Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

venerdì 6 settembre 2013

«I discepoli di Giovanni digiunano spesso e fanno preghiere, così pure i discepoli dei farisei; i tuoi invece mangiano e bevono!»



Commento al Vangelo della XXIII domenica del Tempo Ordinario
Takamatsu, 05 Settembre 2013 (Zenit.org) Don Antonello Iapicca


Gesù “si volta” anche oggi per guardare chi lo segue, e come … “Si volta” verso la sua Chiesa per scrutarne il cuore, e il suo sguardo giunge anche a noi. Forse la nostra vita è disciolta in …leggi tutto






Santo Volto di Mannoppello




Voglio che il mio Volto, 
il quale riflette le pene intime del mio animo, 
il dolore e l'amore del mio Cuore, 
sia più onorato. 
Chi mi contempla mi consola.


Il Signore alla Beata Pierina De Micheli

Dal Vangelo secondo Luca 5,33-39

In quel tempo, i farisei e i loro scribi dissero a Gesù: «I discepoli di Giovanni digiunano spesso e fanno preghiere, così pure i discepoli dei farisei; i tuoi invece mangiano e bevono!». 
Gesù rispose loro: «Potete forse far digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto: allora in quei giorni digiuneranno». 
Diceva loro anche una parabola: «Nessuno strappa un pezzo da un vestito nuovo per metterlo su un vestito vecchio; altrimenti il nuovo lo strappa e al vecchio non si adatta il pezzo preso dal nuovo. E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino nuovo spaccherà gli otri, si spanderà e gli otri andranno perduti. Il vino nuovo bisogna versarlo in otri nuovi. Nessuno poi che beve il vino vecchio desidera il nuovo, perché dice: “Il vecchio è gradevole!”».


Il commento


Amore e libertà: i discepoli di Gesù digiunano per amore, in libertà. Il digiuno cristiano è memoria, non è solo una pratica religiosa per purificarsi. E' inginocchiarsi dinanzi al Crocifisso e implorare il suo ritorno. E' una condizione essenziale dell'esistenza, vivendo autenticamente la vita terrena, che è già e non ancora. Lo Sposo è con noi, ma, contemporaneamente, non lo è in pienezza, perché questa è riservata al Cielo. La terra è ancora un cammino, passi che si susseguono verso il compimento, mentre la mancanza e il desiderio si acuiscono all'avvicinarsi della meta. Le nostre nozze con il Signore sono certo indissolubili, eppure “vi sono giorni nei quali lo sposo ci è tolto”. E’ quando la vita si addentra nel mistero di una compiutezza pregustata ma non ancora completamente assaporata. E' il mistero della Chiesa, sposa e vedova allo stesso tempo, che esplode di gioia intorno alla mensa eucaristica, ma che digiuna nell'attesa della parusia. Essa vive del Memoriale del suo Signore, l'eucarestia, presenza viva del suo Sposo amatissimo. Per Lui getta ogni avere, gli spiccioli che ha per vivere, per Lui digiuna, perché Lui è la sua vita.


Nel mezzo del banchetto pasquale rinnovato ogni settimana erompe in un grido di nostalgia e speranza: Maràn athà, che afferma la certezza che il Signore nostro viene, ma che si può leggere anche marana tha, Signore nostro, vieni! E' la parola che chiude la Scrittura: "Colui che attesta queste cose dice: «Sì, verrò presto!». Amen. Vieni, Signore Gesù" (Ap. 22,20). Il digiuno è il nostro Maràn athà, le lacrime appassionate della Maddalena presso la tomba del suo Signore; il digiuno è l'attesa fatta preghiera, perché lo Sposo torni presto per portarci con Lui. Presentando il calice nell’ultima cena, Gesù ha detto: «In verità vi dico, non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel Regno di Dio» (Mc 14,25). Dopo quel banchetto lo Sposo sarà tolto e i discepoli dovranno digiunare nell’attesa del suo ritorno, nella speranza dell’eterno «banchetto delle nozze dell’Agnello» (Ap 19,9). Il nostro digiuno partecipa così a quello di Gesù deposto nel sepolcro. Un digiuno che custodisce la promessa di bere con Lui il vino nuovo del Regno di Dio. Digiunare è spogliarci in attesa d'essere una sola carne redenta con il nostro Sposo, nell'ansia del santo e castissimo amplesso, quell'amore eterno per il quale siamo stati creati. 


