Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

martedì 3 settembre 2013

I tweet di Papa Francesco:"Gesù non ha bisogno di eserciti per vincere il male, la sua forza è l’umiltà"

Prima che sia troppo tardi


Terzo  tweet di Papa Francesco oggi: "Con particolare fermezza condanno l’uso delle armi chimiche! " (3 settembre 2013)

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Il cardinale Sandri ribadisce la necessità di fermare la spirale di violenza in Siria. 

(Nicola Gori) Fermarsi prima che sia troppo tardi. Perché rispondere alla violenza con la violenza in Siria significherebbe innescare una drammatica spirale che avrebbe «irreparabili sviluppi» per tutta la regione. Ma anche perché i primi a subirne le conseguenze sarebbero i cristiani d’Oriente, che «soffrono con tutto il popolo di quella nazione» e non vogliono essere considerati «stranieri». È il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, in questa intervista al nostro giornale, a raccogliere le preoccupazioni di Papa Francesco e a sostenere il suo forte appello per la pace in Siria.
All’Angelus di domenica Papa Francesco ha lanciato un appello per la pace in Siria dai toni particolarmente forti e angosciati. Siamo veramente a un punto di svolta nell’evoluzione della già drammatica situazione nel Paese?
Si può fare finta di niente. Ma non si può non vedere e non ascoltare la sofferenza e il grido di chi geme per la violenza e per la guerra. L’accorato appello del Santo Padre all’Angelus di domenica scorsa è venuto dal cuore di un padre preoccupato per le sorti dell’intera umanità. Di fronte alla corsa alle armi, che ha ulteriormente inasprito l’estenuante conflitto, e alla concreta possibilità di un ulteriore intervento armato entro il confine siriano, il Papa ha sentito tutta l’urgenza di chiedere che ci si fermi, prima che sia troppo tardi. È prevedibile, infatti, la malaugurata conseguenza di un coinvolgimento di altri Paesi nel conflitto con irreparabili sviluppi. Per questo egli si è rivolto indistintamente a tutti: a chi ha le armi, cominciando da quelle di distruzione di massa, e a chi le fornisce! A tutti ha chiesto di fermarsi. Ha benedetto le mani di coloro che si impegnano per l’assistenza umanitaria e ha espresso il desiderio che a essi si aggiungano molti altri e sia possibile, più che la guerra, la solidarietà di tanti volontari pronti ad alleviare le sofferenze che colpiscono soprattutto i deboli. A quelli che possono decidere le sorti dell’umanità ha chiesto di agire attraverso il negoziato e la diplomazia e non con le armi. Come ebbe a dire il beato Pontefice Giovanni Paolo II, l’8 ottobre 2000, consacrando l’umanità alla Madonna nel grande giubileo del 2000: «L’umanità possiede oggi strumenti d’inaudita potenza: può fare di questo mondo un giardino o ridurlo a un ammasso di macerie». In realtà le devastazioni vanno avanti senza sosta da più di due anni in Siria e sembra che non si voglia comprendere ciò che è drammaticamente evidente, cioè che di questo passo si può solo precipitare in un baratro. Anche su questo giungerà il giudizio di Dio e della storia.
Il Pontefice ancora una volta ha indicato la via del dialogo e del negoziato per risolvere la situazione in Siria. È ancora possibile comporre le posizioni delle diverse parti in causa e conciliare le esigenze di sicurezza e di stabilità dell’intera regione mediorientale?
Le parole del Papa sono ben lungi dal vago invito moralistico. Sono già un passo concreto indicato ai responsabili. Egli ha ben specificato che quanto stava per dire nasceva “dal suo intimo”, aggiungendo queste parole: «Chiedo alle parti in conflitto di ascoltare la voce della propria coscienza». Papa Francesco nel silenzio e nella preghiera si è messo in ascolto del proprio cuore, rattristato da tanto dolore. E ha voluto riportare alla voce insopprimibile della coscienza i combattenti, i potenti e l’umanità intera, dicendo: fermatevi in ascolto del cuore e non dell’interesse di una fazione, di un partito, di una alleanza politica, militare o economica. Ascoltare, dunque, per agire! Solo così è possibile «guardare all’altro come ad un fratello». Questa è la strada maestra, questa è l’autentica primavera umana, e perciò