Maràn athà
Amore e libertà: i discepoli di Gesù digiunano per amore, in libertà. Il digiuno cristiano è memoria, non è solo una pratica religiosa per purificarsi. E' inginocchiarsi dinanzi al Crocifisso e implorare il suo ritorno. E' una condizione essenziale dell'esistenza, è, paradossalmente, vivere autenticamente la vita terrena, che è già e non ancora. Lo Sposo è con noi, ma, contemporaneamente, non lo è in pienezza, che è riservata al Cielo. La terra è ancora un cammino, passi che si susseguono verso il compimento, e la mancanza e il desiderio si acuiscono all'avvicinarsi della meta. Le nostre nozze con il Signore sono certo indissolubili, eppure “vi sono giorni nei quali lo sposo ci è tolto”. E’ quando la vita si addentra nel mistero di una compiutezza pregustata ma non ancora completamente assaporata. E' il mistero della Chiesa, sposa e vedova allo stesso tempo, che esplode di gioia intorno alla mensa eucaristica, ma che digiuna nell'attesa della parusia. Essa vive del Memoriale del suo Signore, l'eucarestia, presenza viva del suo Sposo amatissimo. Per Lui getta ogni avere, gli spiccioli che ha per vivere, per Lui digiuna, perché Lui è la sua vita.Nel mezzo del banchetto pasquale rinnovato ogni settimana erompe in un grido di nostalgia e speranza: Maràn athà, che afferma la certezza che il Signore nostro viene, ma che si può leggere anche marana tha, Signore nostro, vieni! E' la parola che chiude la Scrittura: "Colui che attesta queste cose dice: «Sì, verrò presto!». Amen. Vieni, Signore Gesù" (Ap. 22,20). Il digiuno è il nostro Maràn athà, le lacrime appassionate della Maddalena presso la tomba del suo Signore; il digiuno è l'attesa fatta preghiera, perché lo Sposo torni presto per portarci con Lui. Presentando il calice nell’ultima cena, Gesù ha detto: «In verità vi dico, non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel Regno di Dio» (Mc 14,25). Dopo quel banchetto lo Sposo sarà tolto e i discepoli dovranno digiunare nell’attesa del suo ritorno, nella speranza dell’eterno «banchetto delle nozze dell’Agnello» (Ap 19,9). Il nostro digiuno partecipa così a quello di Gesù deposto nel sepolcro. Un digiuno che custodisce la promessa di bere con Lui il vino nuovo del Regno di Dio. Digiunare è spogliarci in attesa d'essere una sola carne redenta con il nostro Sposo, nell'ansia del santo e castissimo amplesso, quell'amore eterno per il quale siamo stati creati. Il digiuno esprime la novità di un rapporto autentico con Dio, non più basato sul timore ma sull'amore, come un’abitudine nuova, l’abito nuovo con il quale entrare nella storia quotidiana; come alle nozze di Cana, il digiuno prepara e spera, l’avvento del “vino nuovo”, il segno di una festa e un'allegria sconosciute che scaturiscono dall'amore più forte della morte. Quando sperimentiamo la lontananza da una persona cara che vorremmo vicino; quando dobbiamo vedere le persone amate dileguarsi e scomparire dall'orizzonte della nostra vita; quando forte è l'esperienza della frustrazione, e sforzi, progetti, speranze sembrano andare in fumo; quando le sofferenze, la precarietà, le malattie, la solitudine, i fallimenti, ghermiscono l'esistenza e non le lasciano proprio nulla cui appoggiarsi, nulla a dare consistenza alle giornate, al lavoro, agli affetti; quando le debolezze ci rivelano incapaci di donare la vita e amore; quando la Croce ci accoglie, spogli di ogni certezza, nell'esperienza dura di trovarci lontani dal paradiso, nudi e indifesi come Adamo ed Eva prostrati dalla fatica e dal dolore; quando, come a Cana, “non abbiamo più vino”, e questo definisce senza sconti la nostra vita, il digiuno emerge quale condizione esistenziale autentica e ineludibile. Per questo in alcuni momenti, quando più intensa è l'esperienza della mancanza di pienezza e più viva è la consapevolezza che la presenza assoluta dello Sposo è questione di vita o di morte, quando siamo incastrati sul legno della Croce, è "naturale" il digiuno, il segno con il quale affermare di voler accogliere la storia così come Dio ce la dona. Cristo crocifisso, infatti, appare come la feccia degli uomini, uno davanti al quale coprirsi il volto per non guardare; eppure, celato in quel "digiuno d'uomo" c'era Dio. Nessuno era capace di vederlo, al contrario, era lì come il peggiore dei bestemmiatori. Esattamente come appare la nostra esistenza, ferita, nuda, affamata; ma