Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

domenica 25 gennaio 2015

Commento al vangelo della III Domenica del Tempo Ordinario. Anno B

III Domenica del Tempo Ordinario. Anno B


Mc 1,14-20

Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».
Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono.
Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. Subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedeo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui

Il commento

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“Il tempo è compiuto, Il Regno di Dio è vicino, convertitevi e credete al Vangelo”: Il cuore della predicazione di Gesù e della Chiesa risuona per noi nella liturgia di questa domenica. Ma che senso hanno per te, concretamente, queste parole? Sono davvero un Vangelo? Hanno il potere dirompente che avevano in Galilea duemila anni fa?
Forse no. Forse siamo abituati alla parola vangelo, e lo associamo inconsciamente ai quattro libri scritti da Matteo, marco, Luca e Giovanni. E le parole di Gesù non ci giungono come l’unica Buona Notizia capace di cambiare radicalmente il nostro cuore e il nostro modo di vivere. Forse non ne sentiamo neanche il bisogno. O forse sì, siamo precipitati in situazioni dalle quali vorremmo uscire ma che non “crediamo” siano le parole di Gesù a donarcelo.
Ma la Chiesa viene in nostro aiuto, annunciandoci per la bocca di Giona “quanto il Signore vuole dirci”: “ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta”. C’è un tempo, ed è questo, “si è fatto breve” perché ”colmato” dalla presenza di Dio fatto carne in suo Figlio. Il tempo favorevole che ci è offerto per convertirci. Terminato, e non sappiamo quando, sarà distrutta la nostra citta!
Ma per favore, questa è roba da medioevo, quando i predicatori incutevano paura dicendo: “ricordati che devi morire”. Ma a quel tempo c’erano le epidemie, arrivava improvvisa la peste e ci si ammalava per un nulla. La vita era costantemente in pericolo, ma oggi la scienza ha colmato il gap con la natura. Certo si muore, ma la medicina fa miracoli, se t dice bene l’ambulanza e un defribillatore ti salvano la vita. I vaccini e le medicine, le condizioni di vita, non si muore più di parto eh.
Ecco il problema: siamo diventati professionisti della superbia travestita da scienza e progresso. Non ci rendiamo più conto che la morte fisica è solo una profezia di quella dell’anima. Abbiamo dimenticato che è il frutto amaro del peccato. Ci conviviamo tra i video atroci dei terroristi fondamentalisti, film e serie televisive dove si uccide e si muore senza pietà; ci alleviamo i pupi lasciandoli pascolare sui videogiochi che ne fanno il piatto forte.
Ci illudiamo di sfuggire alla nostra “distruzione” spettacolizzandola, ma è solo perché ormai il demonio è riuscito a togliere valore alla vita e alla persona, non perché abbiamo una visione seria della vicenda umana. Mi colpisce sempre la figura del medico legale nelle fiction e nei film: ironizza sempre sulle cause della morte, esegue autopsie asettiche, stila referti su freddi cadaveri.
Ma è perché la morte ci fa paura come nel medioevo. Anzi, siamo immersi in una società che odora di morte più del medioevo, che non è quello dei liti di Umberto Eco e dei film che abbiamo visto. Oggi la morte è più aggressiva, perché aggredisce l’anima, devastando la speranza.
Hanno chiuso il Cielo e qui sulla terra non resta altro che violenza, fisica e verbale, dileggio delle persone, insulto alla dignità, libero sfogo degli istinti. E’ pericoloso mandare i figli alle scuole elementari perché non sai che cosa gli insegneranno.
E poi ci siamo noi, tu ed io dinanzi alle tentazioni del demonio. Probabilmente schiavi da molto tempo delle sue menzogne: non viviamo capovolte le parole di San Paolo? Cerchiamo di “usare” fino all’ultima goccia di piacere “i beni del mondo”; compriamo per “possedere” con avidità insaziabile; “prendiamo moglie” per “averla”, farne cioè un oggetto di cui disporre; “piangiamo” e “gioiamo” con un’intensità e una passione tipiche di chi fa un assoluto di ogni evento e relazione.
E ciò succede perché sappiamo bene che “passa la figura (forma) di questo mondo” ma, invece di vivere qui come un anticipo del Cielo, difendiamo con i denti il precario pezzo di mondo che ci illudiamo di possedere; oppure, ancora più ingannati, ci convinciamo che la morte non ci debba cogliere, la chiudiamo in un cassetto, e ci facciamo dei di tutto e di tutti.
