Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

sabato 3 gennaio 2015

Prepararsi alla Domenica (II^ Natale)

II^ domenica dopo Natale
– 4 gennaio 2015 –

Gesù Cristo, Dio fatto uomo. Gv 1,1-18
– Commento di ENZO BIANCHI –20 days old baby sleeping in a christmas nativity crib

Il mistero dell’incarnazione di Dio, del Dio che si è fatto uomo, è così ricco da richiedere la lettura di molti brani dei vangeli, i quali con prospettive diverse ci testimoniano il grande evento della nostra salvezza. Il tempo di Natale è il tempo delle manifestazioni (epifanie) del Signore, e in esso feste e domeniche ci testimoniano alcune di queste “rivelazioni” avvenute per i poveri, per le genti, per l’umanità intera. Cerchiamo dunque di comprendere, per quanto ci è concesso, questo mistero plurale.
Nel tempo, nei giorni della storia umana, Gesù è nato a Betlemme da Maria e per l’efficacia della forza dello Spirito santo. C’è stato un concepimento, una gravidanza, un parto, e a “Betlemme di Efrata” (Mi 5,1), Betlemme la feconda, in una stalla è nato un bambino, dono di Dio, è nato colui che era stato promesso dai profeti, il Messia, uomo discendente della stirpe di David (cf. 2Sam 7,1-17). Quando la parola di Dio si è fatta sentire su questa nascita, ha svelato che l’infante deposto in una mangiatoia era il Salvatore, il Messia, il Kýrios-Signore (cf. Lc 2,11).
Questo bambino, nato solo perché Dio l’aveva voluto, ha un’identità profonda che non appare, che non è visibile nella sua carne fragile e mortale, ma un’identità che non poteva essere taciuta. È il quarto vangelo, il vangelo secondo Giovanni, a spiegarcela, nel suo prologo. Nell’in-principio (cf. Gen 1,1), prima della creazione del mondo, era realtà vivente la Parola, la Parola di Dio, la Parola che era Dio. Una Parola certamente generata da Dio nella sua qualità di Padre, una Parola che era “Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio”, come professiamo nel Credo. Siamo così ammessi e immersi nella contemplazione della vita più intima e segreta di Dio. In Dio c’è una comunicazione, c’è una vita condivisa, c’è un dialogo: il Padre genera costantemente il Figlio nella forza dello Spirito divino. Potremmo dire che in “Dio” che “è amore” (1Gv 4,8.16) c’è costantemente un flusso d’amore, per cui il Padre ama il Figlio che è l’amato, e l’amore tra i due è lo Spirito santo.
Prima che il mondo fosse, c’era dunque la Parola di Dio, viva, operante, per mezzo della quale Dio ha creato l’universo. Proprio guardando a questa Parola che era suo Figlio, Dio ha plasmato l’uomo: l’immagine del Figlio nella vita divina ha definito l’immagine dell’uomo nella creazione (cf. Col 1,15-17). Ma questa Parola di Dio eterna, celeste, immortale, è uscita – per così dire – da Dio “molte volte e in diversi modi” (Eb 1,1) per tentare un dialogo con l’umanità: da Abramo fino a Mosè e ai profeti questa Parola di Dio si è fatta parola umana, proclamata, predicata, detta e ridetta dai servi di Dio i quali, per la missione ricevuta da Dio stesso, proponevano un dialogo, cercavano di instaurare la comunione di vita tra Dio e gli uomini.
Infine, “venuta la pienezza del tempo” (Gal 4,4), questa Parola che era in Dio ed era Dio “ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (Eb 1,2), ha voluto farsi carne, diventare essa stessa carne d’uomo in Gesù di Nazaret. La Parola eterna si è fatta mortale, la Parola celeste si è fatta terrestre, la Parola potente si è fatta debole, povera. Le prerogative divine di questa Parola di Dio sono state come “messe tra parentesi”, non perdute ma tralasciate, perché la Parola ha voluto la kénosis, la spogliazione dalle qualità divine, per essere in tutto come noi, pienamente solidale con l’umanità peccatrice (cf. Fil 2,6-8). Vi è dunque una nascita eterna del Figlio di Dio e vi è una nascita terrena, nel mondo, del Figlio, e noi non possiamo contemplare l’una senza l’altra, perché questa è la fede cristiana: non un Dio solo trascendente, non un uomo divino, ma un Dio fatto uomo, Gesù Cristo.
Allora possiamo solo ascoltare il solenne prologo di Giovanni e adorare: “La Parola si è fatta carne e ha posto la sua tenda tra di noi, e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria che riceve dal Padre come Figlio unico, pieno di grazia e di verità”. Se abbiamo un fratello che è il Figlio di Dio, anche noi siamo fatti figli di Dio, e soprattutto lui, nostro fratello nella carne ma Figlio di Dio, venuto da Dio, ci “racconta” (exeghésato) Dio, il Dio invisibile che nessuno ha mai visto né può vedere (cf. 1Tm 6,16). Chi guarda a lui, a Gesù, alla sua umanità, vede e contempla il vero Dio vivente (cf. Gv 14,6.9).


