Sarà anche vero che la Chiesa deve somigliare a quell'ospedale da campo sul finire di una battaglia: l'urgenza non sarà quella di controllare il colesterolo o gli zuccheri ma di medicare le ferite mortali, per far ripartire la vita della persona ferita. Com'è di un ospedale da campo così Francesco sogna la sua Chiesa. E' un Papa che lentamente abbandona il sospetto d'essere un bravo “parroco di campagna” per mostrarsi sempre più agli occhi del mondo nella figura del condottiero, del leader che essendo tale avverte anche l'urgenza di pronunciare parole impopolari, di elaborare pensieri che nessuno forse vorrebbe sentirsi dire, di additare a quei sentieri di novità che sono il segno di una rinnovata fiducia verso Cristo e i suoi segreti percorsi nel cuore della storia. Lo fa usando immagini semplici, quotidiane, feriali in modo tale che nessuno possa dire che sono incomprensibili o astruse, difficili da capire per poi applicare. Parla di “odore del gregge”, di “ospedale da campo”, di “cristiani inamidati”, di “Dio spray”: ma si serve di tali immagini non tanto per spiazzare o far sorridere il mondo quanto per assicurare che il cristianesimo parla un linguaggio feriale, viaggia sulle strade dei quartieri, s'inabissa nel quotidiano della nostra storia. Di Francesco non vale il detto della rondine in primavera - “non basta una rondine a far primavera” -: la sua freschezza primaverile nasce dall'aver sperimentato che Dio ti cerca e ti trova sempre. Non te lo perdere, altrimenti sei perso. E' questa la prospettiva: lasciarsi guardare da Lui.
E' una lectio magistralis quella che qualche giorno fa ha intessuto dialogando con i catechisti* nell'ambito dell'Anno della Fede. Loro - figure preziosissime e immeritatamente poco considerate dentro la complessità di una parrocchia – tengono l'arduo compito di iniziare alla fede i piccoli, di immettere loro il sospetto che all'orizzonte ci sia un Dio che li cerca, li ama e propone loro un'avventura da condividere. Come quella volta lungo le sponde del lago: quei pescatori Gesù li aveva notati parecchie volte prima, sempre immersi nei loro lavori, nei loro pensieri, aggrappati a quello spazio d'acqua che assicurava loro il pane oltrechè i pesci. Li scopre abituati e getta loro un invito: “Andrea, perchè continuare a vivere in questo lago tutta la vita? Vuoi tentare l'avventura con me? Sarà un vivere difficile ma io sarò al tuo fianco. Ci stai?”. Quel giorno misero la prima pietra della prima Chiesa: Gesù fu per quel manipolo di pescatori un catechista della gioia. Non fece nessun discorso morale, non minacciò nessuna sentenza apocalittica, non barattò la sequela con promesse di tornaconto: offrì loro semplicemente una possibilità diversa di vivere la loro vita di tutti i giorni. Lo fece con gioia, però: quella stessa gioia che li conquistò.
Oggi la fatica in una parrocchia è quella di trasmettere la gioia e la passione a chi l'ha perduta già da tanto tempo. Troppi passaggi sono stati ripetuti ad oltranza, schemi e tattiche si sono usurati e logorati per il troppo uso, il “fare i catechisti” ha spodestato “l'essere catechisti”. Per papa Francesco è quest'ultima la vera missione: non tanto quella di chi, per scelta o per necessità, riveste tale ruolo in parrocchia ma di coloro che fanno della loro esistenza un racconto colorato e credibile della validità dell'annuncio di Cristo. Liberi di abitare le sfumature di Cristo, spinti e sospinti ad abitare i segreti percorsi dello Spirito, davvero capaci di fare spazio a Dio nel quotidiano della loro vita. Potranno anche sbagliare: ritenteranno ad oltranza perchè nella loro fede, magari piccola e gracile, hanno scoperto lo spazio e il tempo in cui si sono dati appuntamento l'Amore, l'Amato e l'Amante.
All'interno di una Chiesa magari incidentata ma non di certo abituata.
