a voi: in giorno di sabato, è lecito fare del bene o fare del male, salvare una vita o sopprimerla?». E guardandoli tutti intorno, disse all’uomo: «Tendi la tua mano!». Egli lo fece e la sua mano fu guarita. 
Ma essi, fuori di sé dalla collera, si misero a discutere tra loro su quello che avrebbero potuto fare a Gesù.

Il commento


"E' lecito in giorno di sabato salvare una vita o toglierla, fare il bene o il male?": la domanda di Gesù, ormai sotto processo per aver attentato alle prescrizioni sul Sabato, colloca il bene per la vita al centro della questione. Di più, mettendo "in mezzo" l'uomo con la mano inaridita, rovescia il processo e, da imputato si fa giudice. "In mezzo", come imputato, è ora il "cuore indurito" dei farisei e degli scribi, inaridito come la mano di quell'uomo. In giorno di sabato, pur rispettando ogni prescrizione, si può fare il bene come il male: loro, con la malizia con cui "osservavano" Gesù per vedere se amava anche in quel giorno santo "per accusarlo e farlo morire", avevano fatto il male. Dunque, se per loro, in giorno di sabato, era lecito "tenere consiglio" per "togliere una vita", come poteva non essere lecito guarire e salvare una vita? Con questo paradosso Gesù svela l'ipocrisia malvagia di chi, nel nome di una Legge spogliata dello Spirito, stava decidendo nel cuore di uccidere chi stava facendo del bene. E "pensano" tra loro: ogni pensiero che non sia umile preghiera è un perverso "cercare" la ragione per uccidere Gesù; nel fratello, nella storia, in noi stessi. Guardare e pensare invece di ascoltare Gesù che "insegnava", ecco da dove nasce il peccato dei farisei e degli scribi. Invece dell'umile ascolto la superbia dei propri pensieri.


Gesù ci fissa oggi diritti negli occhi, e punta al nostro cuore con una domanda che è un dardo infuocato: "è lecito amare?". Quale trappola abbiamo escogitato per non amare, per non fare del bene? In quale casella delle nostre alchimie legalistiche abbiamo relegato la suocera, il marito, il collega, con l'unico scopo di silenziare la coscienza e auto-giustificarci, per non umiliarci, chiedere perdono e avere misericordia? Questa domanda giunge oggi al nostro cuore: perché è lì dove si decide di fare il bene o il male, se dare la vita oppure toglierla. E' nel cuore, nel segreto del nostro intimo che amiamo o disprezziamo, ci doniamo o ci chiudiamo; è nel cuore che violiamo il sabato, senza che nessuno possa vederci. E' sempre lecito e doveroso amare, è sempre illecito fare il male e uccidere. Eppure compiamo l'illecito senza curaci della Legge e del Sabato. Il cuore è lontano da Dio, il sabato è solo un pretesto per vivere nell'ipocrisia di una vita falsa e doppia, purtroppo accecata dall'illusione della pretesa giustizia esteriore derivante dal rispetto di codici e leggi, nel cui nome dimentichiamo la misericordia. L'ipocrisia dei farisei li condurrà a volere la morte di Gesù, a discutere perché già si è decisa nel cuore, e proprio in giorno di sabato!


In quella sinagoga si trattava di salvare o togliere la vita ad “un uomo”, anthrōpos, immagine di ogni uomo. Per lui, infatti, Dio ha “fatto il sabato”, il riposo preparato per chi ha sperimentato, durante la settimana, la durezza della vita, la conseguenza del peccato di Adamo. Ma esso può essere sporcato dall'ipocrisia, e trasformarsi in luogo di male e di morte. Scoccando la domanda, Gesù penetra sino al fondo del cuore, e non ci si può più nascondere, si può solo “tacere”. Ai suoi occhi che, come un periscopio, secondo l’originale greco “periblepsamenos”, scrutano e abbracciano ogni pensiero a 360 gradi, non sfugge il cuore indurito di chi gli era accanto. E non può trattenere l”ira” divina con la quale il Padre aveva corretto “gelosamente” il suo Popolo; esplode in Lui lo “zelo” mosso dalla “tristezza” per ogni anima arida ed arsa, senz'acqua e fecondità, dei farisei e degli erodiani come dell'infermo. Per questo, Gesù colma il silenzio calato nella sinagoga con la parola creatrice, offrendo a tutti la possibilità di salvarsi. 