In ogni uomo il riflesso della luce della vita vera

I cristiani cominciano a contare gli anni, a raccontare la storia, da Natale, che è il nodo vivo del tempo, che segna un prima e un dopo. Attorno a quel giorno danzano i secoli e la mia vita.
Giovanni comincia il vangelo convocando l’«in principio» del tempo e le profondità di Dio: In principio era il Verbo e il Verbo era Dio. Non esiste una storia che risalga più indietro, che vada più lontano, che ci faccia sconfinare più al largo.

Tutto è stato fatto per mezzo di Lui. Nulla di nulla senza di lui. «In principio», «tutto», «nulla», parole che ci mettono in rapporto con l’immensità e la totalità della vita: non solo gli esseri umani e gli animali, «nostri fratelli minori», ma il filo d’erba e la pietra, tutto è stato plasmato dalle sue mani e ne porta l’impronta viva: «anche nel cuore della pietra Dio sogna il suo sogno e di vita la pietra si riveste» (Vannucci).
In Lui era la vita. Gesù, venuto nella vita come datore di vita, non ha mai compiuto un miracolo per punire o intimidire. I suoi sono sempre segni che guariscono la vita, la accrescono, la fanno fiorire. Non è venuto a portare una nuova teoria religiosa o un migliore sistema di pensiero, ha comunicato vita, e anelito a sempre più grande vita: sono venuto perché abbiate vita in abbondanza (Gv 10,10). Gesù pianta la sua tenda in mezzo agli uomini, anzi nel mezzo, nel centro nel cuore di ogni uomo, di tutto l’uomo. Questa è la profondità ultima del Natale: nella mia, come nella tua carne, respira il Signore della vita. Io passo nel mondo portando in me il cromosoma di Dio, intrecciato con l’inconsistenza della polvere del suolo da cui Adamo è plasmato.
Veniva nel mondo la luce vera quella che illumina ogni uomo. Ogni uomo, nessuno escluso, ha quella luce. Che illumina come un’onda immensa, come una sorgente che non si spegne, come un sole nella notte.
E la vita era la luce degli uomini. Una cosa enorme: la vita è luce, è una grande parabola luminosa che racconta Dio. Il Vangelo ci insegna a sorprendere parabole nella vita, e riflessi di cielo perfino nelle pozzanghere della vita. Allora il Dio della religione, quello delle teorie e delle celebrazioni, si ricongiunge con il Dio della vita, quello dei gesti, degli affetti e degli incantamenti.
Venne fra i suoi ma i suoi non l’hanno accolto. A quanti l’hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio. Accogliere: parola che sa di porte che si aprono, di mani che accettano doni, di cuori che fanno spazio alla vita.

Parola semplice come la libertà, potente come la maternità. Dio non si merita, si accoglie. Facendogli spazio in noi, come una donna fa spazio al figlio che accoglie nel suo grembo, appena sotto il cuore.

Ermes Ronchi – Avvenire

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