realmente anche araba per la Siria, l’Egitto e l’Iraq. Il Medio Oriente è attraversato dalla diversità: popoli ed etnie, religioni e culture (sunniti e sciiti, cristiani di diverse confessioni). E all’interno di questi grandi gruppi vi sono ulteriori suddivisioni. Ma il Medio Oriente è stato per millenni e può ancora essere il luogo ove la diversità impara nel quotidiano a convivere e a costruire l’unità. Però, va incrementata la logica del reciproco rispetto e della testimonianza. In questa prospettiva la stessa presenza degli orientali cattolici vorrebbe essere testimonianza vivente di come la diversità non ostacoli, bensì esalti armonicamente l’unità.
Perché la logica della violenza e della ritorsione non può essere la strada per risolvere la crisi siriana?
La logica della violenza e della ritorsione non è mai una strada da percorrere, perché induce ad una catena di accuse e vendette, che non tengono conto del sangue versato ed aumentano il rancore e l’odio, infrangendo a volte gli stessi vincoli familiari e comunitari. Così facendo la Siria si trasformerà sempre più in un inferno sulla terra. Laddove sono stati compiuti dei crimini, vanno sostenute le istituzioni e i tribunali internazionali chiamati a verificare e a giudicare in modo imparziale la violazione dei diritti della persona umana e dei crimini contro l’umanità.
Nel conflitto siriano i cristiani stanno soffrendo più delle altre realtà perché sono la componente più debole della società. Come aiutarli?
Il libro dell’Apocalisse ci parla dei cristiani come i redenti, coloro che hanno attraversato la «grande tribolazione» e «seguono da vicino l’Agnello, ovunque egli vada». Sentiamo l’attualità di questa parola pensando ai nostri fratelli d’Oriente, così vicini all’Agnello, al Signore Gesù, che nella liturgia, con consapevolezza profonda, celebrano come unico Redentore e al quale cantano la fede con la propria vita. Si pensi a pastori e fedeli uccisi per il fatto di essere cristiani e a quei vescovi e sacerdoti rapiti o spariti nel nulla. Non posso non ricordare i due presuli ortodossi, i due preti cattolici rapiti da mesi e infine padre Dall’Oglio. Anche per questo, secondo l’espressione del Vaticano II, i cristiani d’Oriente sono «i testimoni viventi delle origini» oggi più che mai, perché ci dicono con la vita Chi è la sorgente della speranza per l’uomo. È il Crocifisso, che ha versato il sangue per la pace universale. Proprio perché vogliono continuare ad essere cittadini dell’amata Siria, essi soffrono con tutto il popolo di quella nazione. Ma non vogliono essere considerati stranieri i discepoli di Gesù, che fin dalle origini del cristianesimo vivono in quelle terre condividendone pienamente le gioie e le sofferenze. Vanno sostenuti con la nostra preghiera e aiutati a rimanere amanti della verità e della giustizia. Si può e si deve far di tutto affinché sia possibile l’opera di carità di tanti volontari, cristiani e non, a favore delle famiglie e dei piccoli innocenti e indifesi. Troppo poco si è fatto per garantire corridoi umanitari e qui le responsabilità sono di tutte le parti in conflitto.
I cristiani orientali della diaspora come possono far sentire la loro voce all’opinione pubblica internazionale per favorire il processo di pace?
Per l’amore e l’attaccamento alle proprie radici possono confermare e incrementare l’ammirevole sostegno di cui hanno già dato prova. Li immagino in queste ore tra i primi ad attivarsi nelle diverse nazioni a diffondere le parole del Santo Padre, spendendosi per la maggiore adesione possibile alla giornata di preghiera e di digiuno di sabato prossimo. Ho tanta speranza soprattutto nei giovani, forse più disponibili a mobilitarsi, per amore della giustizia e della pace: anche in questa occasione essi sapranno “fare rumore”, come ha più volte chiesto loro il Papa a Rio nella Giornata Mondiale della Gioventù. Affido senz’altro ai giovani questa mobilitazione per la pace. Sappiano svegliare specialmente gli orientali, quelli che nel mondo ricoprono incarichi di responsabilità e quanti hanno immense possibilità, affinché si uniscano ai più umili, e soprattutto a Papa Francesco, perché sia ascoltato il “grido della pace”.
L'Osservatore Romano