Il digiuno esprime la novità di un rapporto autentico con Dio, non più basato sul timore ma sull'amore, come un’abitudine nuova, l’abito nuovo con il quale entrare nella storia quotidiana; come alle nozze di Cana, il digiuno prepara e spera, l’avvento del “vino nuovo”, il segno di una festa e un'allegria sconosciute che scaturiscono dall'amore più forte della morte. La Chiesa, come Maria, sa che Gesù è con Lei, nella vita dei suoi figli, anche se non è giunta ancora l’ora della sua definitiva manifestazione riservata alla parusia. Per questo prega e digiuna perché. anche se le nozze si compiranno solo nel mondo futuro, il demonio non abbia potere sul loro preludio che è la vita in questo mondo. Pur digiunando, la Chiesa non smette il “vestito nuovo” della festa per indossare abiti rattoppati che certamente si squarceranno. 


I cristiani non cercano soluzioni superficiali ai problemi, come i digiuni fatti per dimagrire nel corpo e ingrassare così l’uomo vecchio schiavo dell’orgoglio e della vanità. In poco tempo, e senza accorgersene, la fame del superbo si fa più forte ed esigente, e finisce per divenire più grasso e tronfio di prima, l’esito inevitabile di chi cerca sempre il compromesso tra il passato di peccato e la vita nuova della Grazia, tra il mondo e Dio, come "toppe cucite sugli strappi", "otri" incapaci di contenere e custodire l’assoluta novità dell’amore di Cristo. I cristiani, paradossalmente, digiunano pregustando già il “vino nuovo” che non spacca gli otri della propria vita, ma, proprio nella precarietà e nella debolezza di una vedova, la memoria dello Sposo che è il digiuno, costituisce la loro forza, con la quale entrano nei giorni senza dissipare e strappare nulla, donandosi con amore a tutti.


Per questo Santa Teresa d'Avila diceva "Muoio perché non muoio", e San Paolo affermava che “il morire è meglio del vivere”. Non era disprezzo della vita, anzi: più si vive intensamente la vita terrena più si desidera di addormentarsi per risvegliarsi in Cielo. Più la vita è perduta per amore, più forte è l'ansia d'un amore perfetto e definitivo: siamo chiamati a divenire “uomini che hanno in sé un desiderio così possente che supera la loro natura, ed essi bramano e desiderano più di quanto all’uomo sia consono aspirare, questi uomini sono stati colpiti dallo Sposo stesso; Egli stesso ha inviato ai loro occhi un raggio ardente della sua bellezza. L’ampiezza della ferita rivela già quale sia lo strale e l’intensità del desiderio lascia intuire Chi sia colui che ha scoccato il dardo” (N. Kabasilas). Feriti dal dardo d'amore del loro Sposo i figli delle nozze vivono un'attesa di pienezza che nulla sulla terra può colmare. 


Quando sperimentiamo la lontananza da una persona cara che vorremmo vicino; quando dobbiamo vedere le persone amate dileguarsi e scomparire dall'orizzonte della nostra vita; quando forte è l'esperienza della frustrazione, e sforzi, progetti, speranze sembrano andare in fumo; quando le sofferenze, la precarietà, le malattie, la solitudine, i fallimenti, ghermiscono l'esistenza e non le lasciano proprio nulla cui appoggiarsi, nulla a dare consistenza alle giornate, al lavoro, agli affetti; quando le debolezze ci rivelano incapaci di donare la vita e amore; quando la Croce ci accoglie, spogli di ogni certezza, nell'esperienza dura di trovarci lontani dal paradiso, nudi e indifesi come Adamo ed Eva prostrati dalla fatica e dal dolore; quando, come a Cana, “non abbiamo più vino”, e questo definisce senza sconti la nostra vita; quando la guerra e la violenza incombono, e i demoni affilano le armi per ucciderci, il digiuno emerge quale condizione esistenziale autentica e ineludibile. Papa Francesco lo sa bene e per questo ha invitato tutti a digiunare perché il Signore ci doni la sua pace. Essa non può essere il frutto di compromessi terreni, precari e stabiliti per essere infranti; la pace può essere solo un dono celeste, che superi le barriere degli egoismi. Qualcosa di nuovo e imprevisto, un otre nuovo per contenere il vino nuovo della vita divina. 