in essa è nascosto Cristo, carne della nostra carne, la sua Vita divina vi è deposta come un seme nella nostra vita mortale, la pienezza incastonata nella precarietà e nella caducità. Non mangiare, non fumare, non parlare, digiunare da qualcosa, non è allora solo una pratica ascetica per "saziare" e ingrassare l'uomo vecchio che, spesso, fa anche della religione qualcosa di carnale, idolatrando perfino la santità. Digiunare è un'esigenza, un grido dalla Croce, l'eco stesso delle parole del Signore Crocifisso: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (Sal. 21). Il digiuno sono le lacrime che sperano il Suo amore. E' questa l'ascesi, l'ascesa orante al trono della misericordia che sappiamo non deludere mai. Digiunare è lasciare che la verità prenda il posto delle menzogne, delle fughe e delle alienazioni, nella speranza fiduciosa di fare la stessa esperienza del salmista e di Gesù descritta al termine del salmo: “E io vivrò per lui… «Ecco l'opera del Signore!»” (Sal. 21). La fame che il digiuno suscita rivela la nostra realtà, quella dei nostri figli, dei giovani ai quali, troppo spesso, indichiamo percorsi diametralmente opposti e che non potranno mai realizzare le loro vite, consegnandoli così alla menzogna della vanità. E' dovere ineludibile di ogni educatore e apostolo illuminare profeticamente la vita e indicare nel digiuno, nel sacrificio, nel combattimento quotidiano, l'unico cammino che svela la verità celata nelle apparenze, la sola via autentica per vivere e non sopravvivere.
L'ANNUNCIO |
Ora i discepoli di Giovanni e i farisei stavano facendo un digiuno. Si recarono allora da Gesù e gli dissero: «Perché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei farisei digiunano, mentre i tuoi discepoli non digiunano?». Gesù disse loro: «Possono forse digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro? Finché hanno lo sposo con loro, non possono digiunare. Ma verranno i giorni in cui sarà loro tolto lo sposo e allora digiuneranno. Nessuno cuce una toppa di panno grezzo su un vestito vecchio; altrimenti il rattoppo nuovo squarcia il vecchio e si forma uno strappo peggiore. E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino spaccherà gli otri e si perdono vino e otri, ma vino nuovo in otri nuovi».
(Dal Vangelo secondo Marco 2,18-22)
Amore e libertà: i discepoli di Gesù digiunano per amore, in libertà. Il digiuno cristiano è memoria, non è solo una pratica religiosa per purificarsi. E' inginocchiarsi dinanzi al Crocifisso e implorare il suo ritorno. E' una condizione essenziale dell'esistenza, è, paradossalmente, vivere autenticamente la vita terrena, che è già e non ancora. Lo Sposo è con noi, ma, contemporaneamente, non lo è in pienezza, che è riservata al Cielo. La terra è ancora un cammino, passi che si susseguono verso il compimento, e la mancanza e il desiderio si acuiscono all'avvicinarsi della meta. Le nostre nozze con il Signore sono certo indissolubili, eppure “vi sono giorni nei quali lo sposo ci è tolto”. E’ quando la vita si addentra nel mistero di una compiutezza pregustata ma non ancora completamente assaporata. E' il mistero della Chiesa, sposa e vedova allo stesso tempo, che esplode di gioia intorno alla mensa eucaristica, ma che digiuna nell'attesa della parusia. Essa vive del Memoriale del suo Signore, l'eucarestia, presenza viva del suo Sposo amatissimo. Per Lui getta ogni avere, gli spiccioli che ha per vivere, per Lui digiuna, perché Lui è la sua vita.Nel mezzo del banchetto pasquale rinnovato ogni settimana erompe in un grido di nostalgia e speranza: Maràn athà, che afferma la certezza che il Signore nostro viene, ma che si può leggere anche marana tha, Signore nostro, vieni! E' la parola che chiude la Scrittura: "Colui che attesta queste cose dice: «Sì, verrò presto!». Amen. Vieni, Signore Gesù" (Ap. 22,20).Il digiuno è il nostro Maràn athà, le lacrime appassionate della Maddalena presso la tomba del suo Signore; il digiuno è l'attesa fatta preghiera, perché lo Sposo torni presto per portarci con Lui. Presentando il calice nell’ultima cena, Gesù ha detto: «In verità vi dico, non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel Regno di Dio» (Mc 14,25). Dopo quel banchetto lo Sposo sarà tolto e i discepoli dovranno digiunare nell’attesa del suo ritorno, nella speranza dell’eterno «banchetto delle nozze dell’Agnello» (Ap 19,9). Il nostro