Attraverso quella mano incapace di stendersi per accogliere e donare, mostra cosa significhi dare al sabato pieno compimento. Anche un cuore indurito può alzarsi e risuscitare, ed è il giudizio di misericordia di Gesù, offerto a tutti in quell'oggi nel quale stava compiendo la Parole profetiche sul Messia. Proprio la debolezza che ci costituisce è la prova che "scagiona" Gesù, giustificando con la necessità e l'urgenza dell'amore, la liceità di fare il bene e salvare una vita, non solo anche di sabato, ma proprio e in maniera definitiva di sabato: il cuore e la mano, infatti, sono induriti anche di sabato, come ogni altro giorno. 


E proprio nel sabato della tomba, nella sepoltura e nella discesa agli inferi, Gesù avrebbe mostrato la liceità di amare perché, compiendo in esso il precetto di non fare niente - non vi è nulla di più inattivo di un morto - ha sanato e salvato la vita dal peccato e dalla morte; per questo dice “Alzati e mettiti in mezzo!”, “destati” dall'aridità, come recita, non a caso, il termine originale greco usato anche per la "risurrezione" di Gesù. Questo pover'uomo è incapace di tutto, come quando si dice "sono senza una mano": prendere, scrivere, guidare, mangiare, qualunque relazione è compromessa. Per lui ogni giorno è sabato, ma, invece d’essere di festa e riposo, è un sabato di condanna e di morte che si spalma su tutta l’esistenza. In quest’uomo si scorge l’esito di una religione vestita d’ipocrisia: in quel sabato, infatti, si trova nella sinagoga e non fa nulla, compiendo così la Legge. Ma vi è costretto dall’infermità, immagine dei legalismi che obbligano a compiere i precetti dall'esterno, lasciando sudicio l’interno. C’è una bella differenza tra il non poter e il non voler fare nulla, come quella che passa tra l’amore e il timore. 


Ma a quell’uomo una cosa non è impedita, l'obbedienza, l'unica che apre il cammino alla risurrezione. Anche a noi non è preclusa, per quanto deboli, aridi, insensibili e incapaci siamo, e i peccati, le sofferenze, le difficoltà, ci ostacolino e ci blocchino. Gesù ha obbedito, ha "steso" le sue mani sulla Croce e "disteso" il corpo nel sepolcro, è entrato nella morte, l'ha vinta e ci consegna gratuitamente l'obbedienza per risorgere. "Alzati e mettiti nel mezzo!", "stendi la mano", quell'uomo non ha fatto altro che ascoltare e obbedire. E così è risuscitato, recuperando una vita piena, da spendere in tutte le sue immense potenzialità. 


Come lui, anche noi siamo chiamati dal Signore ad alzarci dall'egoismo e a metterci in mezzo, spettacolo per il mondo che non conosce l'obbedienza. Figli di Lucifero incapace di sottomettersi, gli uomini non possono umiliarsi dinanzi a nessuno. Vogliono "stare in mezzo" ma a modo loro. Non è vero? Al centro dell'attenzione, ma non perché deboli e peccatori. I cristiani, invece, sono messi nel mezzo proprio come il Signore, che non aveva conosciuto peccato ma è stato trattato da peccato. Per tutti. Oggi saremo chiamati "in mezzo" in famiglia, magari quando apparirà l'impazienza e l'ira si riverserà sui figli. O in ufficio o dove sia. Solo l'obbedienza alla chiamata di Gesù trasformerà i nostri peccati in fonte di salvezza per chi ci è accanto. Abbiamo mai pensato che, proprio quando cadiamo in qualche peccato, il Signore ci chiama a metterci nel mezzo, a non temere e a non restare nascosti ma a consegnare a Lui tutta la debolezza. Questa obbedienza apre al perdono e alla rinascita; laddove il mondo non può i cristiani possono, perché a Dio nulla è impossibile, neanche trasformare il peccato peggiore in fonte di benedizione e salvezza. Ah se i nostri figli conoscessero questo, e lo vedessero in noi; se i parrocchiani lo potessero vedere nei loro pastori. Se gli sposi comprendessero che un matrimonio funziona solo se si fonda sull'umile obbedienza a Cristo: la comunione non nasce dalle qualità che si mettono in comune, da ciò che dell'altro mi piace; al contrario, essa comincia dal conoscersi entrambi deboli e "inariditi", in nulla migliore dell'altro. E' sui difetti e sulle debolezze che Dio costruisce il miracolo di un matrimonio cristiano e santo, dove risplende la sua onnipotenza d'amore. L'obbedienza sposata alla misericordia, ecco la rivoluzione che cambia il mondo.