Per questo in alcuni momenti, quando più intensa è l'esperienza della mancanza di pienezza e più viva è la consapevolezza che la presenza assoluta dello Sposo è questione di vita o di morte - quando siamo incastrati sul legno della Croce - è "naturale" il digiuno, il segno con il quale affermare di voler accogliere la storia così come Dio ce la dona, perché proprio in essa è presente il nostro Sposo. Cristo crocifisso, infatti, appare come la feccia degli uomini, uno davanti al quale coprirsi il volto per non guardare, non di certo come lo Sposo più bello; eppure, celato in quel "digiuno d'uomo" c'è Dio. Sul Golgota nessuno era capace di vederlo; al contrario, era lì come il peggiore dei bestemmiatori. Esattamente come appare la nostra esistenza, ferita, nuda, affamata; ma in essa è nascosto Cristo, carne della nostra carne, la sua Vita divina vi è deposta come un seme nella nostra vita mortale, la pienezza incastonata nella precarietà e nella caducità. 


Non mangiare, non fumare, non parlare, digiunare da qualcosa, non è allora solo una pratica ascetica per "saziare" e ingrassare l'uomo vecchio che, spesso, fa anche della religione qualcosa di carnale, idolatrando perfino la santità. Digiunare è un'esigenza, un grido dalla Croce, l'eco stesso delle parole del Signore Crocifisso: "Dio mio, Dio mio, Sposo mio perché mi hai abbandonato?" (Sal. 21). Il digiuno sono le lacrime che sperano il suo amore. E' questa l'ascesi, l'ascesa orante al trono della misericordia che sappiamo non deludere mai. Digiunare è lasciare che la verità prenda il posto delle menzogne, delle fughe e delle alienazioni, nella speranza fiduciosa di fare la stessa esperienza del salmista e di Gesù descritta al termine del salmo: “E io vivrò per lui… «Ecco l'opera del Signore!»” (Sal. 21). La fame che il digiuno suscita rivela la nostra realtà, quella dei nostri figli, dei giovani ai quali, troppo spesso, indichiamo percorsi diametralmente opposti e che non potranno mai realizzare le loro vite, consegnandoli così alla menzogna della vanità. 


E' dovere ineludibile di ogni educatore e apostolo illuminare profeticamente la vita e indicare nel digiuno, nel sacrificio, nel combattimento quotidiano, l'unico cammino che svela la verità celata nelle apparenze, la sola via autentica per vivere e non sopravvivere. Digiunare è come dipingere un'icona, un'immagine del destino promesso celato tra le pieghe delle vicende umane: "... quale percorso interiore l’icona presupponga. L’icona non è semplicemente la riproduzione di quanto è percepibile con i sensi, ma piuttosto presuppone, come egli afferma, un “digiuno della vista”. La percezione interiore deve liberarsi dalla mera impressione dei sensi ed in preghiera ed ascesi acquisire una nuova, più profonda capacità di vedere, compiere il passaggio da ciò che è meramente esteriore verso la profondità della realtà, in modo che l’artista veda ciò che i sensi in quanto tali non vedono e ciò che tuttavia nel sensibile appare: lo splendore della gloria di Dio, la gloria di Dio sul volto di Cristo" (J. Ratzinger, Messaggio inviato al Meeting di Rimini, 2002). La nostra vita è come un'icona che svela al mondo la Verità trasfigurata nella carne delle nostre storie quotidiane. E’ dunque parte essenziale della missione che ci è affidata, camminare interiormente con Cristo per aprire il Cielo della speranza a questa generazione. Questi luoghi e quest'ora non sono il destino definitivo: ogni uomo è nato per il Paradiso. Il nostro digiuno ne è un segno, per tutti.



