Gesù "annunciava la Parola", ma per gli scribi era "un bestemmiatore". "Nel loro cuore pensavano" che le sue parole fossero bestemmie: "perché costui parla così?". Già, perché? Gli scribi non sapevano rispondere, e tu, e io? Sapremmo rispondere oggi? Aspetta, aspetta, fermati, non intendo con il catechismo in mano, ma con la nostra vita; con fatti concreti in cui abbiamo sperimentato perché Gesù parla come se fosse Dio; con i memoriali nei quali abbiamo visto che "solo Lui può perdonare i peccati".
Probabilmente ne abbiamo a migliaia. Ma forse qualcuno di noi oggi li ha dimenticati. O forse ancora non li ha. Magari si è confessato tante volte ma si sente ancora paralizzato. O forse neanche crede che si possa guarire dalla paralisi attraverso il perdono dei peccati. Queste sono solo le favole che raccontano i preti.
Per guarire bisogna finanziare la ricerca per scoprire nuove medicine e terapie; intervenire sui geni manipolandoli sperando di estirpare il dolore e il male. Ma succede che poi finiamo con l’eliminare gli embrioni “difettosi”, perpetrando e perfezionando l’eugenetica nazista.
E scartando scartando ci ritroviamo a dover scartare anche noi, che continuiamo a non piacerci, esattamente come la società che ci circonda. Sono millenni che si protesta contro le ingiustizie, la corruzione, le tasse e mille altre cose, e non è cambiato nulla, nonostante le si siano tentate tutte...
E siamo di nuovo punto e a capo, come gli scribi, perché abbiamo inciampato su quelle parole scandalose di Gesù: "figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati".
Anche se accettiamo che i peccati siano un problema, come gli scribi, non crediamo che Gesù sia Dio, che cioè abbia il potere di perdonare e guarire cuore e carne dell'uomo. Non esagero, è così. Gli scribi non potevano accettare che Dio si fosse fatto carne, e non solo per una questione, diciamo, teologica. Per il giudaismo Dio non si può neanche nominare, figuriamoci se sia pensabile un Dio che mangia, ha mal di denti, piange e si commuove.
Ma questo scandalo "teologico" celava quello "esistenziale", ben più profondo. Non si sentivano peccatori, per questo non potevano né immaginare né sperare un Dio che si chinasse su di loro. Con tutto il loro studiare, non avevano ancora compreso che la vera paralisi, ovvero il peccato, riguardava loro esattamente come quel paralitico.
La Scrittura ci rivela che la morte è entrata nel mondo per invidia del demonio e ne fanno esperienza quelli che gli appartengono. E così il male, attraverso chi al demonio appartiene, si espande, e giunge anche sugli innocenti. E tu, ed io, a chi apparteniamo? Scriveva San Giovanni che un cristiano non pecca, perché un germe divino dimora in lui. E non peccare significa amare. Chi ama non giudica, sa perdonare, non usa le persone, non mente. Chi ama vive la vita di Cristo. Allora, amiamo? Se non ami significa che sei "paralizzato".
Eppure tante volte siamo così ingannati da dimenticare la nostra realtà e di fronte alle paralisi che affliggono noi e chi ci è accanto, cominciamo a dubitare di Dio e a chiederci "chi" sia Gesù. Ma in fondo non ci interessa. Come gli scribi, abbiamo già stabilito come Dio non deve essere, e guarda caso è proprio come Dio si è rivelato nel suo Figlio, l'Agnello che si è lasciato uccidere per perdonare i peccati.
Perché dire al paralitico "Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati", significa dire "figliolo, ti amo da impazzire, li ho presi io i tuoi peccati, uno per uno, e li ho inchiodati sulla Croce nella mia carne. Non ci sono più, spariti per sempre. Il morbo maligno che ti impediva di camminare, di uscire da stesso per amare ha ucciso me per salvare te. Ma io sono risorto, con questa mia carne debole come la tua ho conquistato la vita eterna per te, perché tu possa riceverla e così camminare passando oltre i limiti imposti dalla morte e il peccato. Ti ho perdonato, ho guarito il tuo cuore perché se prima in esso abbondava il peccato ora sovrabbonda la Grazia. Finalmente puoi essere te stesso, puoi amare". Tutto questo è dire "ti sono perdonati i peccati".
Gesù ci ama infinitamente, e per questo anche oggi si trova già “nel punto” dove si cela la radice del male. Per ogni paralitico, infatti, è sceso dal Cielo scoperchiando il tetto che separava l’uomo da Dio. E lì incontra il paralitico personalmente: “Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati!”.
Gesù non si rivolge a un male generico, alle ingiustizie, alle paralisi, ma per guarire davvero parla a una persona concreta, al paralitico, come a te e a me oggi, e annuncia il perdono dei suoi peccati, come dei tuoi e dei miei.
