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mercoledì 21 gennaio 2015

La Shoah raccontata da Alfred Hitchcock in un documentario che nessuno aveva mai visto.

Più spaventoso di un film dell’orrore

(Gaetano Vallini) «Alla fine della guerra ho realizzato un film che doveva mostrare al mondo la realtà dei campi di concentramento. Orribile. Molto più orribile di un film dell’orrore. Nessuno ha voluto vederlo. Ma il ricordo di quel film non mi ha mai abbandonato». A parlare non è un regista qualunque, ma Alfred Hitchcock, che nel 1970 racconta al cofondatore della Cinémathequè française, Henri Laglois, di quel progetto mai ultimato, freddamente intitolato German Concentration Camps Factual Survey («Indagine fattuale sui campi di concentramento tedeschi»), ma che turbò non poco il re del brivido, autore di Psyco e di altri film ad alto tasso di adrenalina.
Il materiale montato da Hitchcock, ripreso da operatori militari al seguito delle truppe in undici lager — tra cui Buchenwald, Dachau, Mauthausen, Majdaneck e in particolare Bergen-Belsen — finì infatti dimenticato tra gli scaffali dell’Imperial War Museum di Londra, schedato con la sigla F3080. L’idea originaria era quella di realizzare un documento «destinato in maniera specifica ai tedeschi, che fosse la prova inattaccabile delle loro atrocità». Ma alla fine il realismo della politica prevalse. La guerra in Europa era finita da pochi mesi e il principale alleato, l’Unione Sovietica, si stava già profilando come il nuovo nemico da contrastare.
Nella prospettiva di quella che di lì a poco sarebbe stata la guerra fredda, i tedeschi, già gravati dalla responsabilità di aver provocato l’immane catastrofe, non potevano essere ulteriormente caricati di sensi di colpa. Una buona parte di loro erano destinati a diventare, nonostante tutto, alleati importanti sullo scacchiere del nuovo ordine mondiale. E così il progetto venne affidato dagli americani a un altro grande regista, Billy Wilder, con la raccomandazione di non calcare troppo la mano. Il risultato fu Death Mills («I mulini della morte»), un documentario giocato molto sull’emotività ma di minore impatto.
A settant’anni di distanza il lavoro di Hitchcock torna alla luce grazie ad André Singer, documentarista e antropologo, che, dopo aver ottenuto di poter lavorare sulle pellicole classificate F3080, ha utilizzato molto di quello sconvolgente materiale in gran parte inedito (nel 1985 fu scoperto da un ricercatore e parzialmente trasmesso da una tv inglese). Il risultato è un documentario dal titolo Night Will Fall («Scenderà la notte») che attraverso diverse testimonianze, tra cui quelle degli operatori, ricostruisce la travagliata storia di quel film mai ultimato e delle riprese effettuate nei campi.
Tutto iniziò con la convocazione di Hitchcock a Londra nel giugno del 1945. A chiamarlo da Hollywood, dove aveva appena concluso le riprese di Prigionieri dell’oceano e Io ti salverò, fu l’amico e collega Sidney Bernstein, che aveva ottenuto dalla Divisione guerra psicologica del comando generale delle forze di spedizione alleate in Europa l’autorizzazione a produrre un film sui campi in cui i nazisti avevano sterminato gli ebrei. Bernestein aveva già coinvolto nel progetto il corrispondente di guerra australiano Colin Wills, il produttore Stewart McAllister e lo scrittore e futuro ministro Richard Crossman. All’amico chiese di montare le terribili immagini, riprese dagli inglesi Mike Lewis e William Lawrie, dall’americano Arthur Mainzen e dal sovietico Aleksandr Vorontsos nei campi di concentramento nazisti appena liberati, per poterle utilizzare nel modo più efficace.
Il regista, che accettò sobbarcandosi un viaggio in nave dagli Stati Uniti alloggiando in un dormitorio con altre trenta persone, fu sconvolto da quello che vide. Le immagini erano infatti così atroci da sembrare inverosimili. «Non credo — dirà Hitchcock a Langlois — che molta gente sia disposta ad accettare la realtà, a teatro come al cinema. Le cose devono solamente sembrare vere, nessuno è disposto ad affrontare la realtà troppo a lungo». Non a caso Benjamin Ferencz, che avrebbe poi sostenuto l’accusa contro i criminali nazisti al processo di Norimberga, racconta a Singer che mentre entrava nei lager con le truppe della terza armata di Patton aveva la sensazione di «scrutare l’inferno». La preoccupazione principale del regista fu dunque di rendere credibili quelle immagini.
Così, nonostante alcune bobine fossero già state montate e Wills avesse già scritto una sceneggiatura, Hitchcock, come ricorda il montatore Peter Tanner, volle rivedere tutto il materiale, cercando riprese panoramiche e lunghi piani sequenza, senza stacchi. Inoltre suggerì di inserire anche le immagini che mostravano le autorità civili e gli abitanti delle cittadine vicine ai lager condotti tra i cumuli di cadaveri, mentre osservavano con i loro occhi inorriditi quello scempio e venivano costretti a seppellire in fosse comuni i corpi scheletriti, o mentre passavano tra i sopravvissuti, fantasmi vestiti di stracci, e tra montagne di scarpe, occhiali, giocattoli.
Non era solo una questione di stile. Il regista voleva si capisse che non c’erano trucchi cinematografici. E voleva altresì che fosse chiaro che quel massacro era avvenuto vicino a luoghi abitati; che quelle fabbriche di morte erano a due passi da posti in cui molte persone continuavano a vivere in una tranquilla indifferenza.
Ciò richiese più tempo del dovuto, anche se si trattò appena di tre settimane, da giugno a luglio. Ma era un momento in cui il quadro politico stava mutando troppo rapidamente. Da oltreoceano arrivarono pressioni perché il progetto venisse interrotto. Il regista tornò a Hollywood per girare Notorius - L’amante perduta. Le bobine che aveva montato finirono in uno scatolone. La Shoah raccontata da Hitchcock non fu mai vista. Fino a oggi. Night Will Fall sarà trasmesso in Italia da Rai3 venerdì 23 gennaio alle 22.45.

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