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Associazioni e movimenti laicali in vista della giornata di digiuno e orazione. Per dar forza al grido della pace

È una risposta corale quella che giunge dal laicato cattolico all’invito alla preghiera e al digiuno per la pace in Siria, nel Medio oriente e nel mondo intero. L’Azione cattolica (Ac) italiana, come tutte le Ac del mondo riunite nel Forum internazionale di Azione cattolica, condivide «il grido della pace» di cui Papa Francesco si è fatto interprete nel corso dell’Angelus di domenica scorsa e rinnova «il proprio impegno a essere un anello di quella grande catena di donne e uomini di speranza, di dialogo e di solidarietà che considerano la pace un bene prezioso che supera ogni barriera, da promuovere e tutelare sempre».
Aderendo alla proposta e all’intenzione di Papa Francesco, i ragazzi, i giovani e gli adulti di Ac, parteciperanno alla giornata di digiuno e di preghiera indetta per sabato 7 settembre. «Offriamo la nostra concreta disponibilità a contribuire all’organizzazione in tutte le parrocchie e le diocesi del Paese di questo momento di preghiera e di incontro, alla vigilia della ricorrenza della Natività di Maria, Regina della Pace», si legge in una nota. «Come associazione di laici che opera nella costruzione del bene comune e per la promozione della pace auspichiamo che il nostro Paese e la comunità internazionale accolgano l’esortazione “a fare ogni sforzo per promuovere, senza ulteriore indugio, iniziative chiare per la pace in quella Nazione, basate sul dialogo e sul negoziato, per il bene dell’intera popolazione siriana”».
L’appello del Papa è stato accolto anche da Comunione e liberazione (Cl), che sottolinea come  «non è mai l’uso della violenza che porta alla pace, ma l’incontro e il negoziato». In un comunicato don Julián Carrón, presidente della Fraternità di Cl, afferma: «Accogliamo questo pressante invito del Papa e sosteniamo il suo grido — “Mai più la guerra! Un appello che nasce dall’intimo di me stesso!” —, unendoci alla sua preghiera con l’offerta delle nostre giornate, mentre aspettiamo di partecipare con tutti i fratelli e gli uomini di buona volontà alla grande giornata di digiuno e di preghiera convocata per sabato 7 settembre a Roma, aderendo alle iniziative delle diocesi nel mondo».
Analoga adesione è giunta dalla Comunità di Sant’Egidio che accoglie «con riconoscenza e totale sostegno» l’invito di Papa Francesco. «Sabato 7 settembre a Roma in piazza San Pietro, e negli oltre 70 Paesi del mondo in cui è presente e opera, la Comunità — si legge in un comunicato — si riunirà per pregare e per ripetere con forza e convinzione il grido del Papa: “Non è mai l’uso della violenza che porta alla pace. Guerra chiama guerra, violenza chiama violenza”».