(da Il Mattino di Padova, 29 settembre 2013)
Santa Messa per i catechisti. Omelia di Papa Francesco
Santa Messa per i catechisti. Omelia di Papa Francesco: “Il catechista è uomo della memoria di Dio se ha un costante, vitale rapporto con Lui e con il prossimo; se è uomo di fede, che si fida veramente di Dio e pone in Lui la sua sicurezza; se è uomo di carità, di amore, che vede tutti come fratelli"
Il segno (...) indica frasi aggiunte dal Santo Padre e pronunciate a braccio.
1. «Guai agli spensierati di Sion e a quelli che si considerano sicuri, … distesi su letti d’avorio» (Am 6,1.4), mangiano, bevono, cantano, si divertono e non si curano dei problemi degli altri.Parole dure quelle del profeta Amos, ma che ci mettono in guardia da un pericolo che tutti corriamo. Che cosa denuncia questo messaggero di Dio, che cosa mette davanti agli occhi dei suoi contemporanei e anche davanti ai nostri occhi oggi? Il rischio di adagiarsi, della comodità, della mondanità nella vita e nel cuore, di avere come centro il nostro benessere.
E’ la stessa esperienza del ricco del Vangelo, che indossava vestiti di lusso e ogni giorno si dava ad abbondanti banchetti; questo era importante per lui. E il povero che era alla sua porta e non aveva di che sfamarsi? Non era affare suo, non lo riguardava. Se le cose, il denaro, la mondanità diventano centro della vita ci afferrano, ci possiedono e noi perdiamo la nostra stessa identità di uomini: guardate bene ... il ricco del Vangelo non ha nome, è semplicemente “un ricco”. Le cose, ciò che possiede sono il suo volto, non ne ha altri.
Ma proviamo a domandarci: come mai succede questo? Come mai gli uomini, forse anche noi, cadiamo nel pericolo di chiuderci, di mettere la nostra sicurezza nelle cose, che alla fine ci rubano il volto, il nostro volto umano? Questo succede quando perdiamo la memoria di Dio. (...) Se manca la memoria di Dio, tutto si appiattisce sull’io, sul mio benessere. La vita, il mondo, gli altri, perdono di consistenza, non contano più nulla, tutto si riduce a una sola dimensione: l’avere. Se perdiamo la memoria di Dio, anche noi stessi perdiamo consistenza, anche noi ci svuotiamo, perdiamo il nostro volto come il ricco del Vangelo! Chi corre dietro al nulla diventa lui stesso nullità – dice un altro grande profeta, Geremia (cfr Ger 2,5). Noi siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio, non delle cose, non degli idoli!
2. Allora, guardandovi, mi chiedo: chi è il catechista? E’ colui che custodisce e alimenta la memoria di Dio; la custodisce in se stesso e la sa risvegliare negli altri. E’ bello questo: fare memoria di Dio, come la Vergine Maria che, davanti all’azione meravigliosa di Dio nella sua vita, non pensa all’onore, al prestigio, alle ricchezze, non si chiude in se stessa. Al contrario, dopo aver accolto l’annuncio dell’Angelo e aver concepito il Figlio di Dio, che cosa fa? Parte, va dall’anziana parente Elisabetta, anch’essa incinta, per aiutarla; e nell’incontro con lei il suo primo atto è la memoria dell’agire di Dio, della fedeltà di Dio nella sua vita, nella storia del suo popolo, nella nostra storia: «L’anima mia magnifica il Signore … perché ha guardato l’umiltà della sua serva … di generazione in generazione la sua misericordia» (Lc 1,46.48.50). (...) In questo cantico di Maria c’è anche la memoria della sua storia personale, la storia di Dio con lei, la sua stessa esperienza di fede. Ed è così per ognuno di noi, per ogni cristiano: la fede contiene proprio memoria della storia di Dio con noi, la memoria dell’incontro con Dio che si muove per primo, che crea e salva, che ci trasforma; la fede è memoria della sua Parola che scalda il cuore, delle sue azioni di salvezza con cui ci dona vita, ci purifica, ci cura, ci nutre. Il catechista è proprio un cristiano che mette questa memoria al servizio dell’annuncio; non per farsi vedere, non per parlare di sé, ma per parlare di Dio, del suo amore, della sua fedeltà. (...) San Paolo raccomanda al suo discepolo e collaboratore Timoteo soprattutto una cosa: Ricordati di Gesù Cristo, risorto dai morti, che io annuncio e per il quale soffro (cfr 2 Tm 2,8-9). Ma l’Apostolo può dire questo perché lui per primo si è ricordato di Cristo, che lo ha chiamato quando era persecutore dei cristiani, lo ha toccato e trasformato con la sua Grazia.