APPROFONDIMENTO

L'ICONA DELLO SPOSO

Icona dello Sposo

Chi è colei che sale dal deserto,
appoggiata al suo diletto?
Sotto il melo ti ho svegliata;
là, dove ti concepì tua madre,
là, dove la tua genitrice ti partorì.

Mettimi come sigillo sul tuo cuore,
come sigillo sul tuo braccio;
perché forte come la morte è l'amore,
tenace come gli inferi è la passione:
le sue vampe son vampe di fuoco,
una fiamma del Signore!

Le grandi acque non possono spegnere l'amore
né i fiumi travolgerlo.
Se uno desse tutte le ricchezze della sua casa
in cambio dell'amore, non ne avrebbe che dispregio.
Cantico dei Cantici 8,5-7


Nelle chiese di rito bizantino, l’icona “Cristo Sposo” viene usualmente presentata alla venerazione dei fedeli durante la Settimana Santa, che nella tradizione orientale è dominata dal tema delle nozze di Dio con l’umanità, da cui deriva il nome dell’Icona. L'Icona costituisce una porta d’ingresso alla preghiera della Chiesa nel triduo pasquale e sintetizza tutti gli elementi del mistero della Pasqua del Signore. Al canto del tropario “Ecco lo Sposo viene nel mezzo della notte, beato quel servo che troverà vigilante, indegno quel servo che troverà negligente”, la sacra immagine viene portata in processione ed i fedeli hanno così modo di baciarla.
Il modello dell’Icona di “Cristo Sposo” fece la sua comparsa intorno al XII secolo, in Oriente; ben presto guadagnò un’enorme celebrità, al punto da essere rappresentato non solo su tavola, ma come affresco sui muri delle chiese, in specie dentro il "santuario" e sui codici miniati. Il successo dell’Icona fu così grande, che il modello rapidamente passò nell’arte Occidentale, ove l’iconografia medioevale ha voluto anch'essa rappresentare l’immagine di Maria-Chiesa come Sposa di Cristo. Questa continua tensione verso una sempre più profonda comprensione del mistero dell’amore di Cristo verso la Chiesa-Maria-Sposa ha caratterizzato infatti la riflessione teologica su Maria di tutta la Chiesa, sia d’Oriente sia d’Occidente.

In Maria è prefigurata tutta la Chiesa perché in modo del tutto singolare a Maria viene data tutta la Grazia - “Piena di grazia”(Lc. 1,28) - di cui è colmata la Chiesa intera. Come sostengono i padri della Chiesa: “La Vergine risplendette di tale abbondanza di doni celesti, di tale pienezza di grazia e di tale innocenza, da divenire il culmine di tutti i miracoli di Dio, una seconda Eva uscita illibata dalle mani di Dio e capace di accrescere continuamente il dono ricevuto, tanto da riuscire ad infrangere completamente la violenza e il potere del demonio”. Il Figlio dunque, che è onnipotente, ha fatto onnipotente la Madre. "Il Figlio è onnipotente per natura, la Madre è onnipotente per grazia"(Sant’Alfonso Maria de Liguori, da “Le Glorie di Maria”).

Maria è Madre della Chiesa. Dalla Croce il Cristo dice alla Madre: "Ecco il tuo figlio" (Gv 19,26). Qualsiasi credente segua l’esempio di Cristo (ipse Christus), diviene pienamente figlio di Maria e figlio adottivo di Dio. “Se tu battezzato non hai riposato sul petto di Gesù e non hai ricevuto da Gesù Maria come tua madre, non puoi comprendere Cristo” (Origene) o ancora: “Come Eva è madre di Abele e dei suoi discendenti, così Maria, Eva nuova, è madre di Cristo (vero Abele) e di tutti noi” (Sant’Ireneo).