digiuno partecipa così a quello di Gesù deposto nel sepolcro. Un digiuno che custodisce la promessa di bere con Lui il vino nuovo del Regno di Dio. Digiunare è spogliarci in attesa d'essere una sola carne redenta con il nostro Sposo, nell'ansia del santo e castissimo amplesso, quell'amore eterno per il quale siamo stati creati. Il digiuno esprime la novità di un rapporto autentico con Dio, non più basato sul timore ma sull'amore, come un’abitudine nuova, l’abito nuovo con il quale entrare nella storia quotidiana; come alle nozze di Cana, il digiuno prepara e spera, l’avvento del “vino nuovo”, il segno di una festa e un'allegria sconosciute che scaturiscono dall'amore più forte della morte. La Chiesa, come Maria, sa che Gesù è con Lei, nella vita dei suoi figli, anche se non è giunta ancora l’ora della sua definitiva manifestazione riservata alla parusia. Per questo prega e digiuna perché. anche se le nozze si compiranno solo nel mondo futuro, il demonio non abbia potere sul loro preludio che è la vita in questo mondo. Pur digiunando, la Chiesa non smette il “vestito nuovo” della festa per indossare abiti rattoppati che certamente si squarceranno. I cristiani non cercano soluzioni superficiali ai problemi, come i digiuni fatti per dimagrire nel corpo e ingrassare così l’uomo vecchio schiavo dell’orgoglio e della vanità. In poco tempo, e senza accorgersene, la fame del superbo si fa più forte ed esigente, e finisce per divenire più grasso e tronfio di prima, l’esito inevitabile di chi cerca sempre il compromesso tra il passato di peccato e la vita nuova della Grazia, tra il mondo e Dio, come "toppe cucite sugli strappi", "otri" incapaci di contenere e custodire l’assoluta novità dell’amore di Cristo. I cristiani, paradossalmente, digiunano pregustando già il “vino nuovo” che non spacca gli otri della propria vita, ma, proprio nella precarietà e nella debolezza di una vedova, la memoria dello Sposo che è il digiuno, costituisce la loro forza, con la quale entrano nei giorni senza dissipare e strappare nulla, donandosi con amore a tutti.Per questo Santa Teresa d'Avila diceva "Muoio perché non muoio", e San Paolo affermava che “il morire è meglio del vivere”. Non era disprezzo della vita, anzi: più si vive intensamente la vita terrena più si desidera di addormentarsi per risvegliarsi in Cielo. Più la vita è perduta per amore, più forte è l'ansia d'un amore perfetto e definitivo: siamo chiamati a divenire “uomini che hanno in sé un desiderio così possente che supera la loro natura, ed essi bramano e desiderano più di quanto all’uomo sia consono aspirare, questi uomini sono stati colpiti dallo Sposo stesso; Egli stesso ha inviato ai loro occhi un raggio ardente della sua bellezza. L’ampiezza della ferita rivela già quale sia lo strale e l’intensità del desiderio lascia intuire Chi sia colui che ha scoccato il dardo” (N. Kabasilas). Feriti dal dardo d'amore del loro Sposo i figli delle nozze vivono un'attesa di pienezza che nulla sulla terra può colmare. Quando sperimentiamo la lontananza da una persona cara che vorremmo vicino; quando dobbiamo vedere le persone amate dileguarsi e scomparire dall'orizzonte della nostra vita; quando forte è l'esperienza della frustrazione, e sforzi, progetti, speranze sembrano andare in fumo; quando le sofferenze, la precarietà, le malattie, la solitudine, i fallimenti, ghermiscono l'esistenza e non le lasciano proprio nulla cui appoggiarsi, nulla a dare consistenza alle giornate, al lavoro, agli affetti; quando le debolezze ci rivelano incapaci di donare la vita e amore; quando la Croce ci accoglie, spogli di ogni certezza, nell'esperienza dura di trovarci lontani dal paradiso, nudi e indifesi come Adamo ed Eva prostrati dalla fatica e dal dolore; quando, come a Cana, “non abbiamo più vino”, e questo definisce senza sconti la nostra vita, il digiuno emerge quale condizione esistenziale autentica e ineludibile. Per questo in alcuni momenti, quando più intensa è l'esperienza della mancanza di pienezza e più viva è la consapevolezza che la presenza assoluta dello Sposo è questione di vita o di morte, quando siamo incastrati sul legno della Croce, è "naturale" il digiuno, il segno con il quale affermare di voler accogliere la storia così come Dio ce la dona. Cristo crocifisso, infatti, appare come la feccia degli uomini, uno davanti al quale coprirsi il volto per non