Il catechista allora è un cristiano che porta in sé la memoria di Dio, si lascia guidare dalla memoria di Dio in tutta la sua vita, e la sa risvegliare nel cuore degli altri. E’ impegnativo questo! Impegna tutta la vita! Lo stesso Catechismo che cos’è se non memoria di Dio, memoria della sua azione nella storia, del suo essersi fatto vicino a noi in Cristo, presente nella sua Parola, nei Sacramenti, nella sua Chiesa, nel suo amore? Cari catechisti, vi domando: siamo noi memoria di Dio? Siamo veramente come sentinelle che risvegliano negli altri la memoria di Dio, che scalda il cuore?
3. «Guai agli spensierati di Sion», dice il profeta. Quale strada percorrere per non essere persone “spensierate”, che pongono la loro sicurezza in se stessi e nelle cose, ma uomini e donne della memoria di Dio? Nella seconda Lettura san Paolo, scrivendo sempre a Timoteo, dà alcune indicazioni che possono segnare anche il cammino del catechista, il nostro cammino: tendere alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza (cfr 1 Tm 6,11). Il catechista è uomo della memoria di Dio se ha un costante, vitale rapporto con Lui e con il prossimo; se è uomo di fede, che si fida veramente di Dio e pone in Lui la sua sicurezza; se è uomo di carità, di amore, che vede tutti come fratelli; se è uomo di “hypomoné”, di pazienza e perseveranza, che sa affrontare le difficoltà, le prove, gli insuccessi, con serenità e speranza nel Signore; se è uomo mite, capace di comprensione e di misericordia.
Preghiamo il Signore perché siamo tutti uomini e donne che custodiscono e alimentano la memoria di Dio nella propria vita e la sanno risvegliare nel cuore degli altri. Amen.
AI PARTECIPANTI AL CONGRESSO INTERNAZIONALE SULLA CATECHESI
Aula Paolo VI
Venerdì, 27 settembre 2013
Cari catechisti, buonasera!
Mi piace che nell’Anno della fede ci sia questo incontro per voi: la catechesi è un pilastro per l’educazione della fede, e ci vogliono buoni catechisti! Grazie di questo servizio alla Chiesa e nella Chiesa. Anche se a volte può essere difficile, si lavora tanto, ci si impegna e non si vedono i risultati voluti, educare nella fede è bello! E’ forse la migliore eredità che noi possiamo dare: la fede! Educare nella fede, perché lei cresca. Aiutare i bambini, i ragazzi, i giovani, gli adulti a conoscere e ad amare sempre di più il Signore è una delle avventure educative più belle, si costruisce la Chiesa! “Essere” catechisti! Non lavorare da catechisti: questo non serve! Io lavoro da catechista perché mi piace insegnare… Ma se tu non sei catechista, non serve! Non sarai fecondo, non sarai feconda! Catechista è una vocazione: “essere catechista”, questa è la vocazione, non lavorare da catechista. Badate bene, non ho detto “fare” i catechisti, ma “esserlo”, perché coinvolge la vita. Si guida all’incontro con Gesù con le parole e con la vita, con la testimonianza. Ricordatevi quello che Benedetto XVI ci ha detto: “La Chiesa non cresce per proselitismo. Cresce per attrazione”. E quello che attrae è la testimonianza. Essere catechista significa dare testimonianza della fede; essere coerente nella propria vita. E questo non è facile. Non è facile! Noi aiutiamo, noi guidiamo all’incontro con Gesù con le parole e con la vita, con la testimonianza. A me piace ricordare quello che san Francesco di Assisi diceva ai suoi frati: “Predicate sempre il Vangelo e, se fosse necessario, anche con le parole”. Le parole vengono… ma prima la testimonianza: che la gente veda nella nostra vita il Vangelo, possa leggere il Vangelo. Ed “essere” catechisti chiede amore, amore sempre più forte a Cristo, amore al suo popolo santo. E questo amore non si compra nei negozi, non si compra qui a Roma neppure. Questo amore viene da Cristo! E’ un regalo di Cristo! E’ un regalo di Cristo! E se viene da Cristo parte da Cristo e noi dobbiamo ripartire da Cristo, da questo amore che Lui ci dà, Che cosa significa questo ripartire da Cristoper un catechista, per voi, anche per me, perché anch’io sono catechista? Cosa significa?