Per Maria Voce, presidente del movimento dei Focolari, impegnata ad Amman, in Giordania, per partecipare all’assemblea generale della Conferenza mondiale delle religioni per la pace e per incontrare i rappresentanti del Movimento dei diversi Paesi dell’area medio-orientale, «due parole s’impongono in queste ore estremamente drammatiche e pericolose: impegno totale nel rispondere a Papa Francesco con la preghiera e il digiuno e gratitudine per aver dato voce ai cuori di milioni di uomini di tutte le fedi e di popoli di tutte le latitudini». In un comunicato, i Focolari rendono noto che gli aderenti al movimento parteciperanno alla giornata indetta dal Papa per il prossimo 7 settembre «unendosi alle forme più varie di preghiera, nelle parrocchie, nelle comunità, sulle strade e nelle case, in centinaia di città del mondo».
La visita di Maria Voce in Giordania, accompagnata dal co-presidente Giancarlo Faletti, si tiene quattordici anni dopo il viaggio di Chiara Lubich ad Amman. Un impegno teso a ribadire — si legge in un comunicato — «l’importanza della presenza del movimento in questa regione, anche dinnanzi alla possibilità di una nuova imminente guerra che tiene il mondo col fiato sospeso per le potenziali conseguenze». Con la speranza, sempre viva, che «la via del dialogo e della negoziazione ponga fine al conflitto e alle violenze in corso in Siria».
In tale scenario, le domande che i membri dei Focolari si pongono «riguardano il futuro dei loro Paesi, ma anche il rapporto con persone di altra religione, le relazioni fra le Chiese cristiane, tante di esse antiche e con una ricca e sovente dolorosa storia alle spalle, il futuro di famiglie e comunità in un momento in cui molti cercano di emigrare in vista di un futuro migliore». Sfide pressanti dove «anche la spiritualità dell’unità tipica dei Focolari, attraverso l’impegno di quanti vi aderiscono, cerca di dare un contributo». Questi giorni di comunione fra rappresentanti dei diversi popoli della regione con la presidente dei Focolari possono rappresentare una svolta, oltre a essere un segno di forte vicinanza e condivisione da parte dei membri del movimento nel resto del mondo.
Maria Voce sta incontrando delegazioni del movimento di varie nazioni del Vicino Oriente e del Nord Africa. Ad Amman sono convenuti laici e religiosi, giovani, adulti e famiglie, provenienti, oltre che dalla Giordania, da Turchia, Cipro, Libano, Siria, Iraq, Egitto, Algeria, Marocco, Tunisia e Terra Santa. Giorni di bilancio, con la possibilità di tracciare una prospettiva futura della presenza del movimento in un’area del mondo che vive realtà drammatiche. Nell’agenda della presidente, fra l’altro, la partecipazione all’incontro islamo-cristiano promosso dal Royal Institute for Inter-Faith Studies insieme a una delegazione di membri del movimento, cristiani e musulmani, nel pomeriggio del 4 settembre.
L'Osservatore Romano