guardare; eppure, celato in quel "digiuno d'uomo" c'era Dio. Nessuno era capace di vederlo, al contrario, era lì come il peggiore dei bestemmiatori. Esattamente come appare la nostra esistenza, ferita, nuda, affamata; ma in essa è nascosto Cristo, carne della nostra carne, la sua Vita divina vi è deposta come un seme nella nostra vita mortale, la pienezza incastonata nella precarietà e nella caducità. Non mangiare, non fumare, non parlare, digiunare da qualcosa, non è allora solo una pratica ascetica per "saziare" e ingrassare l'uomo vecchio che, spesso, fa anche della religione qualcosa di carnale, idolatrando perfino la santità. Digiunare è un'esigenza, un grido dalla Croce, l'eco stesso delle parole del Signore Crocifisso: "Dio mio, Dio mio, Sposo mio perché mi hai abbandonato?" (Sal. 21). Il digiuno sono le lacrime che sperano il Suo amore. E' questa l'ascesi, l'ascesa orante al trono della misericordia che sappiamo non deludere mai. Digiunare è lasciare che la verità prenda il posto delle menzogne, delle fughe e delle alienazioni, nella speranza fiduciosa di fare la stessa esperienza del salmista e di Gesù descritta al termine del salmo: “E io vivrò per lui… «Ecco l'opera del Signore!»” (Sal. 21). La fame che il digiuno suscita rivela la nostra realtà, quella dei nostri figli, dei giovani ai quali, troppo spesso, indichiamo percorsi diametralmente opposti e che non potranno mai realizzare le loro vite, consegnandoli così alla menzogna della vanità. E' dovere ineludibile di ogni educatore e apostolo illuminare profeticamente la vita e indicare nel digiuno, nel sacrificio, nel combattimento quotidiano, l'unico cammino che svela la verità celata nelle apparenze, la sola via autentica per vivere e non sopravvivere. Digiunare è come dipingere un'icona, un'immagine del destino promesso celato tra le pieghe delle vicende umane: "... quale percorso interiore l’icona presupponga. L’icona non è semplicemente la riproduzione di quanto è percepibile con i sensi, ma piuttosto presuppone, come egli afferma, un “digiuno della vista”. La percezione interiore deve liberarsi dalla mera impressione dei sensi ed in preghiera ed ascesi acquisire una nuova, più profonda capacità di vedere, compiere il passaggio da ciò che è meramente esteriore verso la profondità della realtà, in modo che l’artista veda ciò che i sensi in quanto tali non vedono e ciò che tuttavia nel sensibile appare: lo splendore della gloria di Dio, la gloria di Dio sul volto di Cristo" (J. Ratzinger, Messaggio inviato al Meeting di Rimini, 2002). La nostra vita è come un'icona che svela al mondo la Verità trasfigurata nella carne delle nostre storie quotidiane. E’ dunque parte essenziale della missione che ci è affidata, camminare interiormente con Cristo per aprire il Cielo della speranza a questa generazione. Questi luoghi e quest'ora non sono il destino definitivo: ogni uomo è nato per il Paradiso. Il nostro digiuno ne è un segno, per tutti.
APPROFONDIMENTI
L'icona dello Sposo
Silvano Fausti. Lo Sposo è con loro
Giovanni Paolo II. Allora digiuneranno
Raniero Cantalamessa. I discepoli e il digiuno
Emiliano Jimenez. Elemosina, preghiera, digiuno.
Luigi Giussani. La tristezza
Beato Jan Ruysbroeck. Ecco lo Sposo, andategli incontro
San Giovanni della Croce. Lo sposo è con loro
San Paciano. Lo Sposo è con loro
Silvano Fausti. Lo Sposo è con loro
Giovanni Paolo II. Allora digiuneranno
Raniero Cantalamessa. I discepoli e il digiuno
Emiliano Jimenez. Elemosina, preghiera, digiuno.
Luigi Giussani. La tristezza
Beato Jan Ruysbroeck. Ecco lo Sposo, andategli incontro
San Giovanni della Croce. Lo sposo è con loro
San Paciano. Lo Sposo è con loro
αποφθεγμα Apoftegma
Quando era giunto per Dio il tempo di avere compassione
della sofferenza dell’umanità, sua diletta,
mandò il Figlio suo unigenito sulla terra
in quel palazzo sontuoso e tempio glorioso
che era il corpo della Vergine Maria.
Là, sposò la nostra natura e la unì alla sua persona,
grazie al sangue purissimo della nobile Vergine.
Fu lo Spirito Santo, il sacerdote che celebrò le nozze.
L’angelo Gabriele ne fu l’araldo,
e la gloriosa Vergine diede il suo consenso.
In questo modo Cristo, nostro sposo fedele,
si unì alla nostra natura,
venne a visitarci in una terra straniera
e ci insegnò i costumi celesti e una perfetta fedeltà.
Beato Jan Ruysbroeck
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