In Lui i peccati sono "lasciati andare, dimessi", come recita l'originale greco tradotto con "rimessi": è giunto il definitivo Yom Kippur, non abbiamo bisogno di cercare più il capro espiatorio da "lasciare andare" nel deserto come si faceva in quel giorno, perché Dio si è fatto carne per realizzarlo una volta per tutte: il Messia è venuto, ed era quel figlio di falegname, un uomo come tutti, e si è caricato di ogni peccato per offrirci la vera liberazione.
Il mistero del male, infatti, si svela solo nel perdono. Esso ci fa accettare le conseguenze dei nostri peccati e, in esse, le conseguenze dei peccati di ogni uomo. Da questa attitudine nasce l'umiltà e spariscono i "pensieri malvagi" che covavano nel loro cuore gli scribi. No, Gesù non bestemmiava, anzi. La sua Parola era una bestemmia per la carne asservita alla menzogna del demonio. Ardeva come fuoco per bruciare le nostre bestemmie rivolte contro Dio, ovvero i giudizi malvagi che si scatenano in noi contro “l’esterno della coppa” dei fratelli e della società.
Basta solo accettare d’essere peccatori, e lasciarsi amare, riconciliare, perdonare, per arrivare a “gettarsi ai suoi piedi”, piangendo e implorando, aiutati e accompagnati dalla Chiesa. Il paralitico del vangelo, infatti, è immagine dei catecumeni che si preparavano a ricevere il battesimo nell'iniziazione cristiana. Perché un pagano, uno che non ha la vita divina dentro, è paralizzato e ha bisogno di chi lo porti a Cristo. Gesù, infatti, è mosso a compiere il miracolo del perdono dalla fede degli amici del paralitico.
Così anche noi, per ricevere il perdono e la Grazia dello Spirito Santo per camminare in una vita nuova, abbiamo bisogno della comunità cristiana, del Popolo santo che è capace, per amore del povero e del debole, di scoperchiare i tetti "nel punto dove è Gesù". Non a caso anche oggi nella liturgia eucaristica, prima di accostarci alla comunione, ripetiamo con il Celebrante: "Oh Signore, non guardare ai nostri peccati, ma alla fede della tua Chiesa".
Essa, infatti, apre per noi un cammino di salvezza, schiudendo i tetti che ci impediscono di andare a Cristo nella Verità. Essa ci accompagna a Lui attraverso la predicazione dei “quattro” evangelisti, simboleggiati dai “quattro uomini” che “portano” l’infermo.
Solo il Vangelo ci strappa dall'anonimato della "folla che si accalca" perché è l'unico annuncio che illumina la nostra vita con un raggio di misericordia e verità sulla nostra identità. Solo nella Chiesa siamo unici e importanti per quello che siamo, infermi e paralitici. Solo nella comunità le ferite ci fanno importanti agli occhi di Dio, oggetto della sua predilezione e delle cure dei pastori, dei catechisti e dei fratelli.
La Chiesa, infatti, è nostra Madre: solo lei può "calare il lettuccio su cui giace il paralitico" perché conosce la nostra storia, ogni nostra sofferenza, e, senza giudicare e senza esigere, con tenerezza e pazienza, ci conduce al trono della misericordia. Per conoscere il potere di Dio e sperimentare l’autentica guarigione sul peccato e sulla morte, occorre scendere dalle altezze dei nostri sogni e delle alienazioni e lasciarci calare sino ai piedi di Gesù per ascoltare il suo “annuncio”.
Esso ci libera, riconcilia e “risveglia” alla vita autentica “davanti a tutti”, come un segno di speranza e una profezia del perdono, nel mondo che "non ha mai visto nulla di simile" perché non ha mai visto Dio. Come in fondo gli scribi, purtroppo chiusi nell'orgoglio e invischiati nell'invidia per la quale avrebbero consegnato Gesù a Pilato.
Così, anche oggi, ricreati in Cristo possiamo tornare “a casa” - nella famiglia, al lavoro, a scuola, nella storia di ogni giorno - “prendendo con noi il lettuccio”, che è la memoria dei nostri peccati e la consapevolezza della nostra debolezza; così finiremo di presumere di noi stessi, e, non dimenticando da dove ci ha tratto il Signore, sapremo camminare nella gratitudine, grembo fecondo di ogni annuncio del Vangelo.
Il nostro andare nella vita risanati caricando ogni giorno la Croce è il segno che Dio ha pensato perché chi ci è accanto possa aprirsi all'annuncio e alla fede. L'amore di Cristo che ha offerto se stesso sul letto della Croce, infatti, può trasformare il giaciglio che ci ha visti prigionieri del peccato in un talamo nuziale dove possiamo donarci a Lui e al prossimo, e trovare riposo per le nostre anime.
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