Come “gli abitanti di Ninive”, che “non sapevano distinguere la destra dalla sinistra”, schiavi del male che compivano. Ma Dio ci ama, e non permette che si prolunghi all’infinito la nostra schiavitù. E’ paziente e lento all’ira, ma è anche Signore del tempo, e sa che nel tempo si gioca la nostra salvezza. E arriva la morte, eccome se arriva.
Dopo “quaranta giorni”, immagine di ogni tempo di conversione, come i quaranta anni passati dal Popolo di Israele nel deserto, come i quaranta giorni di Gesù nel deserto. Come la quaresima, che ha raccolto il tempo delcatecumenatodella Chiesa primitiva, nel quale i pagani si preparavano al battesimo.
Allora, oggi il Signore passa nella nostra Galilea e ci chiama a conversione: “il Regno di Dio è vicino”, ovvero la comunione con Lui, la vita nuova e celeste, l’amore che colma e trasforma le esistenze, tutto questo è accanto a noi! La felicità e la pace sono vicine, a un niente!
Ma per entrarci occorre la fede, “credere alla Buona Notizia” che Ninive, destinata alla distruzione, può salvarsi perché Gesù si è offerto alla morte al posto suo. Al posto tuo e mio. E’ morto per noi perché noi non morissimo!
Per credere però abbiamo bisogno di un cammino di conversione attraverso il quale entrare nei “quaranta giorni” dove imparare a rinunciare al demonio, al mondo e alla carne. A spogliarci dell’uomo vecchio  “vestendo di sacco e digiunando”, che sono i segni di chi cambia abito di vita avvolgendosi nell’umiltà, e di chi trasforma la propria mentalità nutrendosi della Parola di Dio con cui discernere la volontà di Dio.
Stiamo per morire, fisicamente e spiritualmente! Andrea e Simone, Giacomo e Giovanni lo avevano compreso: stavano vivendo per se stessi, pescando per saziarsi. Per questo, incontrando Gesù che annunciava loro il vangelo, hanno lasciato subito tutto quello che li legava alla vita mondana per seguire Gesù sul cammino della conversione.
Ah, è questo il cuore della vocazione! No, non c’entra diventare preti o suore, neanche sposarsi e avere figli. La chiamata di Gesù è a diventare cristiani, a passare cioè dalla morte alla vita, per vivere pienamente nel “tempo compiuto” come cittadini celesti. Per questo lo ascoltano e lo seguono i poveri, i piccoli, i peccatori, i pubblicani e le prostitute. Poi sono arrivati i ministeri e i carismi per edificare la Chiesa e portare a compimento il mandato di annunciare il vangelo sino agli estremi confini della terra.
Ma prima bisogna essere liberati, entrare in un catecumenato, essere formati in una seria iniziazione cristiana, altrimenti ogni attività nella Chiesa sarà schiacciata sull’orizzonte umano e mondano, padre delle crisi, delle insoddisfazioni e delle frustrazioni, sino agli abbandoni, ai divorzi, al fallimento.
Coraggio, il Signore ci chiama per “farci pescatori di uomini”: nella Chiesa, questo tempo che per il mondo separa dalla morte diventa quello di gestazione della creatura nuova. Lui trasformerà la nostra vita in un fecondo dono d’amore, capace di portare gli uomini in salvo. Non si tratterà più di pescare per sfamarsi, ma di pescare per sfamare. Ma prima è necessario rinnegare la carne, che ci ha fatto pescare uomini come fossero pesci, tutti presi dentro la rete dell’ipocrisia per saziare le nostre concupiscenze. E’ impossibile, lo sappiamo. Ma Gesù Cristo è risorto dal mare prima di tutti: il Padre lo ha “pescato” e lo ha donato a tutti noi in cibo di vita eterna. E, attraverso la Chiesa, ha il potere di “pescare” noi per primi e farci entrare nel Regno di Dio, del quale la comunità cristiana è una primizia.
In essa Gesù ci attira dietro a Lui per farci passare dall’egoismo alla libertà e alla gratuità per trasformarci in “pescatori di uomini”. Come si pesca un uomo? Tirandolo fuori dall’acqua, ovvio! Strappandolo al peccato e alla morte.
Pescando i pesci come fossero uomini; pescando cioè chi è abituato a nuotare nel buio, perché ormai il suo habitat è il mare, l’immagine della morte. In famiglia e al lavoro, in ogni relazione, ci attende allora un mare dove gettare la nostra vita come una rete: maglie fitte di misericordia, pazienza, tenerezza, verità e parresia per annunciare il Vangelo, perché nessuno sfugga all’amore di Dio.

Il Vangelo del giorno >>> AUTORE: ANTONELLOIAPICCA

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