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L'Osservatore Romano
Nel giorno in cui l’Onu certifica che i rifugiati siriani all’estero sono ormai più di due milioni, la minaccia di un inasprimento del conflitto, con conseguenze non valutabili ma certamente spaventose, pende sul popolo siriano e, più un generale, sull’intero Medio Oriente.


Il filo unico e insanguinato che lega le terre dei figli di Abramo


Secondo  tweet di Papa Francesco oggi: "Vogliamo che in questa nostra società, dilaniata da divisioni e da conflitti, scoppi la pace" (3 settembre 2013)

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Da Gregorio Magno a Karol Wojtyla il «dovere» di parlare contro l’orrore
di Alberto Melloni
in “Corriere della Sera” del 3 settembre 2013
Il modo in cui papa Francesco s’è fatto voce della tragedia di Siria e il gesto che ha annunciato per
sabato hanno un significato che sarebbe riduttivo incasellare nella sequenza delle «rivoluzioni»
bergogliane. Nell’Angelus di domenica ci sono infatti due citazioni teologicamente impegnative sia
per chi le ha fatte sia per chi le ha ascoltate.
Il Papa ha supplicato di porgere l’orecchio al «grido che sale» dalla terra: un movimento che, nella
Scrittura, è quello che porta verso Dio la voce d’Israele in Mizraim (Egitto). Non lo si ritrova, quel
riferimento all’Esodo, nelle tante condanne papali della guerra che papa Francesco domenica poteva
ricalcare. Poteva riferirsi al «dovere di parlare» con cui Wojtyla deplorò inascoltato la guerra nel
2003; alla formula di Pio XII del 1939 per cui «nulla è perduto con la pace» o a quella di Benedetto
XV sulla «inutile strage» del 1917; poteva congiungere come Paolo VI all’Onu nel 1965 il «mai più
la guerra» alla teoria della guerra come conseguenza fatale del peccato. Invece non ha omesso nulla,
ma ha scelto come cifra di riferimento quella del grido che è una citazione dell’Esodo e insieme una
citazione del messaggio con cui Giovanni XXIII nell’ottobre 1962 scongiurò la deflagrazione
atomica ai tempi della crisi di Cuba. Una scelta che dice come Francesco non abbia in mente una
rituale deplorazione, ma voglia andare oltre.
E l’oltre è indicato dall’altra citazione biblica del Vangelo di Marco che disegna il gesto annunciato
per sabato 7. Francesco ha invitato al digiuno e alla preghiera i cristiani — e i capi delle grandi
chiese dovranno prendere posizione. Ma si è rivolto allo stesso titolo anche ai non cristiani (per gli
ebrei è l’indomani di Rosh Hashana, il Capodanno) e agli atei, invitati non in un cortile per esclusi,
ma in una piazza che vuol essere icona dell’unità della famiglia umana in una lotta escatologica
contro la guerra. «Col digiuno e la preghiera», secondo il Vangelo di Marco, non si placa Dio, ma si
caccia quel demonio resistente perfino all’insorgenza messianica e alla santità dell’Inerme.
Proponendo così una sorta di esorcismo del disumano che passa dalla «lectio divina», Francesco
riporta alla mente la predicazione di Gregorio Magno davanti all’assedio dei Longobardi del 593-
594. Mentre incombe la catastrofe Gregorio apre la Scrittura col popolo e vi legge ciò che prima
non appariva, perché «le parole divine crescono con chi le legge».
Cimentarsi in questa lettura è un atto coraggioso. Il mondo di oggi gradisce messaggi brevi, al
limite del vuoto ben confezionato che ad esempio la politica italiana conosce. Francesco dovrà
dimostrare di avere una lettura piena e globale di una serie di crisi che la diplomazia vede come
episodi separati e che le comunità cristiane, alla luce della loro minorità, sanno invece essere l’una
il destino dell’altra. Quello che dal 1989 insanguina l’ex Impero ottomano, e le sue vicinanze, è un
unico grande sisma (dello stesso tipo di quello che avrebbe spappolato l’Europa senza
l’ecumenismo e senza l’euro). Un sisma moltiplicato dalla riapertura di cicatrici confessionali
interne all’Islam che per rimarginarsi richiederanno pochi secoli e che intanto formeranno intere
generazioni alla efferatezza. Le comunità cristiane ortodosse, cattoliche, protestanti sanno grazie
alla loro disseminata irrilevanza quantitativa che senza iniziative serie e audaci (di cui non si vede
traccia e che eccedono l’Onu) la Libia diventerà come la Siria, la Siria come l’Iraq, l’Iraq come
l’Afghanistan e via di questo passo, in una somma di violenza di cui, alla fine, come sempre, si
rischia che paghi il conto Israele anche se dovesse pagare il conto da vincitore. Trovare il filo
politico di questa lettura globale non è il mestiere del Papa: ma se il Papa trova il filo spirituale può
darsi che qualcuno si accorga che quello che lega le terre dei figli di Abramo è un filo unico. Unico 
e insanguinato.