Io parlerò di tre cose: uno, due e tre, come facevano i vecchi gesuiti… uno, due e tre!
1. Prima di tutto, ripartire da Cristo significa avere familiarità con Lui, avere questa familiarità con Gesù: Gesù lo raccomanda con insistenza ai discepoli nell’Ultima Cena, quando si avvia a vivere il dono più alto di amore, il sacrificio della Croce. Gesù utilizza l’immagine della vite e dei tralci e dice: rimanete nel mio amore, rimanete attaccati a me, come il tralcio è attaccato alla vite. Se siamo uniti a Lui possiamo portare frutto, e questa è la familiarità con Cristo. Rimanere in Gesù! E’ un rimanere attaccati a Lui, dentro di Lui, con Lui, parlando con Lui: rimanere in Gesù.
La prima cosa, per un discepolo, è stare con il Maestro, ascoltarlo, imparare da Lui. E questo vale sempre, è un cammino che dura tutta la vita. Ricordo, tante volte in diocesi, nell’altra diocesi che avevo prima, di aver visto alla fine dei corsi nel seminario catechistico, i catechisti che uscivano dicendo: “Ho il titolo di catechista!”. Quello non serve, non hai niente, hai fatto una piccola stradina! Chi ti aiuterà? Questo vale sempre! Non è un titolo, è un atteggiamento: stare con Lui; e dura tutta la vita! E’ uno stare alla presenza del Signore, lasciarsi guardare da Lui. Io vi domando: Come state alla presenza del Signore? Quando vai dal Signore, guardi il Tabernacolo, che cosa fate? Senza parole… Ma io dico, dico, penso, medito, sento… Molto bene! Ma tu ti lasci guardare dal Signore? Lasciarci guardare dal Signore. Lui ci guarda e questa è una maniera di pregare. Ti lasci guardare dal Signore? Ma come si fa? Guardi il Tabernacolo e ti lasci guardare… è semplice! E’ un po’ noioso, mi addormento... Addormentati, addormentati! Lui ti guarderà lo stesso, Lui ti guarderà lo stesso. Ma sei sicuro che Lui ti guarda! E questo è molto più importante del titolo di catechista: è parte dell’essere catechista. Questo scalda il cuore, tiene acceso il fuoco dell’amicizia col Signore, ti fa sentire che Lui veramente ti guarda, ti è vicino e ti vuole bene. In una delle uscite che ho fatto, qui a Roma, in una Messa, si è avvicinato un signore, relativamente giovane, e mi ha detto: “Padre, piacere di conoscerla, ma io non credo in niente! Non ho il dono della fede!”. Capiva che era un dono. “Non ho il dono della fede! Che cosa mi dice lei?”. “Non ti scoraggiare. Lui ti vuole bene. Lasciati guardare da Lui! Niente di più”. E questo lo dico a voi: lasciatevi guardare dal Signore! Capisco che per voi non è così semplice: specialmente per chi è sposato e ha figli, è difficile trovare un tempo lungo di calma. Ma, grazie a Dio, non è necessario fare tutti nello stesso modo; nella Chiesa c’è varietà di vocazioni e varietà di forme spirituali; l’importante è trovare il modo adatto per stare con il Signore; e questo si può, è possibile in ogni stato di vita. In questo momento ognuno può domandarsi: come vivo io questo “stare” con Gesù? Questa è una domanda che vi lascio: “Come vivo io questo stare con Gesù, questo rimanere in Gesù?”. Ho dei momenti in cui rimango alla sua presenza, in silenzio, mi lascio guardare da Lui? Lascio che il suo fuoco riscaldi il mio cuore? Se nel nostro cuore non c’è il calore di Dio, del suo amore, della sua tenerezza, come possiamo noi, poveri peccatori, riscaldare il cuore degli altri? Pensate a questo!
