La Scrittura ci trascina in un violento testacoda. E' il Regno di Dio descritto nelle parabole del Vangelo di oggi. Si tratta del cuore delle confidenze di Gesù ai suoi amici. Nel Vangelo, infatti, a proposito della mietitura, laddove leggiamo "porre mano alla falce", l'originale greco ha "apostellei" che significa inviare, da cui deriva la parola apostolo. Lo "schaliah", tradotto con "apostello", in ebraico rappresenta un procuratore nel quale è considerato presente colui che lo ha inviato. Il Talmud ripete più di venti volte che "lo schaliah di una persona è un altro se stesso". Per lo Spirito Santo, Cristo dimora negli Apostoli: essi non solo lo rappresentano giuridicamente, ma divengono essi stessi la sua presenza. L'Apostolo di Cristo è Cristo stesso, il suo potere si esprime attraverso di lui. Questa profonda intimità è la chiave delle Parabole del Vangelo di oggi. L'apostolo ha lo stesso sentire di Colui che lo ha inviato, ha il suo pensiero dirà San Paolo; in lui si compirà lo stesso mistero del seme caduto in terra e cresciuto sino a diventare un albero. Lo stesso mistero pasquale di Cristo. Perché se c'è una perfetta identità tra l'apostolo e Gesù, vi è anche tra il Signore ed il Regno dei Cieli. E' Lui stesso il Regno della parabola, "l'uomo" che getta il seme che cade in terra, muore e risorge. Attraverso l'annuncio del Mistero Pasquale, il Regno di Dio è seminato irrevocabilmente nella storia, in ogni generazione. E' la Grazia che lo feconda, che ne protegge gli inizi, che lo porta a maturazione. Per questo Gesù dice che la terra produce "spontaneamente", letteralmente "senza una causa spiegabile" - come è stato per Lui stesso nel grembo di Maria prima e nel sepolcro poi - "stelo, spiga e chicco pieno". "Il Regno è come un uomo che getta il seme...", e quell'uomo è Cristo. Il Regno di Dio è tutta la parabola, non soltanto l'albero cresciuto a raccogliere tra le sue fronde "gli uccelli del cielo", immagine biblica che descrive i popoli pagani. Il Regno è l'uomo, è il seme, è la terra, è il processo di crescita, e, finalmente, l'albero compiuto. Gli apostoli sono inviati a raccogliere, attraverso la predicazione, il grano ormai pronto. Nel Vangelo di Giovanni Gesù invita i discepoli a "guardare i campi che già biondeggiano per la mietitura", proprio nel momento in cui annuncia che "deve mangiare un pane" diverso, sconosciuto sino ad allora, l'opera di Colui che lo ha inviato, la volontà del Padre che si definisce nella Croce che lo consegna in riscatto per ogni uomo. Gesù vede profeticamente il suo mistero di Pasqua come un frutto maturo, ed invita i suoi discepoli ad alzare lo sguardo e ad avere il suo stesso pensiero, gli stessi occhi profetici sul mondo e sugli uomini; su chi ci è accanto oggi, ora, e magari ci sta facendo del male. Quando in una persona è stato seminato il Vangelo, stiamone certi, darà frutto. Forse tra vent'anni, perché il seme dovrà disfacersi nella terra, e lo stelo dovrà farsi strada in una terra spesso arida e indurita; forse tra peccati e sofferenze inenarrabili. Eppure, senza che noi possiamo comprenderne lo sviluppo, il Vangelo darà frutto in nostro figlio... L'annuncio del Vangelo è già la mietitura! E' questo il testacoda delle parabole odierne. E' un cambio radicale di prospettiva. Non vi sono misure e parametri umani per il successo dell'evangelizzazione, come per qualunque aspetto, opera o parola della nostra vita. C'è un mistero che supera le conoscenze umane, le previsioni di tempi e dimensioni; nel Regno di Dio vige una legge che ci sfugge; si compie "sia che dormiamo sia che vegliamo", trascende i nostri sforzi e progetti, qualunque criterio. Ma possiamo sperarne con infinita confidenza il compimento, e così potremo "dormire e vegliare" con libertà e senza pretendere nulla, rispettando l'opera di Dio in ciascuno. Alla Chiesa, come a ciascuno di noi, è necessario un solo atteggiamento interiore: accettare di non sapere "come" Dio opera nella storia. Se non capisco come Dio sta operando in mio figlio, non significa che Egli non lo stia conducendo alla salvezza. Accettare di non capire e non sapere è la più grande professione di fede, perché la pazienza nelle tribolazioni e la perseveranza nelle tentazioni provano l'elezione dell'apostolo. Ma la fede è un cammino, la certezza non è frutto di alchimie. Occorre sperimentare, a poco a poco, nella propria vita, la presenza di Cristo, e così lasciare il mondo e i suoi criteri per approdare al pensiero, al sentire di Cristo. Per un apostolo è ragionevole quello che per il mondo è irragionevole, anche la sua stessa vita, gettata come un seme su terra arida è la follia più sapiente. La vita nascosta con Cristo in Dio, il pensiero fisso nel Cielo, per ricondurvi ogni figlio disperso nel buio della solitudine. Così vive ogni istante la Chiesa, seme invisibile, calpestato, ma con dentro la forza e l'onnipotenza di Dio.
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