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Vatican Insider
(Andrea Tornielli) Francesco e la giornata di preghiera e digiuno per la pace in Siria sulla scia degli appelli dei Pontefici dell'ultimo secolo e lancia il tweet «Vogliamo che in questa nostra società, dilaniata da divisioni e da conflitti, scoppi la pace». Che avesse in animo di fare (...)

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"Una catena d'impegno per la pace unisca tutti gli uomini e le donne di buona volontà"

Il Movimento dei Focolari si unisce alla preghiera e al digiuno proposti da papa Francesco per la Siria


«Due parole s’impongono in queste ore estremamente drammatiche e pericolose: impegno totale nel rispondere a papa Francesco con la preghiera e il digiuno e gratitudine per aver dato voce ai cuori di milioni di uomini di tutte le fedi e di popoli di tutte le latitudini».
Così Maria Voce esprime il sentire del Movimento dei Focolari da Amman, in Giordania, dove sta incontrando le comunità dei Focolari dei Paesi di Medio Oriente e Nord Africa. Un mosaico di Chiese (cattolici, copto-ortodossi, greco-ortodossi e greco-cattolici, maroniti, armeni, caldei, siro-ortodossi e siro-cattolici) ed una nutrita rappresentanza di musulmani provenienti dall’Algeria, Marocco, Turchia e Giordania.
Papa Francesco afferma nel suo accorato appello che «non è la cultura dello scontro, la cultura del conflitto» a costruire «la convivenza nei popoli e tra i popoli, ma la cultura dell’incontro, la cultura del dialogo: questa è l’unica strada per la pace». Ed è toccante sentire l’eco che arriva da famiglie e giovani della comunità dei Focolari di Aleppo: «Continuiamo nonostante tutto a costruire ponti di amore e unità con gli altri […], seminiamo la speranza nell’umanità sofferente attorno a noi, riempiamo i cuori tristi con la presenza di Dio, facciamo di tutto per portare l’amore agli altri. […] E preghiamo per la pace tanto minacciata nel mondo e nel Medio oriente, soprattutto in Siria, Egitto, Libano ed Iraq e perché trionfi l’amore di Dio nel mondo».
Con tutti gli uomini di buona volontà, gli aderenti dei Focolari intensificano il loro personale impegno con il diffondere e moltiplicare “gesti di pace” cominciando dai propri ambienti, come incoraggia a fare papa Francesco. Inoltre si raccolgono in preghiera quotidiana per la pace alle ore 12, di ogni fuso orario, nei 194 Paesi dove il Movimento è radicato. Il motivo viene sintetizzato da Maria Voce: «Per metterci di fronte a Dio e porci al suo servizio, perché possa usarci come strumenti di pace in tutti i nostri Paesi”.
I membri dei Focolari parteciperanno alla giornata indetta dal Papa per il prossimo 7 settembre per la pace in Siria, in Medio Oriente e nel mondo intero,unendosi alle forme più varie di preghiera, nelle parrocchie, nelle comunità, sulle strade e nelle case, in centinaia di città del mondo.

Papa Francesco

Il  tweet di Papa Francesco:
"Gesù, venendo in mezzo a noi trasforma la nostra vita. In Lui vediamo che Dio è amore, è fedeltà, è vita che si dona." (3 settembre 2013)


“Sempre dove è Gesù c’è umiltà, mitezza e amore”. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa di stamani alla Casa Santa Marta. Il Papa ha messo l’accento sulla distinzione tra la “luce tranquilla” di Gesù che parla al nostro cuore e la luce del mondo, una “luce artificiale” che ci rende superbi e orgogliosi. 