La Chiesa come Maria è Madre; questo parallelismo fu già abbozzato da san Giustino, martire e apologeta del II sec. (ca. +165): “Adamo ed Eva erano stati, in mano al diavolo, strumenti di morte; Cristo e Maria, in mano a Dio, sono strumenti di salvezza. Ecco che la Chiesa è madre come Maria. Cristo ricolma la Chiesa del suo amore forte, fedele e tenero, fino a morire per lei; la Chiesa gli risponde catturata dall’amore con cui è amata”.

La Chiesa è la Sposa del Signore. Cristo è "lo sposo con noi" (Mt 9,15). Attraverso il suo Sangue Cristo genera l'umanità nuova. La Chiesa è amata da Cristo con trasporto nuziale: vive nel suo amore, in intimità totale con Lui. Riama Cristo con cuore di sposa. La sua vita di "sposa di Cristo" "è ormai nascosta con Cristo in Dio" (Col 3,3). O ancora “La nuova Gerusalemme ornata come una sposa pronta per andare incontro allo sposo” (Ap 21,2). Tutti i battezzati partecipano così della nuzialità della Chiesa.

Maria è la Sposa del Signore. “Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio.” (Lc 1,35). La Chiesa è la Sposa del Signore Gesù. Maria prefigura la Chiesa. Quindi Maria è anche Sposa. “Gioisci Vergine e Sposa” (Inno Akathistos).
Maria è anche Madre e Figlia del suo Figlio ed è amata di quell’amore con il quale il Cristo ha dato la sua vita per la sua Sposa (cf Ef 5,23-25) per renderla santa e immacolata nell’amore.
In modo così sublime Dante, grande poeta dell’Occidente, ispirandosi a san Bernardo di Chiaravalle, il dottore dei dottori mariani, sintetizza questi concetti nella mirabile preghiera di lode e di invocazione alla Vergine che apre il canto XXXIII del Paradiso (vv. 1-45):

Vergine Madre, figlia del tuo figlio,
Umile ed alta più che creatura,
Termine fisso d'eterno consiglio,
Tu se' colei che l'umana natura
Nobilitasti sì, che 'l suo Fattore
Non disdegnò di farsi sua fattura.
Nel ventre tuo si raccese l'amore
Per lo cui caldo nell'eterna pace
Così è germinato questo fiore.
Qui se' a noi meridiana face
Di caritade, e giuso [intra] mortaliSe' di speranza fontana vivace.
Donna, se' tanto grande, e tanto vali,
Che qual vuol grazia, e a te non ricorre,
Sua disianza vuol volar senz'ali.
La tua benignità non pur soccorre
A chi domanda, ma molte fiate
Liberamente al dimandar precorre.
In te misericordia, in te pietade,
In te magnificenza, in te s'aduna
Quantunque in creatura è di bontade.