2. Il secondo elemento è questo. Secondo: ripartire da Cristo significa imitarlo nell’uscire da sé e andare incontro all’altro. Questa è un’esperienza bella, e un po’ paradossale. Perché? Perché chi mette al centro della propria vita Cristo, si decentra! Più ti unisci a Gesù e Lui diventa il centro della tua vita, più Lui ti fa uscire da te stesso, ti decentra e ti apre agli altri. Questo è il vero dinamismo dell’amore, questo è il movimento di Dio stesso! Dio è il centro, ma è sempre dono di sé, relazione, vita che si comunica… Così diventiamo anche noi se rimaniamo uniti a Cristo, Lui ci fa entrare in questo dinamismo dell’amore. Dove c’è vera vita in Cristo, c’è apertura all’altro, c’è uscita da sé per andare incontro all’altro nel nome di Cristo. E questo è il lavoro del catechista: uscire continuamente da sé per amore, per testimoniare Gesù e parlare di Gesù, predicare Gesù. Questo è importante perché lo fa il Signore: è proprio il Signore che ci spinge a uscire.
Il cuore del catechista vive sempre questo movimento di “sistole - diastole”: unione con Gesù - incontro con l’altro. Sono le due cose: io mi unisco a Gesù ed esco all’incontro con gli altri. Se manca uno di questi due movimenti non batte più, non può vivere. Riceve in dono il kerigma, e a sua volta lo offre in dono. Questa parolina: dono. Il catechista è cosciente che ha ricevuto un dono, il dono della fede e lo dà in dono agli altri. E questo è bello. E non se ne prende per sé la percentuale! Tutto quello che riceve lo dà! Questo non è un affare! Non è un affare! E’ puro dono: dono ricevuto e dono trasmesso. E il catechista è lì, in questo incrocio di dono. E’ così nella natura stessa del kerigma: è un dono che genera missione, che spinge sempre oltre se stessi. San Paolo diceva: «L’amore di Cristo ci spinge», ma quel “ci spinge” si può tradurre anche “ci possiede”. E’ così: l’amore ti attira e ti invia, ti prende e ti dona agli altri. In questa tensione si muove il cuore del cristiano, in particolare il cuore del catechista. Chiediamoci tutti: è così che batte il mio cuore di catechista: unione con Gesù e incontro con l’altro? Con questo movimento di “sistole e diastole”? Si alimenta nel rapporto con Lui, ma per portarlo agli altri e non per ritenerlo? Vi dico una cosa: non capisco come un catechista possa rimanere fermo, senza questo movimento. Non capisco!
3. E il terzo elemento – tre - sta sempre in questa linea: ripartire da Cristo significa non aver paura di andare con Lui nelle periferie. Qui mi viene in mente la storia di Giona, una figura davverointeressante, specialmente nei nostri tempi di cambiamenti e di incertezza. Giona è un uomo pio, con una vita tranquilla e ordinata; questo lo porta ad avere i suoi schemi ben chiari e a giudicare tutto e tutti con questi schemi, in modo rigido. Ha tutto chiaro, la verità è questa. E’ rigido! Perciò quando il Signore lo chiama e gli dice di andare a predicare a Ninive, la grande città pagana, Giona non se la sente. Andare là! Ma io ho tutta la verità qui!. Non se la sente…Ninive è al di fuori dei suoi schemi, è alla periferia del suo mondo. E allora scappa, se ne va in Spagna, fugge via, si imbarca su una nave che va da quelle parti. Andate a rileggere il Libro di Giona! E’ breve, ma è una parabola molto istruttiva, specialmente per noi che siamo nella Chiesa.