L’identità cristiana è “un’identità della luce non delle tenebre”. Papa Francesco ha svolto la sua omelia muovendo dalle parole di San Paolo rivolte ai primi discepoli di Gesù: “Voi fratelli non siete nelle tenebre, siete tutti figli della Luce”. Questa Luce, ha osservato il Papa, “non è stata ben voluta dal mondo”. Ma Gesù, ha detto, è venuto proprio per salvarci dal peccato, “la sua Luce ci salva dalle tenebre”. D’altro canto, ha soggiunto, oggi “si può pensare che ci sia la possibilità” di avere la luce “con tante cose scientifiche e tante cose dell’umanità”: 
“Si può conoscere tutto, si può avere scienza di tutto e questa luce sulle cose. Ma la luce di Gesù è un’altra cosa. Non è una luce dell’ignoranza, no! E’ una luce di sapienza e di saggezza, ma è un’altra cosa che la luce del mondo. La luce che ci offre il mondo è una luce artificiale, forse forte - più forte è quella di Gesù, eh! - forte come un fuoco d’artificio, come un flash della fotografia. Invece, la luce di Gesù è una luce mite, è una luce tranquilla, è una luce di pace, è come la luce nella notte di Natale: senza pretese”.

E’, ha detto ancora il Papa, una luce che “si offre e dà pace”. La luce di Gesù, ha proseguito, “non fa spettacolo, è una luce che viene nel cuore”. Tuttavia, ha avvertito, “è vero che il diavolo tante volte viene travestito da angelo di luce: a lui piace imitare Gesù e si fa buono, ci parla tranquillamente, come ha parlato a Gesù dopo il digiuno nel deserto”. Ecco perché dobbiamo chiedere al Signore “la saggezza del discernimento per conoscere quando è Gesù che ci dà la luce e quando è proprio il demonio, travestito da angelo di luce”:

“Quanti credono di vivere nella luce e sono nelle tenebre, ma non se ne accorgono. Come è la luce che ci offre Gesù? La luce di Gesù possiamo conoscerla, perché è una luce umile, non è una luce che si impone: è umile. E’ una luce mite, con la fortezza della mitezza. E’ una luce che parla al cuore ed è anche una luce che ti offre la Croce. Se noi nella nostra luce interiore siamo uomini miti, sentiamo la voce di Gesù nel cuore e guardiamo senza paura la Croce: quella è luce di Gesù”. 

Ma se, invece, viene una luce che ti “rende orgoglioso”, ha ammonito, una luce che “ti porta a guardare gli altri dall’alto”, a disprezzare gli altri, “alla superbia, quella non è luce di Gesù: è luce del diavolo, travestito da Gesù, da angelo di luce”. Il Papa ha così indicato il modo per distinguere la vera luce da quella falsa: “Sempre dove è Gesù c’è umiltà, mitezza, amore e Croce”. Mai, ha soggiunto, “troveremo un Gesù che non sia umile, mite, senza amore e senza Croce”. Dobbiamo allora andare dietro di Lui, “senza paura”, seguire la sua luce perché la luce di Gesù “è bella e fa tanto bene”. Nel Vangelo odierno, ha concluso, Gesù scaccia il demonio e la gente è persa da timore difronte ad una parola che scaccia gli spiriti impuri:

“Gesù non ha bisogno di un esercito per scacciare via i demoni, non ha bisogno della superbia, non ha bisogno della forza, dell’orgoglio. ‘Che parola è mai questa che comanda con autorità e potenza agli spiriti impuri ed essi se ne vanno?’ Questa è una parola umile, mite, con tanto amore; è una parola che ci accompagna nei momenti di Croce. Chiediamo al Signore che ci dia oggi la grazia della sua Luce e ci insegni a distinguere quando la luce è di Lui e quando è una luce artificiale, fatta dal nemico, per ingannarci”.