Lettura dell'Icona
La composizione dell’Icona è abbastanza semplice: su uno sfondo dorato si erge l’Immagine di Cristo, molto frequentemente caratterizzata dagli attributi della passione. Gesù è in piedi, dentro il sepolcro vuoto, che si presenta come una cavità nera posta in primo piano. Il Suo corpo nudo, umiliato dalla morte, viene sostenuto dalla Madre, che si immedesima così anche fisicamente nel supremo sacrificio. Alle spalle delle due figure ormai totalmente accomunate nella partecipazione al mistero della redenzione, si presenta la Croce con all’estremità superiore, un cartiglio: RE DI GLORIA. Il legno del patibolo è il talamo nuziale, è l’altare del sacrificio dove la carne del Signore con il suo sangue sono perennemente pronti, offerti e donati con gioia inesprimibile: venite, prendete e mangiate, venite saziatevi e dissetatevi, al punto che spesso, in alcune Icone di questo tipo, sul bordo superiore si legge la scritta: “Non piangermi, Madre, vedendomi nel sepolcro”.
L’oro dello sfondo si fa segno della trasfigurazione, annulla la prospettiva ed elimina l’ambientazione. Il riflesso dell’oro è luce increata che emerge spontanea dall’icona e copiosa si riversa sul fedele che la contempla. I Personaggi raffigurati esistono in uno scenario che ha solo Cristo come riferimento, non esiste più il tempo! Cristo risorgendo ha vinto la morte, ha battuto per sempre il tempo (Kronos) e con esso è stato sconfitto il male ed il peccato! Egli assieme al Padre ed allo Spirito è l’eterno, “Allora l’Angelo che avevo visto con un piede sul mare e un piede sulla terra, alzò la destra verso il cielo e giurò per Colui che vive nei secoli dei secoli che ha creato cielo, terra, mare e quanto è in essi” (Ap.10,5-6). In contrapposizione con l’inizio dell’economia della Redenzione: “L’essere immateriale e incorporeo, la sempiterna Luce che ha la sua esistenza dalla Luce incorporea prima del tempo, prende corpo dalla Madre di Dio ed esce come uno sposo dal talamo, restando Dio diviene figlio di questa terra” (San Giovanni Damasceno), in questa Icona ne viene rappresentato il punto conclusivo. L’oro simboleggia la Luce increata e chi crede in Cristo, come Cristo è chiamato alla luce increata. Il tempo della redenzione è quindi compiuto e con esso la divina trasfigurazione: lo Sposo è pronto e con esso la Sposa; Cristo sempiterna Luce, divenuto figlio di questa terra, torna alla Luce.
La posizione eretta di Gesù simboleggia il suo sacerdozio eterno, Gesù risorto è stantemsta in piedi ed intercede a favore degli uomini (cfr. Eb 7,25; cfr. Rm 8,34).
I segni della passione, spesso presenti in questo modello canonico, assumono il significato di segni luminosi: la contemplazione del corpo del Figlio non converte perché incute pietà nel fedele, ma in quanto i segni del martirio sono segni di bellezza e di luce.

Non ha apparenza né bellezza
da attirare i nostri sguardi,
non splendore per provare in lui diletto.
Disprezzato e reietto dagli uomini
Uomo dei dolori che ben conosce il patire,
uno davanti al quale ci si copre la faccia,
era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima.
Eppure si è caricato delle nostre sofferenze,
si è addossato i nostri dolori
e noi lo giudicavamo castigato
percosso da Dio e umiliato.
Egli è stato trafitto per i nostri delitti,
schiacciato per le nostre iniquità.
Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui:
per le sue piaghe noi siamo stati guariti
(Is. 53,2-5)