Dunque non si tratta del nostro cercare di stare al centro dell'attenzione, facendo buona mostra della propria presunta parte migliore, ma di essere posti nel mezzo affinché si veda bene la mano sterile che guarisce per opera di Dio, la ferita sanata dalla misericordia. Come Gesù, che tutti hanno potuto vedere crocifisso, perché doveva essere evidente la risurrezione proprio attraverso la certezza della crocifissione. Lo stesso Uomo crocifisso era l'Uomo resuscitato. Così Dio sceglie la sterilità, la piccolezza, la debolezza, i peccatori, come Giacobbe, Davide, Sansone, e Pietro, il traditore. Dio sceglie “il nulla” per mostrare che cosa significhi il sabato, il giorno in cui “nulla” si fa perché è Dio che fa "tutto". Per il battesimo, siamo stai crocifissi con Cristo, in mezzo ai due ladroni immagine del mondo schiavo dei peccati. E' il mistero della nostra elezione, per la quale i nostri difetti, le debolezze, gli stessi peccati, inchiodati alla Croce del Signore, sono issati sul candelabro perché il mondo riceva un raggio della luce che brilla sul volto di Cristo. 


In questa missione, tutto della nostra vita acquista senso: le nostre ferite “stese” davanti al mondo, infatti, sono il luogo della misericordia di Dio che “ristabilisce” la vita laddove era la morte; il suo amore la fa ritornare ad essere, secondo il significato del termine greco tradotto con "risanata", com'era al principio, nel progetto del Padre: “aperta” per donare, come la mano guarita, come il cuore inondato d’amore. La nostra carne povera, debole, ferita è la pietra scartata dai legalisti che "osservano" ogni passo falso dei peccatori; essi “tengono consiglio per togliere di mezzo” tanta debolezza, mentre invece essa è la porta spalancata sul Signore, il preludio alla sua opera. 


Spesso vorremmo nasconderci, desidereremmo che i nostri difetti venissero cancellati e occultati, e invece, sembra che qualcuno ci trascini là in mezzo. Cristiani e nevrotici. Cristiani e incoerenti. Proprio così. Peccatori e santi, amati, sempre in mezzo al lavoro, a scuola, tra gli amici, perché brilli, tra l'ipocrisia e la menzogna, l'unica verità capace di salvare, l'amore infinito di Dio per ogni uomo. Di esso portiamo le stigmate che non possono rimanere celate, come fu per Padre Pio e per San Francesco. Come fu per Gesù dopo la risurrezione, quando, proprio attraverso le sue ferite, provava agli apostoli la risurrezione della sua carne: quelle ferite erano la memoriadella sua carne crocifissa per amore, e la prova che proprio con quella carne lì aveva vinto il peccato. Come le nostre ferite poste in mezzo facendoci arrossire, perché chi ci è accanto possa vedervi l’opera soprannaturale che le guarisce e trasfigura, l’amore infinito di Dio che vi ha preso dimora. Come le ferite delle persone che amiamo, dei nostri figli, di nostra moglie, dei nostro marito, dove innamorarci davvero di loro, dove incontrarli e metterle nel mezzo perché il Signore le renda gloriose.












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