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Guerra chiama guerra, violenza chiama violenza, aveva detto domenica all’Angelus il Papa. In Siria si rischia la guerra mondiale, ha aggiunto ieri per fare ancora più chiarezza mons. Mario Toso, segretario del Pontificio consiglio Giustizia e Pace, secondo cui c’è il concreto pericolo che il conflitto “deflagri e si estenda ad altri paesi”. Gli ingredienti, aggiunge a Radio Vaticana, “ci sono tutti”. L’attacco contro Damasco – anche se limitato nel tempo e sferrato per punire l’uso di armi chimiche sulla popolazione civile da parte del regime di Bashar el Assad – è un’opzione che non può neppure essere presa in considerazione, a giudizio della Santa Sede. Mentre le strutture diplomatiche d’oltretevere lavorano per favorire una composizione del conflitto attraverso “l’incontro e il negoziato”, Francesco si prepara alla veglia di preghiera e digiuno di sabato prossimo, cui si unirà “probabilmente” anche il ministro degli Esteri italiano, Emma Bonino, la quale ha comunque precisato – se ce ne fosse bisogno – che non si unirà nella preghiera “in quanto laica”. L’obiettivo del gesto di Bergoglio è di mobilitare le coscienze, di riempire il sagrato di San Pietro di uomini e donne (non importa se cristiani, appartenenti ad altre confessioni religiose o atei) convinti che, se non al giudizio di Dio, almeno “a quello della storia sulle nostre azioni non si potrà sfuggire”.
La strategia è chiara ed è stata messa a punto sabato mattina nel corso di un’udienza a Santa Marta cui hanno preso parte i vertici della segreteria di stato, il prefetto della Congregazione per le chiese orientali, il cardinale Sandri, e il Pontefice stesso. Due giorni prima, Francesco aveva ricevuto il re giordano, Abdallah II, per farsi un’idea in prima persona di quale sia la situazione sul campo e degli sviluppi diplomatici. Un Angelus, quello di domenica, in cui il Papa cita Giovanni XXIII e la sua Pacem in terris, ma nel quale pare di riascoltare il “nulla è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra” pronunciato da Pio XII nell’agosto del 1939 e i passaggi più duri e drammatici della Lettera di Benedetto XV ai capi dei popoli belligeranti del 1917, in piena Grande Guerra.
L’attivismo del Papa argentino contro la guerra senza se e senza ma – anche se come reazione all’uso di armi chimiche, condannato esplicitamente domenica da Francesco – è molto di più che preoccupazione per le conseguenze che potranno scaturire dai raid sulla Siria. Bergoglio sta ribaltando il concetto secondo il quale, in casi particolari e circostanziati, l’intervento umanitario sia ammissibile se non addirittura provvidenziale. E’ una rivoluzione che chiude un’epoca durata vent’anni, da quando Giovanni Paolo II scrisse una lettera all’allora segretario generale dell’Onu, Boutros Boutros-Ghali, in cui sosteneva che “l’autorità del diritto e la forza morale dell’Onu costituiscono le basi sulle quali si fonda il diritto d’intervento per salvaguardare la popolazione presa in ostaggio dalla follia mortale dei fautori della guerra”. Ribadiva quanto, l’anno prima, aveva detto intervenendo alla Fao: “Sia reso obbligatorio l’intervento umanitario nelle situazioni che compromettono gravemente la sopravvivenza di popoli e di interi gruppi etnici: è un dovere per le nazioni e la comunità internazionale”. Oggi, Francesco archivia il bellum iustum invocato da Karol Wojtyla per salvare Sarajevo e grida dalla finestra dello studio privato del Palazzo apostolico che “non è mai l’uso della violenza che porta alla pace”. Le bombe, insomma, non si possono mai considerare legittime. Neanche se hanno impressa la firma delle Nazioni Unite.
M. Matzuzzi
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“la Repubblica” - Rassegna "Fine settimana"
(Marco Ansaldo) L’appello, il digiuno, due tweet. E poi incontri personali, parole di fermezza, la mobilitazione della sua diplomazia. Jorge Mario Bergoglio prova a lanciare il peso del suo fresco incarico come Pontefice di Santa Romana Chiesa nel tentativo di coagulare, (...)
Bonino, Veronesi e il Gran Muftì di Siria ecco il popolo dei “digiunatori” di Francesco (di Marco Ansaldo in “la Repubblica” - Rassegna "Fine settimana"

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