Che cosa ci insegna? Ci insegna a non aver paura di uscire dai nostri schemi per seguire Dio, perché Dio va sempre oltre. Ma sapete una cosa? Dio non ha paura! Sapevate questo voi? Non ha paura! E’ sempre oltre i nostri schemi! Dio non ha paura delle periferie. Ma se voi andate alle periferie, lo troverete lì. Dio è sempre fedele, è creativo. Ma, per favore, non si capisce un catechista che non sia creativo. E la creatività è come la colonna dell’essere catechista. Dio è creativo, non è chiuso, e per questo non è mai rigido. Dio non è rigido! Ci accoglie, ci viene incontro, ci comprende. Per essere fedeli, per essere creativi, bisogna saper cambiare. Saper cambiare. E perché devo cambiare? E’ per adeguarmi alle circostanze nelle quali devo annunziare il Vangelo. Per rimanere con Dio bisogna saper uscire, non aver paura di uscire. Se un catechista si lascia prendere dalla paura, è un codardo; se un catechista se ne sta tranquillo, finisce per essere una statua da museo: e ne abbiamo tanti! Ne abbiamo tanti! Per favore, niente statue da museo! Se un catechista è rigido diventa incartapecorito e sterile. Vi domando: qualcuno di voi vuole essere codardo, statua da museo o sterile? Qualcuno ha questa voglia? [catechisti: No!] No? Sicuro? Va bene! Quello che dirò adesso lo ho detto tante volte, ma mi viene dal cuore di dirlo. Quando noi cristiani siamo chiusi nel nostro gruppo, nel nostro movimento, nella nostra parrocchia, nel nostro ambiente, rimaniamo chiusi e ci succede quello che accade a tutto quello che è chiuso; quando una stanza è chiusa incomincia l’odore dell’umidità. E se una persona è chiusa in quella stanza, si ammala! Quando un cristiano è chiuso nel suo gruppo, nella sua parrocchia, nel suo movimento, è chiuso, si ammala. Se un cristiano esce per le strade, nelle periferie, può succedergli quello che succede a qualche persona che va per la strada: un incidente. Tante volte abbiamo visto incidenti stradali. Ma io vi dico: preferisco mille volte una Chiesa incidentata, e non una Chiesa ammalata! Una Chiesa, un catechista che abbia il coraggio di correre il rischio per uscire, e non un catechista che studi, sappia tutto, ma chiuso sempre: questo è ammalato. E alle volte è ammalato dalla testa….
Ma attenzione! Gesù non dice: andate, arrangiatevi. No, non dice quello! Gesù dice: Andate, io sono con voi! Questa è la nostra bellezza e la nostra forza: se noi andiamo, se noi usciamo a portare il suo Vangelo con amore, con vero spirito apostolico, con parresia, Lui cammina con noi, ci precede, – lo dico in spagnolo – ci “primerea”. Il Signore sempre ci “primerea”! Ormai avete imparato il senso di questa parola. E questo lo dice la Bibbia, non lo dico io. La Bibbia dice, il Signore dice nella Bibbia: Io sono come il fior del mandorlo. Perché? Perché è il primo fiore che fiorisce nella primavera. Lui è sempre “primero”! Lui è primo! Questo è fondamentale per noi: Dio sempre ci precede! Quando noi pensiamo di andare lontano, in una estrema periferia, e forse abbiamo un po’ di timore, in realtà Lui è già là: Gesù ci aspetta nel cuore di quel fratello, nella sua carne ferita, nella sua vita oppressa, nella sua anima senza fede. Ma voi sapete una delle periferie che mi fa così tanto male che sento dolore - lo avevo visto nella diocesi che avevo prima? E’ quella dei bambini che non sanno farsi il Segno della Croce. A Buenos Aires ci sono tanti bambini che non sanno farsi il Segno della Croce. Questa è una periferia! Bisogna andare là! E Gesù è là, ti aspetta, per aiutare quel bambino a farsi il Segno della Croce. Lui sempre ci precede.
Cari catechisti, sono finiti i tre punti. Sempre ripartire da Cristo! Vi dico grazie per quello che fate, ma soprattutto perché ci siete nella Chiesa, nel Popolo di Dio in cammino, perché camminate con il Popolo di Dio. Rimaniamo con Cristo - rimanere in Cristo - cerchiamo di essere sempre più una cosa sola con Lui; seguiamolo, imitiamolo nel suo movimento d’amore, nel suo andare incontro all’uomo; e usciamo, apriamo le porte, abbiamo l’audacia di tracciare strade nuove per l’annuncio del Vangelo.
Che il Signore vi benedica e la Madonna vi accompagni. Grazie!
Maria è nostra Madre,
Maria sempre ci porta a Gesù!
Facciamo una preghiera, uno per l’altro, alla Madonna.
[Ave Maria]
[Benedizione]
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