Nell’Icona il volto di Gesù è luminoso e sereno, non ci sono né contrazioni della bocca né occhi incavati. Attraverso questa espressione viene raffigurata la regale nobiltà di Gesù, che per amore della Chiesa sua Sposa si sacrifica volontariamente. E’ stupefacente come sia stato possibile, pur rappresentando Gesù nel sepolcro, nell’immobilità della morte conferita dagli occhi chiusi, attribuirgli un’espressione intensa, forte e capace di far immergere chi lo contempla in un’oasi di pace. Ecco come Gesù diviene il punto di convergenza, l’unico punto di riferimento a cui Maria-Chiesa converge.
Le braccia di Gesù sono incrociate sul petto, Egli è legato, ma non si vedono i legacci. Gesù è il nuovo Isacco portato al sacrificio per amore (Gen. 22,2). Il laccio che lega le braccia dell’Agnello è l’amore sponsale di Cristo verso la Chiesa, non dipinto, perché deve essere trovato e compreso da chi contempla l’Icona. Su molte icone è posta parecchia enfasi sul costato di Cristo trapassato, da cui è uscito “sangue e acqua”, cioè la nuova effusione dello Spirito, realizzazione della promessa: “Chi ha sete venga a me e beva chi creda in me. Dal mio intimo usciranno fiumi d’acqua viva”(cfr. Gv. 7,37-39).
Il capo è reclinato verso la Madre in segno di accettazione: “vengo a fare la tua volontà” ed ora “tutto è compiuto” (Gv.19,30). Gli occhi di Gesù sono chiusi per rappresentare il misterioso passaggio dalla morte alla vita, a cui nessuno poté assistere e che nessun evangelista poté descrivere.
Si compie la promessa anticipata nel segno delle nozze di Cana quando, come Sposo, siglando l’alleanza nuova, trasformò l’acqua in Vino, ottimo fino “all’ultimo” (Gv. 2,10). Tutto avvenne per la richiesta discreta e insistente di Maria, la Sposa, la Regina, la Madre, la Chiesa. “La Madre dice ai servi: ‘Fate quello che vi dirà’"(Gv. 2-5), in perfetta anticipazione del mandato eucaristico: “Fate questo in memoria di me” (Lc. 22,19).
Maria è raffigurata sempre alla destra di Gesù, chiaro riferimento alla regina del salmo 44: “alla tua destra la regina in ori di Ofir”. Maria, dolcemente abbraccia il Figlio, lo contempla con sguardo addolorato e pieno di umana commozione, Ella è avvolta in un manto color terra simbolo della sua condizione di creatura, Maria-Chiesa indossa il colore dell’ umiltà della serva. L’espressione intensa con cui Maria fissa gli occhi chiusi del Figlio fa intuire quel celestiale dialogo che nessuno riuscì mai a scrivere, ma che solo l’Immagine in se stessa può rappresentare, perché esso è dialogo d’amore che può essere udito solo nel cuore di chi a sua volta ama. Maria prefigura la Chiesa, cioè rappresenta tutti noi. Ella, come recita il cantico dei cantici (8,5) è appoggiata al suo Sposo e da Lui è stata redenta anticipatamente perché condotta fuori dalla condizione umana (deserto). Lo Sposo ha svegliato la sposa, esattamente sotto il melo, ove a causa della tentazione di Satana, l’uomo è stato ridotto alla sua condizione di sofferenza. Sotto il melo, ove Eva generò l'umanità nel dolore. “Eva mater dolorosa, Maria mater gloriosa”.
La "nuova Eva" adesso abbraccia il suo Sposo, lo supplica: “Màran Athà”. “Vieni, Signore Gesù!”.
E’ interessante osservare come ancora una volta Maria-Sposa-Madre-Maestra ci indica la Strada da seguire verso la Salvezza: entrambe le sue mani sono orientate verso il costato del Figlio, nel punto in cui “fluxit aqua et sanguine”, Sorgente d’eterna Misericordia in cui confidare (cfr Sal. 117). Maria indica la “porta, verso la stanza segreta del Re, il suo cuore, verso la cella del vino, da cui viene a noi la pienezza della vita nel suo sangue”.
Nell'Icona, come Gesù anche la Vergine sta "in piedi" accanto alla croce. Maria offre con animo materno, all’eterno Padre “la vittima da lei generata”. “Sul Calvario contempliamo due altari: uno nel cuore di Maria, l’altro nel corpo di Cristo. Il Cristo immolava la sua carne, Maria la sua anima" (Arnaldo di Chartres). Più avanti nel XIV secolo Giovanni Taulero semplificherà: “Maria offre se stessa con Cristo, come ostia viva, per la salvezza di tutti”. “Avendo amato più di tutti, (ella) sul Calvario aveva sofferto anche più di tutti” (Pascasio Radberto). La Vergine è la madre di tutti i dolori. Ma sta "intrepida" presso la croce (sant’Ambrogio), cioè “salda nella fede, forte nella speranza, ardente nella carità”. La donna del dolore che condivide la morte con il Redentore, rigenera la vita, cosicché diventa la Signora della vita nel cielo e nel mondo.
Maria ci ha dato il pane che conforta, al posto del pane che affatica datoci da Eva” (Efrem Siro). Eva, in disobbedienza generò i dolori dell’Uomo, Maria, in obbedienza a Dio, elargisce ai fedeli il frutto del suo grembo immacolato: “Cristo, pane della vita e farmaco d’immortalità.”
Ecco la piena compartecipazione di Maria all’opera della Redenzione, ecco il suo immedesimarsi nel dolore della Croce, ecco la Corredentrice dell’umanità. Ecco come l'Icona rappresenta la Corredentrice dell'umanità

Lo Sposo

Russia centro-settentrionale, metà del XIX secolo





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